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Omicidio Lea Garofalo, la Cassazione conferma i 4 ergastoli

La donna uccisa dal marito e dagli altri componenti del suo clan perché diventata testimone di giustizia.
A cura di Antonio Palma
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Definitive le condanne per l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia vittima di ‘ndrangheta. La Corte di Cassazione infatti ha confermato i quattro ergastoli e la condanna a 25 anni di carcere emesse nel processo di secondo grado dalla Corte d'Assise d'Appello di Milano il 25 maggio del 2013. I condannati all’ergastolo sono l’ex marito Carlo Cosco, il fratello Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino, mentre l'ex fidanzato della figlia di Lea, Carmine Venturino, è stato condannato a 25 anni in ragione dello sconto di pena per le sue dichiarazioni. Fu proprio Venturino infatti che dopo la condanna in primo grado iniziò a collaborare dal carcere facendo ritrovare i resti del cadavere di Lea Garofalo in un campo in Brianza nel 2012. La Cassazione ha anche condannato gli imputati al pagamento delle spese processuali e al risarcimento alle parti civili, fra cui la figlia di Lea e il Comune di Milano.

Lea Garofalo uccisa nel 2009

Secondo quanto ricostruito durante le indagini e il successivo procedimento giudiziario Lea Garofalo fu uccisa a Milano il 24 novembre del 2009 e il suo corpo fu bruciato in un magazzino a Monza. La donna nel 2002 aveva iniziato a collaborare con la giustizia fornendo informazioni su omicidi di mafia avvenuti negli anni Novanta ad opera del clan guidato da suo marito e per questo era stata punita dagli uomini della cosca. Lea Garofalo era anche entrata nel programma di protezione dei testimoni, ma vi rinunciò e nel 2009 il marito riuscì a riavvicinarla attraverso la figlia facendola uccidere.

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