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La rabbia del papà di Donatella, suicida in carcere a 27 anni: “Nessuna pietà sui social”

Nevruz Hodo, papà di Donatella, la detenuta 27enne che si è suicidata nei giorni scorsi nel carcere di Montorio (Verona), risponde a chi critica la figlia sui social: “Non c’è bisogno di commentare un passato di una persona che ha avuto i problemi con la droga”.
A cura di Ida Artiaco
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"Se possibile servono belle parole per non fare male ancora alla famiglia. Non hanno un po' di pietà". Risponde così ad alcuni messaggi condivisi sui social Nevruz Hodo, papà di Donatella, la detenuta 27enne che si è suicidata nei giorni scorsi nel carcere di Montorio (Verona).

L'uomo ha voluto replicare con un post su Facebook ai messaggi sprezzanti che alcuni utenti hanno condiviso nei confronti della figlia, che si trovava in carcere per alcuni furti legati alla sua dipendenza da stupefacenti.

"Non c'è bisogno di commentare un passato di una persona che ha avuto i problemi con la droga dopo che si è suicidata, sappiano tutti quello che ha fatto per assumere la droga", ha detto Nevruz.

Il quale, in una intervista al quotidiano l'Arena, ha aggiunto che la figlia aveva "poca pazienza, voleva uscire in fretta. Diceva che voleva farsi una famiglia, trovarsi un lavoro. Mi raccontava che in carcere erano abbandonate. Ho fatto di tutto in questi 10 anni per farla uscire dal tunnel della droga, ma lei non ce l'ha fatta".

Il papà di Donatella aveva anche incontrato il giudice Vincenzo Semeraro che in una lettera aveva manifestato la propria solidarietà ai familiari della ragazza. "Io e il giudice piangevamo tutti e due. Ci sentiamo sconfitti e perdenti, ci siamo chiesti perdono. Avevo i brividi, la mia Donatella mi parlava sempre di questo magistrato come di un secondo padre, diceva che era l’unico ad aver preso a cuore la sua situazione. All’inizio nessuno trovava la forza di parlare, solo lacrime", ha detto Nevruz.

Intanto, sempre su Facebook le amiche di Donatella hanno creato un gruppo dal titolo "Sbarre di zucchero": "Volevamo dare un senso alla sua morte – hanno spiegato -, che non è essere contro le istituzioni, ma aiutare a capire perché in carcere si perde la speranza e ci si suicida. Niente guerre, ma collaborazione, perché non accada più".

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