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Morta di tumore perché abbracciava il papà con la tuta sporca di amianto dopo il lavoro

La corte d’Appello di Venezia ha riconosciuto il nesso di casualità tra il lavoro del papà e il decesso della donna, condannando l’azienda in cui lavorava l’uomo a risarcire i parenti per quasi 700 mila euro.
A cura di Davide Falcioni
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Una donna di 58 anni di Venezia, che per gran parte della sua vita ha lavorato come casalinga, è morta di mesotelioma pleurico, malattia contratta nonostante non avesse mai lavorato a diretto contatto con l'amianto, principale causa della patologia.

La donna ha contratto la grave malattia polmonare, costantemente associata all'eternit, abbracciando – quando era ancora una bambina – il padre che tornava dal lavoro e poi, cresciuta, aiutando la madre e la sorella a fare il bucato, quindi andando a lavare anche le tute da operaio coperte di fibre tossiche.

A sei anni dalla morte della 58enne, riformando una sentenza contraria in primo grado, la quarta sezione civile della corte d'Appello di Venezia ha riconosciuto il nesso di casualità tra il lavoro del genitore e il decesso della donna, condannando l ‘azienda in cui lavorava il papà a risarcire i parenti per quasi 700 mila euro. I giudici hanno infatti concordato con la tesi dei legali della famiglia, gli avvocati Enrico e Livia Cornelio, riconoscendo nell'esposizione all'amianto l'unica possibile ragione per la malattia e nel contatto quotidiano con il padre l'unica forma di contaminazione mai avuta dalla donna.

Malattia contratta abbracciando il papà

Come racconta il Corriere nel 2017 era stata proprio la donna a denunciare la Edilit srl di Vigodarzere (Padova), raccontando in tribunale di aver vissuto per 21 anni a casa dei genitori a Castello, nel centro storico veneziano, da quando è nata nel 1959 fino al 1980, quando è andata a vivere insieme a suo marito.

Al giudice aveva spiegato di aver lavorato solo tra il ‘79 e l’80 in una valigeria e di non aver mai quindi avuto mai la possibilità di maneggiare polvere di eternit, sa non in un modo: abbracciando suo padre quando tornava dal lavoro del padre e lavando per anni i suoi vestiti contaminati.

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L’uomo, infatti, per 15 anni ha lavorato come operaio nella “Prodotti Cemento Amianto spa” del Veneziano, poi divenuta appunto Edilit srl, e tutte le sere tornava a casa indossando i suoi indumenti di fatica "estremamente impolverati". Da bimba, quando la sera il papà tornava da lavoro, per la donna era normale corrergli incontro ed abbracciarlo.

Più tardi, invece, la donna ha aiutato la madre nelle faccende domestiche: tra queste, c’era anche la pulizia della tuta dell’uomo che tutta impolverata andava prima battuta con il battipanni e poi messa a lavare.

Cosa aveva stabilito il processo in primo grado

Nel processo di primo grado il tribunale aveva rigettato la richiesta di risarcimento perché riteneva mancassero le prove della correlazione. Il 4 aprile 2017, neanche un mese dopo aver presentato il suo caso in aula, la donna è morta, ma la sorella e il marito hanno deciso di continuare a combattere la sua battaglia legale impugnando la sentenza davanti alla corte d’Appello.

I familiari hanno specificato il ruolo che la ragazza svolgeva in casa ma – in secondo grado – è anche stato di fatto invertito il principio della prova, ribadendo che il mesiotelioma pleurico "è causato in via esclusiva dalle inalazioni delle polveri di amianto" e che per questo non ci può essere altro responsabile se non la tuta con il logo Prodotti Cemento Amianto.

Marito, sorella e figli della 58enne veneziana sono stati quindi risarciti dalla Edilit Srl con 242.280, 191.805, 191.805 e 58.448 euro, a cui si aggiungono altri 98 mila euro di quote ereditarie e oltre 25 mila euro di spese legali, sempre a carico della ditta.

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