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Maria Falcone a Fanpage.it: “Giovanni fu isolato, in trent’anni nessuno ha chiesto scusa”

A distanza di 30 anni dalla strage di Capaci e di via D’Amelio Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nessuno ha chiesto veramente scusa per averli lasciati soli. Eppure “Giovanni ci teneva tantissimo al prestigio della magistratura e quindi non avrebbe voluto che se ne parlasse male anche se lui ne era stato la vittima”, spiega tutto a Fanpage.it la sorella Maria Falcone.
A cura di Giorgia Venturini
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Sono passati 30 anni da quando nei pressi dello svincolo di Capaci sull'autostrada che collega l'aeroporto di Punta Raisi alla città di Palermo la terra tremò. Un'esplosione mai sentita prima. In quei metri di autostrada davanti all'Isola delle Femmine il tritolo azionato dal vicino Monte Pellegrino fece saltare in aria l'auto del giudice Giovanni Falcone. Insieme a lui alle 17.57 del 23 maggio 1992 morirono la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Perché morì e chi ordinò e azionò la bomba lo rivelano le sentenze. Quello che manca a distanza di 30 anni sono le scuse, di chi ha isolato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, lasciandoli soli e quindi bersaglio facile della mafia. "Nessuno ha chiesto scusa nei 30 anni", ribadisce a Fanpage.it la sorella Maria Falcone.

Da chi si aspetta le scuse?

Giovanni era stato osteggiato dalla magistratura. Forse perché Giovanni era anni luce più avanti rispetto ad altri magistrati. Si era reso conto del metodo e del modo con cui si doveva combattere la mafia. Eppure in 30 anni nessuno ha chiesto scusa per l'isolamento né a livello di magistratura né a livello di politica. Invece Giovanni ci teneva tantissimo al prestigio della magistratura e quindi non avrebbe voluto che se ne parlasse male anche se lui ne era stato la vittima.

Eppure il "metodo Falcone" ha cambiato il modo di fare indagine. Come?

Non è un metodo complicato. Consiste nel fare indagini accurate e approfondire, senza trascurare nulla. Giovanni non solo aveva capito che bisogna seguire il flusso del denaro sporco, ma anche che solo con l'alta professionalità si può arrivare ai risultati. Le sue inchieste poi erano tutte confermate dalla parole dei pentiti.

Il pentito che svelò come era strutturata tutta Cosa Nostra, ovvero Tommaso Buscetta, aveva espressamente detto di voler parlare solo con Giovanni Falcone. Perché?

Perché Giovanni era una persona seria. Una persona di cui ci si poteva fidare perché aveva la capacità di rispettare la controparte, anche se era colpevole, anche se era un mafioso. Nel rapporto tra magistrato e inquisito c'era sempre il rispetto l'uno dell'altro. Così i pentiti si fidavano e decidevano di parlare.

A Giovanni Falcone e Paolo Borsellino va il merito del Maxiprocesso. Per la prima volta Cosa Nostra con 21 condanne all'ergastolo e più di 2mila anni di carcere venne messa in ginocchio dallo Stato. Possiamo dire che c'è un prima e un dopo il Maxiprocesso? 

Lo dico sempre ai ragazzi che quella è stata la grande vittoria dello Stato sulla mafia. Finalmente si sfatò il mito dell'impunibilità della mafia. Al termine del processo furono emessi 21 ergastoli e più di 2mila anni di carcere. La mafia poi decise di uccidere Giovanni e Paolo. Il Maxiprocesso è il frutto di quel metodo che porta prove riscontrabili e indagini molto approfondite. Solo in questo modo i giudici riuscirono a emettere sentenze.

Che persona era Giovanni Falcone?

Giovanni era una persona intelligente. Dietro questa intelligenza c'era tanta volontà e tanto studio. Tanto senso del dovere e tanta voglia di lavorare per la sua patria e per la sua Sicilia. Era un uomo curioso, amante dell'arte, della musica e dello sport. Insomma, aveva interessi veri che gli hanno permesso di resistere a quel regime di isolamento che dovette subire dalla magistratura. Trovava sempre nei libri, nella televisione e nella musica momenti di relax.

Sono passati 30 anni dalla strage di Capaci e di via D'Amelio. Ci furono processi e condanne. Ci sono punti oscuri ancora da risolvere?

Sì. Rimangono delle parti oscure. Le indagini non hanno ancora portato alla conoscenza di eventuali connessioni tra mafia e altri poteri. Però ho ancora fiducia.

Che cosa intende?

In questi anni sono soddisfatta che la mano armata di Cosa Nostra sia stata decimata. La maggior parte dei mafiosi stanno in carcere, altri sono morti. Le indagini ci sono state ma purtroppo non sono andate avanti a trovare altri filoni che avrebbero permesso di avere risultati e confermare una volta per tutte che dietro le stragi non c'era solo la mafia.

Una delle tante eredità di Falcone è che grazie a lui si è rafforzato il movimento antimafia. Un'eredità preziosa? 

Giovanni diceva che per sconfiggere la mafia non basta la repressione ma è necessario cambiare anche la cultura. La mafia la si sconfigge anche e soprattutto educando i giovani e creando una società diversa in grado di rifiutare tutti quegli atteggiamenti che invece alimentano le organizzazioni criminali, come l'indifferenza e l'omertà. Cosa che sto cercando di portare avanti anche con la mia Fondazione Falcone. Fondamentale oggi infatti è fare memoria e portare avanti le idee di Giovanni.

E la risposta dei giovani c'è stata?

La risposta dei giovani c'è. Così come una risposta generale della società civile che ha saputo fare memoria. Come se Giovanni e Paolo fossero morti ieri e non 30 anni fa. Questo vuol dire che la loro memoria è forte. Giovanni diceva soprattutto negli ultimi suoi giorni di vita che bisogna fare presto perché è in pericolo la nostra democrazia.

Non solo Palermo ma anche il Nord è riuscito a portare avanti le idee di Falcone…

Si è finalmente capito che la mafia non è un problema dei meridionali. Come diceva Giovanni è un problema trasnazionale che doveva essere capito da tutti il prima possibile. Perché se non si percepisce un problema che coinvolge tutti è chiaro che in alcune città e regioni si fa strada il disinteresse. Quando si capisce che questo problema attenta la pace sociale di tutta l'Italia è più facile combatterlo.

 E le istituzioni e la politica questa cosa l'hanno capita? 

Alcuni politici hanno poco interesse a parlarne. Come se la mafia fosse un problema superato. Invece sappiamo grazie anche alle inchieste della magistratura che non è così. Non è un problema superato ma incombe ancora sulla Sicilia e su tutta l'Italia. Le organizzazioni criminali limitano tantissimo a livello economico lo sviluppo del nostro Paese. La mafia ha ricevuto colpi durissimi ma non è finita. Ha solo capito ora che deve essere silenziosa perché la reazione dello Stato dopo le stragi è stata talmente forte che è riuscita a disarmarla. Oggi Cosa Nostra ha ripreso la sua naturale attitudine, ovvero quella di essere silenziosa.

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