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La morte di Liliana Resinovich resta un enigma: dal marito alle chiavi, le domande senza risposta

La morte di Liliana Resinovich resta ancora un enigma. In attesa degli esiti delle analisi tossicologiche è possibile indagare su diversi aspetti di matrice criminologica e criminalistica.
A cura di Anna Vagli
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C’è una nota stonata nella tragica fine di Liliana Resinovich. Le indagini, pur procedendo in maniera serrata, hanno fin da subito evidenziato la mancanza di quelle prove schiaccianti capaci di declinare “senza se e senza ma” l’esito di una storia di scomparsa. Neppure le analisi genetiche sono state in grado di fornire risultanze capaci di fugare ogni dubbio. Un terreno mai così impervio. E allora, per cercare di ricostruire la storia, in attesa dell’esito degli esami tossicologici, è necessario – all’avviso di chi scrive – provare a cercare risposte altrove, in quelle tessere che non si incastrano con il resto del puzzle.

Liliana e Sebastiano vivevano davvero in simbiosi?

Liliana e Sebastiano sono stati descritti da tutti come una coppia simbiotica, ossia caratterizzata da una forte interdipendenza. L’uomo, dal canto suo, ha sempre raccontato come sentissero così profondamente il bisogno l’uno dell’altra.

In concreto, però, la coppia simbiotica rappresenta la coppia disfunzionale per eccellenza: in essa ogni tentativo di realizzazione e autonomia personale viene disincentivato. Balza subito alla mente, pensando alle cronache, la relazione tra Olindo e Rosa Bazzi. Olindo aveva comprato un'automobile, una Seat Arosa, solo perché si chiamava come la moglie.

Le coppie simbiotiche sono infatti coppie che funzionano fino a quando uno dei membri inizia ad esternare i propri bisogni che, molto spesso, divergono da quelli dell’altro. Ed è per questo che in una simile tipologia di relazione si palesa il timore dell’abbandono. Timore che è vissuto come catastrofico e si connota per un’ansia costante e ripetuta. E, proprio per tenere a bada quest’ultima, alcuni individui attuano una serie di meccanismi al fine di controllare l’altro ed avere la sicurezza di possederlo.

Liliana era davvero felice in quella relazione che durava da oltre trent’anni? Ad una attenta osservazione delle foto dei loro viaggi, invero, se si presta attenzione, oltre a notare i completi coordinati indossati dai due coniugi, si nota come la donna quasi mai sorridesse. Al contrario, il suo volto sembra quasi rigido, teso. Diversamente, quello di Sebastiano appare sempre disteso, felice e sorridente.

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Sulla scorta di quanto premesso è possibile ipotizzare che Liliana, trovatasi in una situazione di sofferenza dettata dall’incapacità di scegliere tra i due uomini, possa essersi determinata al suicidio. Anche se, avvalorando quest’ultima tesi, per arrivare a compiere l’estremo gesto con quelle modalità, si deve ipotizzare inevitabilmente la sussistenza di un profondo e non arginabile disagio emotivo. Un disagio che, però, stando alle testimonianze di parenti e amici, nessuno aveva percepito. E questo è un elemento non di poco conto.

Sempre con riferimento alla presunta simbiosi, a mio avviso, c’è un’altra “nota stonata”L’uomo ha sporto denuncia soltanto alle 22:00 del 14 dicembre 2021. Quale coppia che vive in maniera simbiotica effettua una denuncia di scomparsa dopo che i vicini chiedono contezza della donna? Se Claudio non li avesse allarmati, Sebastiano quando si sarebbe recato in caserma? Moglie e marito, comunque, non si erano più visti né sentiti dal primo mattino.

E ancora. Sebastiano ha dichiarato di essere venuto a conoscenza della frequentazione con Claudio soltanto dopo la scomparsa di Liliana. Ne era all’oscuro perché Liliana aveva appena iniziato il distacco o forse perché ognuno aveva comunque i suoi segreti?

Chi era Liliana Resinovich?

C’è più di un elemento che non torna in questa storia. Al momento non sembrano infatti esserci prove schiaccianti né in senso omicidiario né in quello suicidiario. Neppure i riscontri genetici, da quel che è emerso, hanno fino ad ora fornito risultati fuor di dubbio dirimenti. Omicidio o suicidio? In attesa degli accertamenti di matrice tossicologica, è forse necessario cercare altrove.

La morte di Liliana risulta, al momento, un caso di morte sospetta. In questo senso, dunque, sarebbe utile anche il ricorso all’autopsia psicologica.

In altri termini, sarebbe opportuno effettuare una ricostruzione retrospettiva dello stato mentale e del vissuto psico-sociale di Liliana. Tale operazione potrebbe iniziare a dare qualche risposta anche agli interrogativi poc’anzi evidenziati.

L’autopsia psicologica è una tecnica forense capace di rivelare la presenza di eventuali propositi suicidiari ed è in grado di chiarire eventualmente il perché quei propositi si siano concretizzati in quel particolare frangente dell’esistenza.

Liliana era felice in quella relazione? Avrebbe mai potuto togliersi la vita in un modo così barbaro?

La ricostruzione biografica in parola, che avviene analizzando anche le peculiarità personologiche e comportamentali, è possibile attraverso le testimonianze di parenti, amici e di chiunque sia entrato in contatto con la vittima negli ultimi mesi di vita. Claudio la dipinge come una donna felice, in procinto di festeggiare l’anniversario della loro amicizia e un week-end fuori porta. Sebastiano parla di sua moglie come una donna serena, che progettava di trasferirsi con lui in una casa più grande.

Quali erano le reali intenzioni di Liliana? C’è poi il ricordo dell’amica con la quale era stata a cena la sera prima della scomparsa. Quest’ultima la descrive come più accigliata del solito, pensierosa. Fino a che punto la vita relazionale può aver indotto la donna a togliersi la vita? Di sicuro, a mio avviso, accanto alle indagini di matrice scientifica e tossicologica, gli inquirenti non possono prescindere anche da un tipo di analisi come quello appena descritto.

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Il linguaggio verbale e non verbale

Come già ho avuto modo di spiegarvi parlando di Silvia e Paola Zani, c'è uno strumento particolarmente utile per decodificare la menzogna: la lettura del linguaggio verbale e di quello non verbale.

Mentre il linguaggio verbale fa riferimento al parlato, quello non verbale inerisce le espressioni del corpo e del volto. Nello specifico, l'analisi comportamentale si fonda sullo studio delle emozioni che riguardano lo stato mentale, psicologico e fisiologico della persona interessata. Per espletare un simile esame è necessario sempre prendere in considerazione gli occhi, le mani e i piedi. Che cosa ci dice l'analisi del linguaggio non verbale di Sebastiano?

Per quel che è possibile ricostruire dagli spezzoni delle interviste rilasciate alle diverse emittenti televisive, la prima cosa che balza all'occhio è il suo sguardo perso nel vuoto, che denota sicuramente un atteggiamento di disconnessione rispetto alla realtà. Un altro elemento rilevante è, a mio avviso, il ricorrente stropicciamento degli occhi di fronte a domande più intime dell'intervistatore. Ebbene, toccarsi gli occhi può implicare la scelta inconscia di non affrontare un determinato argomento. Nel dettaglio, il momento in cui viene stropicciato l'occhio coincide con il tema scottante che si vuole evitare. Ma questi, in verità, sono tutti aspetti che possono perfettamente sovrapporsi al comprensibile disagio emotivo per la perdita della moglie.

C'è piuttosto un altro passaggio fondamentale. Quando viene ritrovato il corpo, di fronte alla giornalista, Sebastiano afferma di sperare che quel corpo non sia della moglie. Poi, però, poco dopo, sempre alla domanda del suo interlocutore, Sebastiano risponde: "Lei era". Una svista dovuta a quel particolare momento di sollecitazione emozionale?

La borsa chiara

I documenti, il portafogli e i cellulari di Liliana sono stati rinvenuti in una borsa all’interno dell’abitazione. Per la precisione, all’interno di una shopping bag griffata di colore chiaro. E proprio il dettaglio “colore chiaro” apre un particolare scenario. In prima istanza perché il cadavere di Lilli è stato rinvenuto con una borsa nera e vuota. Da tale angolo di visuale, quindi, la donna – secondo quanto raccontato dalle amiche e dalle fotografie – era solita utilizzare borse scure in inverno e borse chiare in estate. Stando alle sue abitudini, che si concretizzavano nell’uscire di casa con almeno uno di quei telefoni, potrebbe verosimilmente aver preparato quella borsa prima dell’addio. Suggestivo, forse. Ma il fatto che abbia riposto tutto in una borsa firmata potrebbe non essere una casualità.

Gli esami sui sacchi

Insieme agli esami tossicologici, un ruolo indubbiamente fondamentale sarà ricoperto dagli esiti degli accertamenti disposti sulle buste che avvolgevano il corpo di Liliana. Al momento del rinvenimento, infatti, il suo corpo era racchiuso in due sacchi neri di media dimensione e il suo capo era infilato in due buste di nylon. Lo stato di decomposizione del cadavere avvalora l’ipotesi che la morte sia avvenuta il giorno della sua scomparsa.

Di conseguenza, sarà opportuno verificare lo stato di conservazione dell’involucro intorno al collo: se e come è stato stretto, se e come era ancorato alla gola.

Invero, dai primi accertamenti risulta che i due sacchi fossero di media dimensione e non uniti tra loro da nastro adesivo.

Stessa importanza sarà acquisita dall’accertamento del materiale di quelle buste: erano disponibili nella abitazione dei coniugi? Oppure potrebbero essere state trovate dalla donna, o dal suo ipotetico assassino, altrove? In questo senso, il cadavere è risultato ben conservato eccezion fatta per la testa. Analogamente, nonostante l’intervento degli agenti atmosferici, ben preservati erano i sacchi che aveva intorno alla testa. Vedremo, dunque, le risposte fornite anche dall’analisi merceologica.

Questa considerazione fa da sponda a un’altra. Difatti, sarà anche dirimente osservare lo stato delle mani di Liliana. Erano libere oppure legate? Seppur sia un’ipotesi concreta quella del suicidio perpetrato con quella modalità, non può sottacersi come – nel momento esatto in cui ci si avvicina alla morte e non si è più in grado di respirare – l’istinto, per l’intollerabilità della situazione, induca a strappare il sacco e quindi a boicottare il proposito autolesionistico. Tanto è vero che, in previsione di un simile scenario, alcune persone arrivano a legarsi le mani prima di compiere il gesto per paura di fallire.

Sulla scena del crimine

Secondo quanto ricostruito fino ad oggi dagli inquirenti, né sulla scena del crimine né sulle buste né sul terriccio, sono state repertate tracce diverse da quelle riconducibili a Liliana.

Alla base della criminalistica c’è un principio che orienta l’attività di chi, come me, è abituato a intervenire sulla scena del crimine. Noto come Principio di Locard, o Principio dell’Interscambio, esso può sintetizzarsi con la massima “Ogni contatto lascia una traccia”. Nello specifico, se una persona entra in contatto con un’altra o con un oggetto si verifica uno scambio: lascerà qualcosa e porterà su di sé qualcosa di quel contatto.

Dunque, sulla scorta di quest’ultimo, una lettura superficiale è capace di indurre a propendere per il suicidio. In realtà, l’assenza di tracce potrebbe essere giustificata dall’utilizzo di guanti da parte dell’assassino. La parola ai tossicologici.

I Tablet e i dispositivi elettronici

La Procura di Trieste ha serrato le indagini, ma da quel che è emerso gli inquirenti non avrebbero sequestrato né il tablet né gli altri dispositivi elettronici nella disponibilità di Liliana. Un dato effettivamente non di poco conto, dal momento che quegli apparecchi potrebbero mostrare eventuali ricerche effettuate dalla donna sia in ordine alle presunte modalità di suicidio, sia in relazione all’eventuale visita di siti per organizzare il week end programmato con Claudio.

Le telecamere e le chiavi

Liliana, secondo quanto confermato anche dal procuratore capo, è stata ripresa dalla telecamera di un autobus nei pressi di piazzale Gioberti mentre si allontanava dal negozio di frutta e verdura. Poi il vuoto. I vestiti dalla donna fotografati dalle telecamere sono gli stessi indossati al momento del rinvenimento del corpo: giacca grigia, pantaloni scuri, orologio rosa al polso, le scarpe, gli occhiali e le chiavi di casa in tasca.

Ma c’è un altro giallo nel giallo. Le chiavi di casa dei due coniugi, ritrovate come detto nella tasca del piumino di Liliana, non sarebbero quelle che usava di solito, ma si tratterebbe di una copia.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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