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Batterio killer in ospedale a Verona, la mamma della piccola Nina: “Sapevano ma non hanno chiuso”

Ha deciso per la protesta a oltranza davanti all’ospedale di Borgo Trento a Verona Francesca Frezza la mamma della piccola Nina, la bimba deceduta dopo aver contratto l’infezione da Citrobacter mentre era ricoverata nel reparto di terapia intensiva neonatale. “Dopo il secondo caso avrebbero dovuto chiudere tutto e la mia Nina sarebbe viva e invece è morta con atroci sofferenze” ha spiegato la dona che chiede le dimissioni dei vertici dei reparti e della Direzione sanitaria.
A cura di Antonio Palma
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"Le infezioni ci sono in tutti gli ospedali, ma si devono prendere provvedimenti, quando si verificano. Invece a Verona non si è fatto niente. Dal 2018 i bambini colpiti sono stati 96, i cerebrolesi sono 9 e i deceduti sono quattro. Tra questi anche mia figlia Nina ma si è aspettato fino al 12 giugno scorso prima di chiudere i reparti”. È il durissimo atto di accusa di Francesca Frezza la mamma della piccola Nina , la bimba deceduta nel novembre dello scorso anno dopo aver contratto l'infezione da Citrobacter mentre era ricoverata  nel reparto di terapia intensiva neonatale dell’ospedale di Borgo Trento a Verona , poi chiuso. Dopo la pubblicazione degli stralci della relazione della commissione di verifica che ha confermato quanto lei ha sempre sostenuto, la donna è corsa davanti all’ospedale per chiedere le dimissioni dei vertici dei reparti e della Direzione sanitaria perché chi aveva la responsabilità di quei reparti non può restare al suo posto.

"Sono qui perché è arrivato l'esito dell'autorevole commissione d'indagine nominata dal governatore Luca Zaia. Un esito pesante, perché conferma tutto quello a cui ho sempre pensato in questo lungo anno" ha ribadito la donna che con i suoi esposti in Procura e una tenacia ferrea è già riuscita portare a galla una storia assurda quanto drammatica. Dalle sue denunce infatti è partita l'inchiesta che ha portato alla chiusura del reparto considerato un'eccellenza e in cui invece , si è scoperto ora, il batterio killer era annidato nel rubinetto del lavandino utilizzato dal personale della Terapia intensiva neonatale.

La verità è emersa definitivamente con la Relazione consegnata dal professor Vincenzo Baldo, ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università di Padova e coordinatore della commissione di verifica nominata il 17 giugno dal direttore generale della Sanità del Veneto. Secondo quanto emerso, il rubinetto del lavandino interno al reparto, sotto indagine anche della Procura di Verona, era letteralmente "colonizzato" dal batterio killer e da altri batteri.

Per la madre di Nina però molti sapevano da tempo e non hanno fatto nulla. "Non è stato fatto niente. Sono andata davanti alle porte dicendo che non mi sarei mossa finché non prendevano provvedimenti. Solo dopo hanno preso la decisione. Eppure lo sapevano anche loro che quel batterio c’era, lo sapevano dal 2018" ha dichiarato la donna la Fatto quotidiano, sottolineando: "Dopo il secondo caso avrebbero dovuto chiudere tutto. Chiedo: perché non l’hanno fatto? Se lo avessero fatto, la mia Nina sarebbe viva e invece è morta con atroci sofferenze”.

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