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Matteo Messina Denaro

Un anno dopo l’arresto del boss Matteo Messina Denaro: Roberto Saviano racconta l’Operazione Tramonto

Una latitanza durata trent’anni e terminata grazie alle parole di una delle più piccole vittime del boss di Cosa Nostra. Matteo Messina Denaro il 16 gennaio 2023 veniva scovato e arrestato a Palermo. Fanpage.it, un anno dopo, racconta quell’operazione insieme a Roberto Saviano.
A cura di Redazione
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Di Gaia Martignetti, Leonardo Meuti, Peppe Pace, Roberto Saviano, Giorgia Venturini

È passato un anno dall'arresto di Matteo Messina Denaro. La mattina del 16 gennaio del 2023 è entrata nella storia italiana. È stata ancora una volta Palermo ad applaudire l'arresto di uno dei più importanti boss di Cosa Nostra. Dopo l'arresto di Totò Riina e Bernardo Provenzano, il capo del mandamento di Castelvetrano è stato individuato e arrestato dopo 30 anni di latitanza fuori dalla clinica "La Maddalena" nel capoluogo siciliano, dai carabinieri della CrimOr e Gis. Qui stava curando un tumore al colon che ne causerà la morte il 25 settembre dello stesso anno.

Un anno fa è stato catturato il boss, ma come si è sgretolato negli anni l'impero di Matteo Messina Denaro? Chi ha contribuito all'arresto del boss più ricercato d'Italia?

A motivare negli anni i carabinieri della CrimOr sono stati i versi di una poesia scritta da una bambina di 9 anni, Nadia Nencioni: "Il pomeriggio se ne va il tramonto si avvicina. Un momento stupendo. Il sole sta andando via a letto. È già sera, tutto è finito".

Questi versi sono stati scritti su un muro di un giardino a Romola (Firenze) che porta il nome della poesia: "Tramonto". In questo piccolo paesino non lontano dal capoluogo toscano abitano gli zii di Nadia, Patrizia Nencioni e Luigi Dainelli. Sono loro a fare in modo che la piccola Nadia non venga dimenticata: la bimba è una delle vittime della strage dei Georgofili a Firenze la notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993 per mano di Cosa Nostra.

Il giardino con la poesia "Tramonto" di Nadia Nencioni a Romola, paese alle porte di Firenze
Il giardino con la poesia "Tramonto" di Nadia Nencioni a Romola, paese alle porte di Firenze

A morire nella scoppio di quella bomba furono, oltre Nadia, sua sorella Caterina di appena 50 giorni, i suoi genitori Angela Fiume e Fabrizio Nencioni e lo studente Dario Capolicchio. Per quella strage fu condannato all'ergastolo anche Matteo Messina Denaro. E trent'anni dopo, il 16 gennaio del 2023, questi versi scritti da Nadia, faranno arrestare il super latitante.

Le parole di Nadia infatti hanno ispirato e motivato i carabinieri della CrimOr di Palermo: la poesia è appesa sulla parete di fianco alla scrivania di Ulisse, il maggiore e comandante del reparto del Ros che ha arrestato il boss. Per questo l'operazione che ha portato all'arresto di Matteo Messina Denaro è stata chiamata "Tramonto".

"Per noi è stato molto importante – spiega Ulisse a Fanpage.it – perché così abbiamo dato un senso di rivincita a tutte le vittime di mafia. Non solo: è stato il nome perfetto per la nostra operazione perché ha segnato il tramonto di un capo di Cosa Nostra che per trent'anni si è preso gioco delle Istituzioni".

La vita all'interno della caserma del Ros a Palermo

Per anni la caserma dei Ros a Boccadifalco a Palermo è stata la casa di tutti i militari che hanno dato la caccia a Matteo Messina Denaro. Appena si entra lo si capisce subito: non è un semplice ufficio, qui notte e giorno si lavorava per cercare l'ultimo stragista di Cosa Nostra.

Appena si apre la porta della caserma c'è la foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La sensazione è che in questo posto si faccia la storia. Nell'angolo a sinistra della cornice invece è stata appoggiata l'immaginetta di Don Pino Puglisi, il "beato" per chi si occupa di lotta alla mafia. Le stesse foto che il 16 gennaio del 2023 ha visto anche Matteo Messina Denaro.

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"Noi viviamo le giornate appresso alle persone che indaghiamo – spiega a Fanpage.it Grigio, un operatore dalla CrimOr – Non abbiamo orari nostri. Noi viviamo con gli orari di chi intercettiamo. Sono stati anni di lavoro e sacrifici. Tempo tolto alle nostre famiglie, compagne, mogli e figli".

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La cattura di Matteo Messina Denaro

La svolta nelle indagini arriva il 6 dicembre del 2022 quando tre militari entrano a casa della sorella del boss, Rosalia Messina Denaro, e trovano un appunto scritto dalla donna nascosto in una gamba della sedia della camera da letto. La coincidenza vuole che i carabinieri nello stesso punto volevano nascondere una microspia per attivare le intercettazioni in casa. Si è capito subito che il 2023 poteva essere "l'anno buono". E dopo 30 anni lo è stato veramente.

L'appunto della sorella Rosalia Messina Denaro da cui scattò l'operazione "Tramonto" dei carabinieri
L'appunto della sorella Rosalia Messina Denaro da cui scattò l'operazione "Tramonto" dei carabinieri

"Dissi una bugia a mia moglie – racconta il carabiniere Falco (nome di battaglia ndr) a Fanpage.it -. Le dissi che un collega aveva avuto un incidente e io dovevo sostituirlo e che non sapevo quando sarei rientrato. Lei capì che c'era qualcosa che non tornava, però non ha fatto nessuna domanda. Non ci siamo sentiti se non con qualche messaggio. Il 16 gennaio subito dopo l'arresto l'ho chiamata, aveva capito tutto".

Ogni militare della CrimOr quel 16 gennaio aveva un compito preciso. L'obiettivo era comune: portare a termine l'operazione "Tramonto". "Io il 16 gennaio – spiega Falco a Fanpage.it – ero qui in cabina di regia. Avevamo tutti i monitor accesi e guardavamo. Cercavamo di monitorare gli spostamenti attorno alla Maddalena. Quindi un occhio sopra gli occhi". Gli altri colleghi intanto avevano accerchiato la clinica e attendevano.

Matteo Messina Denaro è entrato nella clinica per fare una seduta di chemioterapia. Registrandosi, così come le altre volte, con il nome di Andrea Bonafede, per poi allontanarsi. Per qualche minuto si sono perse le sue tracce. Si è pensato abbia preso l'ascensore per andare al piano per le cure, ma una volta aperte le porte non è uscito nessuno.

Falco, uno degli uomini della CrimOr che hanno arrestato Matteo Messina Denaro
Falco, uno degli uomini della CrimOr che hanno arrestato Matteo Messina Denaro

"Abbiamo deciso di andare a verificare la videosorveglianza della struttura e di comprendere come lui si fosse spostato all'interno – ricorda il comandante Ulisse -. Ovviamente le comunicazioni iniziali tra di noi sono state tutte quante di massima attenzione: non potevamo rischiare che lui scappasse".

Prosegue Grigio: "C'è stato questo momento che non si riusciva a capire dove fosse andato. Ho pensato che ancora non l'avevo toccato".

Solo una questione di attimi. Matteo Messina Denaro è stato trovato all'interno di un'auto in via Domenico Lo Faso a Palermo, una piccola via vicino alla clinica. Sono Pietra e Turco i primi a trovarlo e a bloccarlo: "Quando si è girato verso di me l'ho riconosciuto subito – spiega Turco -. Anche perché ho notato una somiglianza incredibile con la sorella maggiore Rosalia. Lo abbiamo fatto scendere dalla macchina. Nel frattempo il collega ha bloccato l'autista, identificato poi come Giovanni Salvatore Luppino".

In poco tempo è scoppiata la gioia tra i colleghi e tra i cittadini che si trovavano lì per caso. Le persone che erano presenti hanno fatto scattare un lungo applauso. Ma non c'è tempo per festeggiare: Matteo Messina Denaro è stato prima portato in caserma per firmare i verbali e poi trasportato in aereo al carcere al 41 bis de L'Aquila. Intanto altri militari si sono precipitati a raggiungere il covo dell'ormai ex latitante.

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Come si è nascosto Matteo Messina Denaro negli anni della sua latitanza

Ad analizzare per Fanpage.it la strategia usata dal boss per nascondersi durante la sua latitanza è Roberto Saviano: "Per trent'anni Matteo Messina Denaro è riuscito a sfuggire nascondendosi alla luce del sole. Va al supermercato, si muove liberamente, compra il necessario per condurre una vita del tutto normale. Matteo Messina Denaro però è malato e per curarsi in una delle cliniche più famose di Palermo si deve esporre. Aiutato da alcuni prestanomi, il boss usa una falsa identità: quella del fedelissimo Andrea Bonafede".

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Il boss si cura nella sua Sicilia dove ha vissuto – stando agli ultimi accertamenti emersi dalle indagini – sicuramente almeno gli ultimi anni della sua latitanza. Sceglie casa sua: Campobello di Mazara. E lo fa seguendo una logica, o meglio un proverbio ebraico che spiegherà anche durante il suo primo interrogatorio davanti al procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia e al procuratore aggiunto Paolo Guido: "Se vuoi nascondere un albero piantalo nella foresta".

"Semplice – spiega Saviano -. Se ti rendi eccezionale, sarai identificabile. Ma se invece ti muovi siciliano tra i siciliani, malato tra i malati, accento tra gli accenti non sei nient'altro che un albero piantato nella foresta. Per scovare l'albero estraneo a quella foresta bisognerà andare a bussare sui legni uno per uno e solo facendo così forse puoi essere scoperto".

Concetto spiegato a Fanpage.it anche dal procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia: "Quando Messina Denaro dice che il modo migliore per nascondersi è essere come un l'albero nella foresta in qualche misura dice una cosa vera, perché è la cosa migliore per nascondere un bene. Ma lo ha fatto in un contesto particolare, nel senso che gli altri alberi sapevano che c'era un albero ‘anomalo'. Così come è chiaro che attorno a lui c'è una parte di popolazione indifferente, una parte complice e una parte fortemente intimidita".

Quella foresta era Campobello di Mazara, un paese siciliano di circa 12.000 anime, poco distante dalla sua città natale, Castelvetrano. E l'ultima volta che Matteo Messina Denaro aprì la porta di casa sua da uomo libero è il 16 gennaio 2023.

L'impero del boss di Cosa Nostra è caduto anche per i pentiti

Negli ultimi trent'anni le forze dell'ordine e la Procura di Palermo hanno arrestato i parenti e fedelissimi di Matteo Messina Denaro. Ma nella storia del boss ci sono anche pentiti che hanno collaborato con la magistratura. Tra questi c'è un cugino della famiglia Messina Denaro, Lorenzo Cimarosa.

"Mio padre – spiega a Fanpage.it il figlio Giuseppe Cimarosa – è stato il primo che ha rotto il muro di omertà all'interno della famiglia. Non era mai accaduto. Quindi il danno è stato enorme. Mio padre stesso però non era che una delle tante pedine del gioco di Messina Denaro: veniva utilizzato come tanti altri imprenditori per recuperare denaro che serviva per la latitanza del boss".

Lo precisa anche Rosa Filardo, cugina di Matteo Messina Denaro: "Mio marito è stato condannato per mafia, ma lavorava per favorire la latitanza del boss. Noi ormai siamo da tempo dissociati, non facciamo più parte di questo mondo". Un affronto enorme per la famiglia.

Perché? "Cosa Nostra – spiega Saviano – ha molte articolate regole. La principale di certo è non pentirsi, non tradire mai. Lo dirà anche Matteo Messina Denaro stesso in un suo interrogatorio diventato celebre: se ti penti Cosa Nostra non può perdonarlo. È così che nasce uno degli omicidi più cruenti della storia della mafia siciliana, quello di Giuseppe, figlio di Santino Di Matteo uno dei primi mafiosi a decidere di collaborare con la giustizia".

La storia del piccolo Giuseppe Di Matteo

A raccontare a Fanpage.it chi era Giuseppe Di Matteo è il fratello Nicola: "Non so cosa vuol dire crescere con un fratello, è qualcosa che non ho provato e mi dispiace perché mi manca". Giuseppe ha dodici anni quando viene rapito e sequestrato da Cosa Nostra per 779 giorni, poi è stato strangolato e sciolto nell'acido.

Cosa Nostra lo ha ucciso perché il padre Santino ha collaborato con la magistratura, pensavano che rapendo suo figlio lo avrebbero zittito. Matteo Messina Denaro è stato condannato come uno dei mandanti di questo terribile crimine. Eppure il boss, in sede di interrogatorio, ha negato di aver voluto la morte del bambino.

Istituto "Giuseppe Di Matteo" Castelvetrano
Istituto "Giuseppe Di Matteo" Castelvetrano

"Messina Denaro in interrogatorio – interviene Saviano – dichiara di non conoscere Cosa Nostra. In sede di interrogatorio Messina Denaro si comporta da ‘uomo d'onore' di Cosa Nostra. Non parla di niente, ma su questo punto d'improvviso si trasforma e inizia quasi a collaborare, perché vuole dare delle informazioni. E lo fa per difendersi dall'accusa di aver sequestrato, ucciso e sciolto nell'acido un bambino".

Poi Nicola continua a ricordare il fratello, rapito nel 1993 e ucciso nel 1996: "Io ero molto piccolo, avevo dieci anni, non capivo bene quello che era successo. Ora è impossibile immaginare tutto quello che hanno fatto a mio fratello: hanno deciso di fargli fare una fine veramente terribile. Non hanno fatto ritrovare neanche il corpo. Queste persone frequentavano casa, non sapevamo chi erano perché eravamo bambini. Mangiavano e vivevano con noi. Loro sono uomini del disonore".

Nicola oggi protegge la sua famiglia: nella sua vita si è sempre tenuto alla larga dalla mafia e così lo ha fatto la cittadinanza sana di Castelvetrano. "La scuola che frequentò Matteo Messina Denaro – aggiunge Saviano – nel cuore del paese viene intitolata proprio a Giuseppe Di Matteo. Si tratta di un piccolo gesto simbolico, la cui potenza però è dirompente perché proprio nella città natale del boss è stato commemorato questo bambino che è stato vessato, isolato, torturato e ucciso".

Matteo Messina Denaro e il sospetto sulla strage di Capaci

Due mesi prima di morire Matteo Messina Denaro incontra per l'ultima volta i magistrati di Palermo, tra questi c'è sempre l'aggiunto Paolo Guido. Dopo due ore di interrogatorio, quando ormai si sta chiudendo il verbale, il boss cerca di prendersi beffa dei procuratori: dirà che la magistratura si è accontentata sulle indagini della strage di Capaci, dirà che Falcone non è stato ucciso solo per il Maxiprocesso. Il capo del mandamento di Castelvetrano è stato condannato all'ergastolo come mandante per la strage di Capaci e di via D'Amelio

L'ex procuratore nazionale antimafia nonché giudice a latere del Maxiprocesso Pietro Grasso, intervistato da Fanpage.it, ha risposto al boss: "Mi meraviglia che Matteo Messina Denaro possa insinuare il dubbio che i magistrati non abbiano spinto fino in fondo le indagini sulla strage di Capaci in cui è morto Giovanni Falcone. Perché io personalmente, ma anche altri miei colleghi magistrati, abbiamo sempre fatto di tutto per cercare tutti gli elementi possibili, per dimostrare che oltre alla mafia c'era qualcos'altro. C'era una presenza esterna anche nella strage di Capaci, non solo nelle altre stragi come quella di via D'Amelio e quelle di Firenze, Roma e Milano. Vorrei ancora sapere chi sono quelle persone importanti dal punto di vista economico, politico, imprenditoriale che ha incontrato Riina quando ha cambiato la strategia perché Falcone doveva essere ucciso a Roma. Poi qualcosa cambiò".

Durante il primo interrogatorio invece Matteo Messina Denaro sfida ancora i magistrati: dirà che lui Cosa Nostra non la conosce. Dirà di averne sentito parlare in televisione, come tutti. Ma in un suo pizzino trovato a casa della sorella Rosalia si legge: "Essere incriminati di mafiosità arrivati a questo punto lo ritengo un onore. Siamo stati perseguitati come fossimo canaglie, trattati come se non fossimo della razza umana. Siamo diventati un'etnia da cancellare".

Matteo Messina Denaro era convinto di essere stato in tutti questi anni dalla parte giusta, di aver combattuto lo Stato per un ideale giusto. Ma lui era uno dei capi di Cosa Nostra.

Il caso Vaccarino che avrebbe dovuto catturare Messina Denaro anni prima

I servizi segreti italiani ci provarono vent'anni prima a catturare Matteo Messina Denaro. Antonio Vaccarino, l'ex sindaco di Castelvetrano morto nel 2021, era stato convinto dal Sisde a scrivere una serie di pizzini al boss mafioso. E così è stato: sarà proprio Messina Denaro in persona a rispondere a Vaccarino. Lo conferma una perizia di Katia Sartori, la criminalista incaricata dalla moglie di Vaccarino perché accertasse la "paternità" del boss di quei pizzini.

"La strategia del Sisde – spiega la criminalista a Fanpage.it – era una strategia ben congegnata: arrivare a stanare l'ultimo degli stragisti, il super latitante Matteo Messina Denaro. Ma non solo. Probabilmente volevano tracciare tutto l'organigramma di Cosa Nostra. Volevano capire l'influenza delle famiglie di Cosa Nostra nel territorio siciliano e sicuramente anche cercare di colpire gli aspetti economici".

Sarà Matteo Messina Denaro in persona a rispondere a Vaccarino. Il boss si fida perché suo padre Francesco Messina Denaro conosceva l'ex sindaco e perché a Castelvetrano Vaccarino era conosciuto come uomo di cultura, elemento che convince Messina Denaro. E proprio di cultura il boss parlerà in quei pizzini.

"Nelle lettere Matteo Messina Denaro – aggiunge Saviano – si firma Alessio, ma dà un nome a Vaccarino: Svetonio, lo storico latino che ha scritto Le vite dei Cesari. Lui, un Cesare che scrive al suo storico Svetonio". Vaccarino riesce a mettersi in contatto con il boss per due anni, ma non si arrivò a nessuna cattura: durante la perquisizione nel casale dove si era nascosto Bernardo Provenzano la polizia trovò i pizzini che svelarono questa amicizia tra "Alessio" e "Svetonio".

Le lettere si fermarono e Matteo Messina Denaro venne informato, in qualche modo, del piano del Sisde: il boss di Castelvetrano inviò un ultimo pizzino a "Svetonio", sarà una lettera di minaccia in cui informa l'ex sindaco di Castelvetrano che era entrato nel suo testamento. Che per il boss era la massima dichiarazione di morte.

La lettera di minaccia scritta da Matteo Messina Denaro ad Antonio Vaccarino e analizzata dalla criminalista Katia Sartori
La lettera di minaccia scritta da Matteo Messina Denaro ad Antonio Vaccarino e analizzata dalla criminalista Katia Sartori

Matteo Messina Denaro cadrà perché tradito dai pizzini

I boss di Cosa Nostra ancora oggi continuano a comunicare tramite pizzini. Lo ritengono il metodo più sicuro proprio perché studiato con delle regole inviolabili: tra queste c'è quello di distruggerlo una volta letto. Invece di pizzini ne sono stati trovati, anche nei covi dei più importanti uomini di Cosa Nostra. E alla fine sarà proprio un appunto, trovato nella casa di sua sorella Rosalia, a tradirlo: la sua fedelissima ha scritto un appunto con tutti i dati medici del fratello che non ha poi mai distrutto.

"Arriviamo alla svolta – continua Saviano – delle indagini per la cattura e la caduta del boss. Un mese prima del 16 gennaio 2023, Matteo Messina Denaro commette un errore, lo induce la malattia. Questo errore lo dirà lui stesso, è scrivere alla sorella Rosalia. Ancora una volta a tradirlo sono dei segni. Dei pizzini e degli appunti proprio di Rosalia".

Lo raccontano gli uomini della CrimOr cosa è accaduto: "Abbiamo seguito Messina Denaro Rosalia per anni, cercando di capire dove fare evoluzioni tecniche, dove poter vedere e ascoltare di più. Cercando di capire gli stati d'animo di questa donna quando si muoveva anche nelle cose più intime, nei movimenti, nelle faccende più intime, nelle faccende giornaliere. Sapevamo con certezza che Messina Denaro Rosalia usava degli accorgimenti a casa, cioè usava delle precauzioni, delle trappole per capire se qualcuno era entrato".

E una volta all'interno della casa viene trovato l'appunto: "Da subito abbiamo capito che si trattava di qualcosa di importante, abbiamo fotografato il contenuto di questi biglietti. Il tempo iniziava a stringere, quindi rimettiamo tutto a posto, cercando di non lasciare nessuna traccia". Da qui sono scattate subito le indagini, è scattata l'operazione "Tramonto".

Roberto Saviano conclude così: "Il resto è storia. Il 16 gennaio del 2023 Matteo Messina Denaro viene arrestato. Diventerà iconica la scena del boss che esce scortato dai carabinieri indossando un montone. Lo arrestano al culmine di un'operazione chiamata Tramonto, che prende il nome dai versi di una delle più piccole vittime del boss di Castelvetrano".

"Chissà se si fosse laureata Nadia – pensa lo zio di Nadia Nencioni Luigi Dainelli -, se avesse scritto altre poesie? Sono domande che rimangono nel nostro cuore ma che non hanno risposta. Chissà come sarebbe stata la sua vita".

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