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Marco Diana, militare ucciso dall’uranio impoverito: “Altri 8mila come lui, lo Stato non li aiuta”

Marco Diana, ex maresciallo dell’Esercito Italiano, è la vittima 381 dell’uranio impoverito, ma altri 8mila lavoratori delle forze armate lottano contro le gravissime malattie. Domenico Leggiero, presidente dell’Osservatorio Militare, attacca: “C’è un potere, quello della Difesa, che appare inscalfibile. Prova ne è che chi ha mentito sui rischi legati all’uso dell’uranio impoverito oggi ha fatto carriera ed è diventato Capo di Stato Maggiore della Marina”.
A cura di Davide Falcioni
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Marco Diana è la vittima 381 dell'uranio impoverito: l'ex maresciallo dell'Esercito Italiano è morto ieri a soli 50 anni in una stanza del Policlinico universitario di Monserrato dopo una lunga battaglia contro un tumore al sistema linfatico causato proprio da quell'uranio impoverito che tantissime vittime ha fatto tra i soldati del nostro Paese, quasi ottomila dei quali oggi devono fare i conti con malattie gravissime e potenzialmente letali. Diana, originario di Villamassargia, nel sud Sardegna, era diventato sottufficiale dell'esercito per essere poi impiegato per oltre un decennio in missioni in giro per il mondo, dalla Somalia al Kosovo, esponendosi senza adeguate protezioni all'uranio impoverito. Al ritorno in Italia era iniziato anche per lui, come per molti altri lavoratori del comparto militare, un lungo calvario con la scoperta di un tumore che non lo ha mai più lasciato. Da guerriero aveva sempre combattuto con coraggio la malattia riuscendo a contenerla per anni ed ottenendo – dopo una lunga battaglia – la causa di servizio e il diritto alla pensione privilegiata di prima categoria con relativo risarcimento.

Cos'è l'uranio impoverito

Come spiega l'Istituto Superiore di Sanità nel suo portale informativo l'uranio impoverito è il prodotto di scarto del processo di produzione dell'uranio arricchito. "L'uranio impoverito – spiega l'Iss – è un po' meno radioattivo dell'uranio naturale (IAEA). Esso emette principalmente radiazioni poco penetranti (particelle alfa e beta) ed è una modesta sorgente d'irraggiamento esterno, così come lo è l'uranio naturale". Tuttavia "se l'uranio naturale o impoverito è inalato o ingerito, si verifica una contaminazione interna al corpo. Infatti, nel caso di introduzione dell'uranio attraverso cibo, acqua o altra sostanza contaminata, o per inalazione, può avvenire un accumulo di questo elemento in alcuni organi, detti organi bersaglio. (…) La tossicità chimica dell'uranio naturale o impoverito si manifesta anche nel caso ci sia contatto con l'organismo attraverso ferite. Questa via di introduzione è relativa al solo personale militare in zona di operazioni. Nel caso di inalazione di composti insolubili (ossia difficilmente assorbibili dai fluidi corporei) contenenti uranio, i principali organi bersaglio sono l'apparato respiratorio e i linfonodi del mediastino; l'uranio, essendo radioattivo, ne irraggia i tessuti e può determinare l'insorgenza di tumori". Tra le patologie più frequenti ci sono gravi disfunzioni tiroidali, tumori al sangue, al cervello e ai testicoli. Nelle donne tumori a ovaie e seno.

Come si realizzano i proiettili all'uranio impoverito

Armi all'uranio impoverito sono state regolarmente utilizzate dagli eserciti Nato (quindi anche da quello italiano) a partire dalla guerra in ex Jugoslavia, poi in Afghanistan e Iraq: i proiettili all'uranio hanno infatti un'elevatissima capacità perforante delle spesse e pesanti corazze dei mezzi blindati. Per realizzare tali proiettili vengono impiegate le scorie di uranio provenienti dalle centrali nucleari, sostanze radioattive altamente pericolose per l'uomo. I vertici militari italiani hanno sempre sostenuto che l'uranio impoverito fosse stato usato solo da eserciti stranieri e di non esserne a conoscenza. In realtà però anche migliaia di militari italiani le hanno impiegate sui campi di battaglia con conseguenze drammatiche sulla loro salute. Marco Diana, morto ieri, era uno di loro.

Le responsabilità dei vertici dell'Esercito Italiano

Domenico Leggiero, Presidente dell’Osservatorio Militare e consulente nella prima, seconda e quarta (ed ultima) commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, intervistato da Fanpage.it si scaglia contro i vertici politici e militari responsabili – nonostante le centinaia di vittime accertate e le migliaia di malati – di non aver ancora fatto giustizia: "Le proposte di legge presentate per fare ordine su questo tema giacciono da anni nelle commissioni parlamentari; spiace dirlo, ma l'ostacolo più grande è paradossalmente la commissione lavoro. Non ne facciamo una questione politica ma non sappiamo come ricordare a Debora Serracchiani, presidente della commissione, che i militari sono lavoratori titolari di diritti come tutti gli altri. La verità è che c'è un ‘terzo potere', quello della Difesa, che da questo punto di vista appare inscalfibile. Prova ne è che chi ha mentito sui rischi legati all'uso dell'uranio impoverito oggi ha fatto carriera ed è diventato Capo di Stato Maggiore della Marina".

La denuncia al Capo di Stato Maggiore della Marina

Secondo Domenico Leggiero il capo di Stato Maggiore della Marina Militare, sentito dai membri della Commissione parlamentare d'Inchiesta, avrebbe dichiarato che l’uso dell’armamento all’Uranio Impoverito in Iraq non costituiva alcun pericolo per la salute e la sicurezza dei soldati impiegati nella missione per non oltre 3/4 mesi. "Si tratta di una menzogna", attacca Leggiero. "I soldati rimanevano dai 6 ai 12 mesi esposti e senza protezioni". Nei confronti del Capo di Stato Maggiore c'è anche un esposto presentato alla Procura Militare dal generale Roberto Vannacci, comandante dei parà della Folgore impiegati in Iraq tra il settembre 2017 e l'agosto 2018. Vannacci ipotizza “gravi e ripetute omissioni nella tutela della salute e della sicurezza del contingente militare italiano, costituito da migliaia di militari impiegati in Iraq e sottoposti, tra l’altro, all’esposizione all’uranio impoverito senza che alcuna informazione fosse fornita al riguardo e senza che alcuna mitigazione dei rischi fosse attuata”.

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