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Disney store chiude i negozi in Italia, i sindacati a Fanpage.it: “Ma i conti non erano in rosso”

Il 19 maggio scorso Disney ha annunciato la chiusura di molti dei suoi punti vendita tra Europa, Italia e Nord America. Nel nostro Paese chiuderanno tutti e 15 i punti vendita lasciando di fatto senza lavoro 230 lavoratori. Secondo i sindacati, la decisione è stata comunicata a “cose fatte” con la messa in liquidazione della società.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Sono almeno 230 i dipendenti che hanno perso il lavoro dopo l'annuncio della chiusura di 15 Disney Store in tutta Italia. Il 19 maggio scorso la Disney ha comunicato la liquidazione ai dipendenti italiani. I licenziamenti riguarderanno anche i punti vendita di tutta Europa e 60 negozi in Nord America. Secondo i sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs, la decisione sarebbe stata comunicata a "cose già fatte". Un nuovo accordo stabilito con il Gruppo Percassi prevede il riassorbimento del 70% dei lavoratori italiani licenziati da Disney. Il gruppo franchising assumerà gli ex dipendenti degli store ormai chiusi nei punti vendita Percassi di Verona, Roma, Firenze, Catania e Napoli. A Fanpage.it, il sindacalista Federico Antonelli di Filcams Cgil ha raccontato nel dettaglio i mesi di trattativa per ricollocare a parità di salario e anzianità acquisita buona parte dei 230 lavoratori licenziati. "Esiste la possibilità di essere reintegrati – spiega Federico Antonelli -. L'accordo prevede  l'incentivo all'esodo o la possibilità di lavorare per Percassi. A essere reintegrati saranno circa 156 lavoratori sui 230 licenziati".

Disney ha scelto di chiudere i suoi store per puntare sul commercio online?

Sì, questa è la motivazione che ci è stata fornita sul tavolo della trattativa. Come sindacati abbiamo discusso un accordo che potesse permettere ai lavoratori di continuare il loro percorso

Davvero il fatturato dei negozi è così disastroso da portare a chiusure in Italia, Europa e  Nord America? Risulta difficile da credere

Di sicuro non si tratta di una scelta guidata da conti in rosso: i negozi non andavano affatto male nonostante il rallentamento dovuto alla pandemia. Si tratta di una scelta strategica: l'online rappresenta un'attività più lineare per il franchising. Tutto è avvenuto in nome di un fatturato maggiore, non nel tentativo di recuperare una situazione disastrosa. Abbiamo subìto questa scelta politicamente e negozialmente.

I lavoratori saranno riassorbiti per il 70% dal Gruppo Percassi che ha 125 store in franchising in tutta Italia. Cosa succederà a coloro che non rientreranno in questo piano?

Ci sarà un incentivo all'esodo. Il dipendente avrà sostanzialmente due possibilità: accettare un impiego in Percassi oppure trovare autonomamente un nuovo lavoro. Molti preferiscono la seconda soluzione, mentre chi vive in territori che non offrono vasta gamma di scelta prediligono il riassorbimento

La nuova collocazione dovrebbe riguardare posizioni che non sono occupate da lavoratori già assunti per città come Verona, Roma, Firenze, Catania e Napoli. Possibile quindi che a dipendenti “anziani” venga richiesto il trasferimento?

Soltanto se loro lo vorranno. Sarà valutato il singolo caso, principalmente perché il riassorbimento non è obbligatorio. Si tratta di un'opportunità arrivata per interessamento di Percassi contrattata poi anche con Disney. Certo, qualora a Milano vi fossero posizioni aperte che non saranno occupate neppure dal personale dello store meneghino, un dipendente di Catania può proporsi. Per chi non volesse accettare le offerte, anche provenienti da un'altra città, ci saranno gli incentivi all'esodo

Risulta difficile però pensare che un dipendente più anziano che ha meno offerte di lavoro non accetti un trasferimento anche se ha famiglia a Catania, no?

Sicuramente le difficoltà sono maggiori, ma non sono casi così poco diffusi come si crede. Un lavoratore ha ovviamente il diritto di rifiutare l'ipotesi di un trasferimento dopo aver cresciuto i propri figli anche per 20 anni sempre nello stesso posto. Chi non accetterà l'offerta dovrà trovare un altro impiego per conto proprio. Un'ipotesi comunque considerata da molti, come le dicevo. Ci sono storie personali da tenere presenti ed esigenze che mettono un freno anche alla disponibilità allo spostamento. I lavoratori non sono obbligati ad accettare alcun tipo di offerta, ma soprattutto è lecito che non vogliano sacrificare il proprio vissuto. Il lavoro deve andare di pari passo con la vita privata. Uno stipendio serve a garantirsi una vita onesta e dignitosa, non si può vivere per la retribuzione ovviamente. A noi interessava poter fornire un'alternativa concreta, un paracadute per tante persone che altrimenti sarebbero rimaste del tutto sole. Fortunatamente ci siamo riusciti

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