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Opinioni

L’apocalisse climatica è già qua. E dobbiamo fare di tutto perché i nostri nipoti possano uscirne

La temperatura record a Siracusa non è che l’ultimo degli eventi climatici estremi che sta costellando quest’estate segnata dal cambiamento climatico. E se non bastasse, è il rapporto Ipcc a dircelo ancora più chiaramente: quella che stiamo vivendo è già l’apocalisse climatica. E tutti i nostri sforzi devono essere finalizzati a uscirne. Non per noi, ma per chi verrà dopo di noi.
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48,8 gradi a Siracusa, la temperatura più alta mai registrata in Europa. Non vi bastassero gli incendi in mezzo mondo, le alluvioni in Germania e Austria, le temperature record in Canada e nell’Artico, lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, eccovi finalmente qualcosa di nostrano che vi aiuta a toccare con mano gli effetti del cambiamento climatico, la prova provata che la nostra casa è in fiamme qui e ora, come diceva una ragazzina con l’impermeabile giallo qualche anno fa, tra le sghignazzate dei negazionisti e dei ci-penseranno-i-nostri-figlisti.

E no, cari voi. Non ci penseranno né figli, né nipoti. Sfortunatamente per noi, l’apocalisse è già qua. E se non vi bastasse nemmeno l’inferno in terra siracusano, ci sono anche le pagine del rapporto dell’agenzia intergovernativa per il clima dell’Onu, per gli amici Ipcc, che nel suo rapporto 2022 sul clima mette nero su bianco questa evidenza. Questa tabella lo spiega molto chiaramente.

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Ci sono cinque scenari possibili che ci attendono, da qui al 2100. In ognuno di questi scenari – anche in quello in cui azzeriamo a partire da domani le 51 miliardi di tonnellate di gas serra che ogni anni riversiamo in atmosfera – la temperatura del pianeta aumenterà in media di 1,5 gradi da qui al 2040, rispetto alla media degli anni 1850-1900. Non è un livello tra i tanti, quello del grado e mezzo in più rispetto all’era pre-industriale: sempre secondo l’Ipcc è la soglia dalla quale indietro non si torna, quella che ci porta dritti verso quell’aumento di due gradi che sarebbe catastrofico per la presenza umana sulla Terra.

Andiamo avanti con gli anni: in ogni scenario possibile tra il 2041 e il 2060, la temperatura aumenterà ancora, e in tre scenari su cinque già arriveremo alla soglia del 2 gradi. Non stiamo parlando di secoli: stiamo parlando di 40 anni al massimo, in cui si innalzerà il livello degli oceani, si scioglierà la calotta polare artica, si scioglieranno le nevi del permafrost siberiano, e si moltiplicheranno gli eventi climatici estremi.

Se e solo se taglieremo tutte le emissioni di CO2 da qui al 2050 – ripetiamo per i duri d’orecchio: 51 miliardi di tonnellate all'anno che devono diventare zero – potremmo tornare sotto la soglia degli 1,5 gradi di aumento, tra il 2081 e il 2100. In qualunque altro scenario, la temperatura continuerebbe ad aumentare, e con lei le probabilità di estinzione dell'umanità nel giro di qualche decennio.

Possiamo girarla come vogliamo ma questo è quel che ci aspetta: che vivremo quel che ci resta da vivere in un mondo peggiore di quello che abbiamo conosciuto, nel secolo dell’apocalisse climatica, e che se ci limiteremo ad adattarci a esso ne consegneremo uno pressoché inabitabile ai nostri figli e nipoti. D’altra parte, abbiamo la possibilità di consegnare loro un mondo migliore e salvo dall’emergenza del cambiamento climatico. E quel mondo, l’unico possibile, è un mondo a zero emissioni di CO2 e gas serra.

Certo è che se continuiamo a pensare che non sia un’emergenza e che non sia colpa nostra, anche se a dircelo sono tutti i climatologi del mondo, è una sfida persa ancora prima di cominciare.  Del resto, se ci siamo cacciati in questo pasticcio ci sarà un motivo, no?

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro. 15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019)
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