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«Giornalisti missionari contro le mafie» – Intervista a Pino Maniaci

Pino Maniaci è il giornalista che ha dato vita a Telejato, un’emittente giornalistica che trasmette da Partinico a Corleone, passando per Cinisi. Una televisione contro la mafia, che fa i nomi e i cognomi di boss, lacché e capibastone. Informazione scomoda per la malavita, ma soprattutto per la malapolitica.
A cura di Alessio Viscardi
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Ciro Pellegrino intervista Pino Maniaci per fanpage.it

Era un giornalista abusivo, ora è un giornalista col tesserino, ma per le bastonate e per i proiettili dei mafiosi non sembra fare molta differenza. Pino Maniàci -con l'accento sulla seconda a, perché di màniaci ce ne sono già tanti in Italia- è l'anima di Telejato, un'emittente siciliana che fa informazione vera e attivismo civico. L'area coperta da Telejato va da Partinico a Cinisi, passando per Corleone. Maniaci trasmette dal cuore nero della mafia, facendo nomi e cognomi di affiliati, boss e capi mandamento delle Cosche. Pino, pur conducendo ogni giorno un telegiornale, ha sempre rifiutato di prendere il tesserino da giornalista, così nel 2009 fu denunciato per esercizio abusivo della professione. Causa vinta in nome dell'articolo 21 della Costituzione italiana, che sancisce il diritto di tutti i cittadini a manifestare liberamente il proprio pensiero attraverso qualsiasi mezzo. L'Ordine dei Giornalisti della Sicilia gli ha consegnato un tesserino, ma lui -coerentemente- non ha mai pagato la rata d'iscrizione annuale.

Pino Maniaci ha problemi più grandi e pericolosi di quelli con l'Odg. Quando trasmise l'abbattimento della villa di un boss mafioso, il figlio di questi lo inseguì per tutta Partinico, cercando di strozzarlo con la sua stessa cravatta: «Mi sono salvato soltanto perché mio padre mi ha insegnato il nodo alla marinara, che si tira ma non stringe», racconta Pino davanti al pubblico partecipe che lo ascolta nell'androne del palazzo di Ercolano un tempo fortino del clan Birra, oggi sede di Radio Siani. «C'è un piano per la mia eliminazione fisica – dice agli ascoltatori – Loro mi hanno bruciato la macchina, che in gergo mafioso è l'ultimo avvertimento. Poi, il coglione che me l'ha bruciata si è fatto arrestare e ha confessato che le famiglie di Partinico hanno deciso di uccidermi» continua Pino, con voce calma mentre parla di cose così terribili. Il pubblico lo guarda quasi incredulo, forse come tante persone guardavano Falcone e Borsellino prima che fossero fatti saltare in aria con quintali di tritolo. È spiazzante vedere qualcuno parlare della sua morte decisa da altri senza mostrare paura, ma soltanto il fervore di una convinzione maturata da una consapevolezza, quella che la mafia è uno schifo e deve essere combattuta a qualsiasi prezzo.

Questo giornalista -coraggioso sì, ma come dovrebbe esserlo qualsiasi altro giornalista- e la sua Telejato rischiavano di scomparire per sempre. Non per mano della mafia, ma per quella del Digitale Terrestre. Nell'assegnazione delle nuove frequenze, infatti, le televisioni comunitarie come Telejato venivano fortemente penalizzate. Fortunatamente, con un po' di furbizia, una serie di piccole emittenti locali si è consorziata con Telejato, facendo una massa critica tale da aver diritto a ben cinque frequenze. Pino è stato chiaro, una di queste sarà dedicata ai giovani che vogliono diventare giornalisti, a cui lui insegnerà il mestiere vero, quello sul campo, quello rischioso e mal pagato. «Abbiamo bisogno di giornalisti missionari» ci dice, nella nostra intervista esclusiva condotta da Ciro Pellegrino. E poi ci promette: «Se fanpage.it mi invierà le proprie videoinchieste, noi le manderemo in onda su Telejato».

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