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Incendi in Sicilia, in fiamme migliaia di ettari nel Catanese: “C’è la mano della criminalità”

Dieci anni fa Emanuele Feltri ha lasciato Catania e si è trasferito nelle campagne di Paternò. Attivissimo contro le discariche abusive di amianto e copertoni nella Valle del Simeto, al suo arrivo ha subito danneggiamenti e l’uccisione delle pecore. La solidarietà è stata moltissima e lui è diventato un simbolo del riscatto di quelle zone. Domenica tutto quello che aveva è andato a fuoco insieme a circa mille ettari di colline: “Incendi dolosi. C’è la mano della criminalità organizzata”.
A cura di Luisa Santangelo
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"Qui c'è la mano della criminalità organizzata. Ad appiccare questi incendi è stato qualcuno che sa come muoversi sul territorio. La mano è la stessa che da mesi, ormai, sta facendo bruciare tutta la Sicilia". In contrada Sciddicuni, nella zona rurale del Comune di Paternò, le colline sono diventate completamente nere. Domenica scorsa, intorno all'ora di pranzo, sono partiti diversi roghi, in contemporanea, che hanno devastato gli uliveti che crescono aggrappati al terreno argilloso. "Sono oltre mille ettari di terreni bruciati", racconta Emanuele Feltri, giovane imprenditore agricolo che lì si è trasferito dieci anni fa. Un salto dalla città di Catania alla campagna, raggiungibile solo con il 4×4, passando da una strada dissestata fatta solo di pietre e terra, che lo ha portato a finire spesso sulle pagine dei giornali.

Poco dopo il suo trasferimento a Sciddicuni, per coltivare otto ettari con vista sulla Valle del Simeto, Feltri ha trovato le sue cinque pecore sgozzate. A una di queste qualcuno aveva tagliato la testa e gliel'aveva fatta trovare di fronte alla porta di casa. "Una chiara intimidazione", racconta Feltri. Alla sua denuncia, ai tempi, aveva fatto seguito un'indagine della procura. Ma non c'erano stati colpevoli. "Ho attribuito quei fatti, così come vari incendi e danneggiamenti, all'attivismo che avevo avviato: l'Oasi avifaunistica di Ponte Barca, che attraverso per venire qui, è da un decennio luogo di discariche abusive di amianto e copertoni usati, che si moltiplicano come funghi". Coi danni è cominciata anche la solidarietà e in tanti, negli anni, sono andati a lavorare con il giovane in mezzo agli agrumeti e agli ulivi, trasformando la sua storia in un simbolo.

"Sette anni fa c'è stato un altro grosso incendio, anche se di minore entità, che ha distrutto in parte la mia proprietà". A seguito del quale, complici la siccità e la difficoltà di reperire acqua, Feltri aveva deciso di sostituire le sue coltivazioni di arance e mandarini con quelle di mandorle, carrubi e olive per fare l'olio. "Adesso è andato tutto in fumo". Il fuoco è passato ovunque sul suo terreno. Per spegnerlo, domenica, sono intervenuti i mezzi della protezione civile e quelli della forestale. "I vigili del fuoco erano già impegnatissimi altrove".

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Quel giorno le fiamme non hanno lasciato tregua a tutto il Paternese. "Non può essere un rogo partito per una cicca di sigarette: è nato in luoghi difficilmente raggiungibili, se non da chi conosce il territorio o ci lavora". Per Feltri non c'è dubbio: "Quelle fiamme sono dolose. Sono partite tutte contemporaneamente e in più punti, c'è una mano organizzata, dietro". E non sarebbe quella degli allevatori, che bruciano le coltivazioni per guadagnare spazi di pascolo. "Hanno perso tutto anche loro, erano con me a tentare di spegnere le fiamme".

Ma perché bruciare le colline di Paternò? "Questo dovrebbe dircelo la magistratura – conclude Emanuele Feltri, per il quale è stata avviata una raccolta fondi – Non ci si può girare dall'altra parte. E la Regione deve intervenire: noi che abbiamo perso tutto non abbiamo bisogno solo di soldi. Abbiamo bisogno che per tornare a investire qui ci venga dato quello di cui abbiamo bisogno: le strade interpoderali e l'acqua. Non possiamo farcela. E se noi ce ne andiamo qui diventa tutto un deserto".

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