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Minori uccisi da coetanei, genitori chiedono nuove leggi: “Non vogliamo vendetta, ma giustizia”

L’appello dei genitori di alcune delle numerose giovanissime vite spezzate per mano di coetanei: “Presenteremo al Parlamento una proposta per la modifica della legge sui reati minorili”.
A cura di Beppe Facchini
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"Non vogliamo vendetta, ma una vera giustizia”. È questa la richiesta che arriva da Bologna a Napoli, passando per Formia, dove vivono alcune delle diverse famiglie che in Italia, negli ultimi anni, hanno dovuto fare i conti con le morti tragiche di figli minorenni, uccisi per mano di altri coetanei. “Non auguro a nessuno di passare quello che stiamo passando noi: è come se qualcuno ti strappasse le carni all'interno, un dolore fisico che ti porti costantemente in petto” dice Vincenzo Gualzetti, papà di Chiara, la 15enne trovata morta a giugno dello scorso anno a Monteveglio, nel Bolognese, per mano di un altro giovanissimo che lei pensava fosse un amico.

“A noi è stata data la condanna del dolore con fine pena mai -aggiunge Natascia Lipari, madre di Simone Frascogna, ucciso a 17 anni a Castelnuovo, in provincia di Napoli, dopo un litigio per una mancata precedenza, a novembre 2020-. E se ci battiamo non è per noi, perché i nostri figli nessuno ce li riporterà a casa, ma vogliamo fare in modo che queste cose non succedano più”. Insieme ad altri genitori e a un team di professionisti, il loro obiettivo è quello di portare in Parlamento una proposta di modifica di alcune leggi sui reati minorili, puntando alla “variazione dell'obbligatorietà dell'attenuante della minore età, trasformandoli in discrezione del giudice” spiega Gualzetti, che prosegue: “Abbiamo anche scritto una lettera all'Europarlamento, andremo avanti finché le cose non cambieranno”.

Intanto, oltre a portare avanti un lungo percorso per rivedere delle norme che consentono ai minori che si macchiano di sangue di poter usufruire anche del rito abbreviato, con conseguenti ulteriori sconti di pena (la massima prevista è di 30 anni), in ogni angolo del Paese dove si sono consumate tragedie simili, questi genitori si stanno anche impegnando in iniziative a favore dei giovani, nel nome dei figli uccisi tragicamente. A Castelletto di Serravalle, a pochi chilometri da dove abitava Chiara Gualzetti, è ad esempio molto attiva l'associazione “Amici di Balbo”. È intitolata a Giuseppe Balboni, 16enne ucciso da un coetaneo con sei colpi di pistola al volto a settembre del 2018, per un piccolo debito. “Giocava a calcio, studiava grafica dai salesiani e si era integrato molto bene” ricorda il padre Daniele. Giuseppe e suo fratello Raimondo, originari dell'Ungheria, erano stati adottati nel 2011. “Quel giorno incominciava il nuovo anno scolastico -ricorda-. Avrei dovuto accompagnarlo io, ma prima mi aveva detto che si sarebbe incontrato con un amico”. Cosa che poi è effettivamente avvenuta: il giovane è arrivato all'appuntamento a bordo del suo motorino, a cinque minuti da casa, ma poi non ha fatto più ritorno. Il suo assassino, che ha usato la pistola del padre per uccidere il ragazzo (successivamente anche loro condannati per “fallimento educativo” e per non aver protetto l'arma in casa), aveva anche nascosto il corpo in un pozzetto, dove fu ritrovato dopo una settimana di ricerche. In primo grado la condanna era stata di 14 anni e 8 mesi, ridotta poi di un anno in appello. Nella sentenza si parla di killer freddo e lucido, ma senza premeditazione. “È una pena che non corrisponde all'atto di violenza sfociata nella morte di mio figlio -dice il papà-. Tant'è che ho anche dei dubbi su quello che potrà essere in futuro, quando uscirà. Io ci penso spesso”.

Il 12 aprile il processo per l'omicidio di Chiara Gualzetti

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Domani 12 aprile, dopo aver chiesto e ottenuto il rito abbreviato (negata invece in passato la richiesta per il trasferimento in comunità come alternativa al carcere), l'omicida reo confesso di Chiara Gualzetti, si presenterà davanti ai giudici di Bologna per la prima udienza del processo. È accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione, dai futili motivi e dalla minore età della vittima. “Spero in una sentenza esemplare, almeno mi darebbe la forza per dare un significato alla morte di mia figlia, che al momento non c'è” dice il padre. La 15enne, che proprio qualche giorno prima di essere uccisa si era recata nella sede dell'associazione di Balboni per iniziare a praticare skate, faceva anche pattinaggio, danza e soprattutto tiro con l'arco. “Ci andavo anche io e lì ho conosciuto pure la madre del suo assassino” ricorda Vincenzo Gualzetti, a lavoro adesso anche per mettere a disposizione una casa, inizialmente ristrutturata per la figlia, delle donne vittime di violenza. “Alla fine anche il suo è stato un femminicidio -continua il papà-. Le perizie psichiatriche dicono che lui è una persona pericolosa, un assassino freddo, capace di intendere e di volere: mi metto nei panni anche dei suoi genitori, ma non bisogna rendergliela facile. Bisogna responsabilizzarlo su ciò che ha fatto”.

La stessa richiesta è quella di Domenico Bondanese, padre di Romeo, ucciso a Formia il 16 febbraio 2021 a 17 anni. È morto per una coltellata in una rissa per strada con un gruppo di giovani della provincia di Caserta. Il 18 maggio ci sarà l'udienza preliminare per i cinque minori indagati, uno per omicidio, tre per rissa. Uno di loro intanto è diventato maggiorenne.

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“Lo Stato non ci tutela” sbotta il padre del ragazzo, morto poco dopo che con un coltellino svizzero gli era stata recisa l'arteria femorale. Nove fendenti, di cui due quasi fatali, hanno invece portato via per sempre Simone Frascogna, giovane ucciso per strada il 3 novembre 2020 dopo un litigio per una mancata precedenza con una Smart a bordo della quale viaggiavano tre ragazzi, compreso Domenico Iossa, 19enne reo confesso, lo ha ammazzato a coltellate. Insieme a lui, due minori condannati in primo grado, lo scorso settembre, uno a 10 anni e 7 mesi per concorso e l'altro a 7 anni e 2 mesi per il tentato omicidio di un amico di Simone, che si trovava con lui in quel momento. Pena di 30 anni, invece, per l'autore materiale dell'omicidio. “Il pm aveva chiesto l'ergastolo” racconta la mamma. “Si stava per diplomare come grafico e sarebbe andato in estate in Inghilterra -continua-. Scriveva musica rap e faceva pugilato e MMA”. Proprio grazie alle sue conoscenze di arti marziali, durante il litigio Simone stava riuscendo a difendersi bene, ma quando è spuntato quel maledetto coltello, non c'è stato molto altro da fare. “Mentre stava crollando a terra per le pugnalate, uno dei minori gli ha pure dato due calci – dice ancora Natascia -. Non possiamo accettarlo”.

“Ci vogliono pene esemplari, ma anche un grandissimo sforzo di tutta la società per educare i giovani in maniera più efficiente -ricorda quindi infine Daniele Balboni-. Vediamo che i ragazzi di oggi sono consapevoli di quello che fanno e spesso si rivolgono agli adulti quasi sfidandoli, dicendo che tanto non sono perseguibili perché minori. C'è qualcosa che non torna”.

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