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Intervista a Eddi Marcucci, condannata alla sorveglianza speciale dopo aver combattuto contro l’Isis

Maria Edgarda Marcucci, per tutti “Eddi”, si è unita alle donne curde in Siria per combattere contro l’Isis. La procura di Torino l’ha definita “socialmente pericolosa” e la Cassazione ha confermato la condanna al regime di sorveglianza speciale. Deve rimanere in casa dalle 21 alle 7. Non può incontrare più di 5 persone. Ha limitazioni di accesso agli spazi pubblici, compresi supermercati e bar. Non può essere in possesso di passaporto e patente. La sua carta d’identità non è valida per l’espatrio. E deve portare con sé un quaderno rosso per segnare tutti i suoi spostamenti.
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Maria Edgarda Marcucci detta “Eddi”
Maria Edgarda Marcucci detta “Eddi”

Dopo essere intervenuta a un evento pubblico per raccontare la condizione della popolazione civile in Rojava e nella Siria del nord-est, Maria Edgarda Marcucci, 30 anni, è stata denunciata dalla Digos per aver violato i divieti imposti dal regime di sorveglianza speciale. Una misura di prevenzione, questa, che può essere applicata anche solo sulla base di indizi e senza nessuna prova di commissione di illeciti, come nel caso della Marcucci. L'attivista, infatti, non ha commesso alcun reato. A Fanpage.it dice: "Questa misura di prevenzione mi ha sorpresa, non pensavo arrivassero a tanto. Sono molte le questioni per le quali non sono allineata con lo Stato italiano ma la lotta contro l’Isis non era una di queste. Anzi, era una delle poche volte in cui mi ritrovavo dalla stessa parte. Dicono che le YPJ (Unità di Protezione delle Donne) sono un’esperienza storica importante e positiva, salvo se ci partecipo io. Mi definiscono socialmente pericolosa. Se andiamo a vedere la natura della mia pericolosità, si tratta della mia attività politica. Questa misura non sanziona qualcosa che ho fatto, sanziona chi sono – dice l'attivista e continua – È strano vedere le stesse persone unirsi ai cori contro l’Isis, a favore delle donne curde, afgane e contro Al-Qaeda, non fare niente davanti a misure liberticide come quelle di prevenzione. Se si dice una cosa ci si comporta di conseguenza. Io dico che questa misura è illegittima e mi comporto di conseguenza".

"Pericolosa perché ho imparato a usare le armi contro l'Isis"

Eddi Marcucci si è unita alle donne curde YPJ nel 2017 e dal 17 marzo 2020 vive la sua vita come una sorvegliata speciale. Dopo aver combattuto con le armi i fondamentalisti jihadisti, si pensa che potrebbe utilizzare le competenze che ha acquisito sul campo di battaglia, anche in Italia. "Non avevo bisogno di andare in Siria per imparare ad usare un fucile, se questa è la questione. Il messaggio che arriva dalla procura di Torino è molto grave nel momento in cui dei giudici sanciscono che non occorre nemmeno commettere reato per restringere la libertà di una persona. Un messaggio che contrasta qualunque principio di giustizia, anche liberale. Io posso perdere la libertà di parola in questo Paese perché un Pubblico Ministero ha deciso che io potrei essere un pericolo per questa società. Quando vengo invitata a pubbliche riunione alle quali non potrei partecipare, io partecipo comunque. Perché per quanto mi riguarda questo è un precedente molto grave. Stare in silenzio e farlo passare, per me non è un’opzione. La denuncia è un prezzo che io sono disposta a pagare. Sarebbe un prezzo ancora più alto se un’altra attivista dovesse essere condannata a questo regime perché nessuno ha fatto niente. Questo per me sarebbe insostenibile".

Per l'attivista "ci sono modi di resistere che hanno un costo molto alto di lotta e richiedono moltissima organizzazione e forza d’animo. Ci sono anche tante forme di resistenza simbolica. Se attaccano con delle armi, si risponde con le armi". E continua: "Bisogna definire la differenza che c’è tra te e il nemico. Dipende anche da quale nemico parliamo. Tra me e il nemico jihadista c'è un’idea diversa che ci guida nel mondo. Quando arrivò la richiesta di sorveglianza speciale era evidente che chi l’ha commissionata non aveva idea di cosa stesse parlando. ‘In relazione alla richiesta di applicazione di misure di prevenzione personali a carico di cittadini italiani aderenti alla YPG e alla YPJ ai sensi dell’articolo 4 comma1 per aver preso parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’articolo 277 del codice penale', hanno scritto. Le sigle delle organizzazioni erano sbagliate. Hanno detto che la YPG ( l'Unità di Protezione Popolare) faceva parte del “KPP”. Credo intendessero scrivere PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) che opera in Turchia e in Iraq. È la Turchia che riconduce tutto al PKK per giustificare l'invasione in Siria. È peculiare che la procura di Tornio si rifaccia a quella che è la visione del governo turco rimanendo arretrata rispetto a quello che è stato definito dall’Unione Europea. Il PKK non è più nella lista delle organizzazioni terroristiche.  Ci sono varie sentenze che definiscono illegittimo il suo inserimento. La procura di Torino fa eco all’unica voce rimasta, quella della Turchia. Che è una dittatura".

Perché "Eddi" è andata in Siria a combattere

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"Ritenevo e ritengo che le sorti di quella esperienza politica e sociale interessino anche noi.  La sconfitta dell’Isis che ha fatto vittime innanzi tutto in Siria e in Iraq, era anche la realtà della lotta al fondamentalismo molto lontana da quella che viene raccontata da chi strumentalizza questo fenomeno in chiave xenofoba e islamofoba. Perché la popolazione musulmana è la prima vittima di queste persone. Ed è anche la prima resistenza – spiega e continua – C'è poi il confederalismo democratico, ovvero un’esperienza di governo completamente alternativa rispetto a quelle che conosciamo. È una società intera organizzata secondo principi che non usano la logica del profitto, della competizione e dell’individualismo. Nel 2012 sulla scia delle primavere arabe, in Siria la popolazione si ribellò e incominciò un’insurrezione . Quella che ad oggi chiamiamo guerra civile. In alcune parti del Paese era genuina, ma poco organizzata, quindi è stata immediatamente presa sotto il controllo dell’egemonia turca che ha armato le componenti jihadiste degli insorti. In un’altra parte del Paese invece, da almeno 10 anni, si stavano organizzando per costruire delle forme di governo alternative. L’insurrezione è stata un’occasione politica che il Partito dell’Unione Democratica PYD ha colto per cacciare il regime e dichiarare un sistema federale democratico. Da lì in poi, questa esperienza è cresciuta. Io, nel 2017 , sono arrivata in un territorio abitato da milioni di persone che si auto organizzano. In cui le donne hanno una vita completamente diversa dalla nostra. Paradossalmente migliore anche se in un territorio di guerra. Sono arrivata lì convinta che un’alternativa fosse possibile. Ero curiosa e vogliosa di imparare. Volevo capire come è stato possibile e se effettivamente funzionava. Se assomigliava a qualcosa che potevo aver immaginato in Italia nel collocarmi tra le persone che reputano questo sistema ingiusto e poco pratico".

Confederalismo democratico: la società alternativa del Rojava

Maria Edgarda Marcucci non ha imparato solo a combattere con le armi uno dei nemici più pericolosi del mondo: "Per me è stato un cambiamento profondo e importante che coinvolge tutta la società. Mi sono resa conto che queste persone siriane , irachene, arabe, curde o internazionaliste come me, stavano contribuendo a un progetto che aveva un valore e una possibilità di interloquire con problemi che tutto il mondo si pone.  Il capitalismo non è l’unico sistema in cui si può vivere. C’è un luogo dove 5 milioni di persone lo dimostrano ogni giorno. La YPJ e la YPG sono un punto di una galassia più ampia. Quella della YPJ e della YPG è una forza armata guidata da un’intelligenza politica e sociale collettiva e civile. Essere al fronte non è qualcosa di diverso, tutto sommato, dall’essere impegnata nella società civile. Le YPJ non esistono come corpo militare di per sé. Sono un corpo di auto difesa. Quindi ci deve essere qualcosa da difendere. Quel qualcosa ha la stessa importanza delle conquiste in campo militare – dice e aggiunge – Non è vittoria se hai pareggiato i conti di morte con il nemico . È vittoria se sei riuscita a costruire qualcosa di diverso. Io penso che la nostra società, al momento, scarseggi di una serie di capacità che abbiamo perso e che sono invece vitali. Come la capacità di dialogare e di confrontarsi. L’dea che l’altra persona non sia un ostacolo alla mia vita, ma sia anche una risorsa. Anche solo l’esperienza di unirsi per un obiettivo mettendo come priorità il bene comune e non l’affermazione del singolo. Queste cose si imparano. È un’abitudine, un’abilità che si allena esattamente come si allenano i muscoli. Se anche noi vogliamo cambiare sicuramente dobbiamo cominciare a rigenerare queste capacità".

Eddi spiega come nasce il modello di organizzazione del Rojava: "Quello comunista è stato un movimento di un intero secolo che ha avuto molte forme di espressione – spiega l'attivista che si è unita alle donne curde e continua – Il movimento di liberazione del Kurdistan si rifaceva ai suoi valori. Poi ha fatto un grosso salto dopo una sconfitta storica. Abdullah Öcalan ha teorizzato il confederalismo democratico a partire dalla critica al socialismo di Stato che si è rivelato un qualcosa di molto lontano dal sogno che professavano. C’è una storia di 40 anni di lotta dietro, dalla quale possiamo imparare tantissimo. Ho imparato che le cose non accadono dall’oggi al domani. Io penso che in Italia ci siano tantissime esperienze  da cui partire. Se guardiamo questo Paese dal punto di vista delle lotte a tutela dei territori e di solidarietà sociale, c’è una geografia tutta da scoprire. A partire dai movimenti ambientali  all’attivismo per il diritto alla casa o l’attivismo femminista".

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