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La vita dopo la mafia: i lavoratori della Geotrans si prendono l’azienda confiscata

Sequestrata nel 2014 e confiscata definitivamente nel 2019, la Geotrans era un colosso dei trasporti. Le cui gambe, però, si reggevano sul nome della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano. Oggi i lavoratori hanno costituito una cooperativa e tenteranno, assieme all’amministratore giudiziario, di mandare avanti l’azienda prendendola in gestione. Per dimostrare che un’impresa può restare in vita anche se è stata tolta a Cosa Nostra.
A cura di Luisa Santangelo
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Il logo della Geotrans si vede dalla tangenziale di Catania: è enorme, svetta sulla strada e racconta tutta la storia di un impero. Che nasce, che cresce e che muore. Vincenzo Ercolano, figlio del capomafia Pippo, nipote del boss di Cosa Nostra catanese Nitto Santapaola, era il padrone di casa. Accanto a lui sua madre e sua sorella. La famiglia Santapaola-Ercolano è l'impero: benedetta da Cosa nostra palermitana, maestra nell'arte di inabissarsi, esperta di affari nell'economia legale. Il giorno in cui il tribunale di Catania sequestra per mafia la Geotrans, gli investigatori mettono piede in un colosso in espansione: milioni di euro di fatturato per fare viaggiare su quelle gomme l'ortofrutta di mezza Sicilia attraverso l'Italia intera.

Dal giorno dei sigilli (era marzo 2014) a oggi di strada ne è stata percorsa tanta: la confisca è diventata definitiva ad agosto 2019 e la Geotrans è adesso, per certo, patrimonio dello Stato tramite l'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati. Sono spuntati i quadri di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino negli uffici, la bandiera di Libera e la convenzione con AddioPizzo per brandizzare i camion. A breve dovrebbe consumarsi un nuovo cambiamento: la concessione gratuita dei beni aziendali e il passaggio di commesse e contratti sotto la bandiera della Geotrans coop, la cooperativa costituita da undici lavoratori con l'aiuto economico della società Cfi, partecipata dal ministero dello Sviluppo economico. "A quale migliore soggetto affidare un'impresa confiscata se non ai lavoratori che l'hanno tenuta in vita?", domanda Luciano Modica, amministratore giudiziario da sei anni e adesso presidente della nuova coop. "Non ho quote della cooperativa – precisa – ma i lavoratori hanno voluto che io ci fossi. Quando lo decideranno loro, io lascerò".

Nel frattempo lui resta. Anche perché l'impresa l'ha ricostruita assieme agli impiegati. Molti dei quali, con l'esclusione della maggior parte degli autisti, rimasti nonostante il passaggio dalla vecchia proprietà alla nuova. "Io mi occupavo di contabilità, condividevo la stanza con la mamma e la sorella di Ercolano". Cioè con Grazia Santapaola, sorella del capomafia Nitto, e la giovane Cosima Palma Ercolano. A raccontarlo è Barbara Ingrassia, oggi direttrice tecnica di Geotrans, ai tempi semplice impiegata. "Sono entrata in un ambiente di lavoro che mi sembrava sano: i proprietari arrivavano prima di me e se ne andavano dopo. Certo, c'era una evidente rigidità. Non potevamo neanche tenere i cellulari sulla scrivania né esprimere opinioni. Ma io lavoravo e basta e nessuno mi faceva pressioni".

L'azienda, del resto, andava alla grande. Anche grazie alla forza intimidatrice del cognome che le stava dietro, secondo i magistrati. "È vero, a Catania tutti sanno cosa significa Ercolano. Ma è vero anche che io ero un professionista con un progetto e loro volevano realizzarlo. Venivo in un capannone industriale, non in un covo di mafiosi. Non avevo pregiudizi, non pensavo che le cose stessero come poi abbiamo scoperto", spiega Maurizio Faro, responsabile commerciale. "Io a questo tengo molto – interviene Modica – Queste persone lavoravano e basta. Si occupavano di logistica, non di crimine. E lo facevano in una terra come la Sicilia, in cui trovare lavoro non è una cosa semplice".

Per questo, anche dopo l'intervento della magistratura, in tanti sono rimasti. E adesso sono pronti a fare il passo successivo, prendendo in mano le redini di un'azienda che va avanti col fiato sospeso. Coop Alleanza 3.0 è la commessa più importante, quella che permette a Geotrans di restare sul mercato, ma alcuni settori restano un sogno per il momento difficile da raggiungere: l'ortofrutta, punta di diamante dell'impresa pre-confisca, oggi non viaggia con l'azienda. "I produttori non vogliono nemmeno sedersi al tavolo con noi. È un settore che è… Non so se controllato è la parola giusta, ma servito solo da alcuni trasportatori. Uno di questi, il più grande e storico, è finito sotto sequestro poche settimane fa". Il riferimento è al gruppo Ruggeri trasporti, di Lentini, ritenuto riconducibile al clan mafioso dei Nardo.

"Io sono orgogliosa di dire che lavoro per la Geotrans – conclude Denise Bongiovanni, contabile, arrivata dopo la confisca – E sono fiera di potere dire che dopo l'amministrazione giudiziaria stiamo creando una cooperativa per gestire l'impresa. È il nostro riscatto, vogliamo dimostrare che  le aziende confiscate possono farcela". I numeri, però, dicono altro. In base alla relazione 2017-18 (la più recente disponibile) dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, nel 2018 il 94,74 per cento delle aziende confiscate è stato messo in liquidazione. Solo un terzo del totale, però, erano arrivate nelle mani dello Stato "già avviate alla liquidazione o al fallimento".

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