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Opinioni

Banche italiane, non è solo Mps ad aver problemi

Mps sempre sotto i riflettori: mentre la Procura di Siena apre un fascicolo per valutare gli eventuali rapporti degli ex vertici con la politica, il mercato si interroga sul futuro aumento di capitale. Ma quanti soldi servono alle banche italiane e chi rischia di più?
A cura di Luca Spoldi
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I riflettori restano da mesi puntati sul Monte dei Paschi, e non potrebbe essere diversamente visto anche il gran lavoro della Procura di Siena che dopo aver investigato sulla controversa acquisizione di Antonveneta per 9 miliardi di euro dal Banco Santander nel 2007 (un’acquisizione apparsa a molti analisti, sin dall’inizio, tardiva e costosa) ora ha aperto un nuovo fascicolo, come hanno confermato stamane all’agenzia Reuters fonti “a diretto contatto con la vicenda”, in merito agli “eventuali” rapporti tra gli ex vertici di Mps ed esponenti politici. Per ora l’uso del condizionale e delle virgolette resta d’obbligo, anche se è noto anche alle mosche sulla carta moschicida che rapporti tra l’istituto e la politica locale sono sempre esistiti, non fosse altro che per il fatto che il principale azionista di Mps, con un 33,5%, resta quella Fondazione Montepaschi che ha da poco eletto il suo nuovo presidente (Antonella Mansi, trentanovenne vicepresidente di Confindustria con delega all’organizzazione) e la cui Deputazione generale è per statuto composta da 14 membri di cui la metà designati da organi politici locali (4 dal Comune di Siena, 2 dalla Provincia e 1 dalla regione Toscana).

Ma sotto i riflettori Mps è da tempo non solo per le inchieste della Procura, quanto per la situazione precaria in cui versa l’istituto, che dopo gli ultimi rilievi della Ue dovrà procedere ad ulteriori tagli dei costi rispetto a quelli già in attuazione (e dunque si rischiano nuovi esuberi) e ad un aumento di capitale da 2,5 miliardi (pari all’attuale capitalizzazione di borsa, ndr) e non solo di uno come finora prospettato, di cui “una parte rilevante” servirà al rimborso parziale dei 4 miliardi di Monti Bond “in anticipo rispetto a quanto contemplato dall’attuale piano”, come confermato in settimana dal Tesoro (l’alternativa restando quella della conversione dei Monti Bond stessi in azioni e la nazionalizzazione dell’istituto). Considerando che la Fondazione Montepaschi dovrà nei prossimi mesi rimborsare altri 350 milioni di euro (e che dunque potrebbe dover cedere un ulteriore pacchetto di titoli sul mercato o a qualche nuovo socio), non è strano che sul mercato siano riaffiorate voci di una possibile fusione dell’istituto toscano con un istituto italiano o estero. Senonché in Italia i problemi sembrano ben altri: tiratesi fuori UniCredit (che già ha detto di non essere interessata ad effettuare acquisizioni né in Germania, dove sul mercato potrebbe finire Commerzbank, né in Italia, mercato dove “c’è un problema di qualità del credito e di ricavi che, in questo momento, non crescono”) e Intesa Sanpaolo, a fondersi con Siena potrebbero essere istituti di medie dimensioni, come Ubi Banca, Banco Popolare o Bper.

Ma tutti hanno i loro problemi: Ubi Banca ha chiuso il primo semestre con un utile calato a meno di 53 milioni di euro (-67% rispetto a un anno prima), con rettifiche su crediti salite a 383,9 milioni a fronte di uno stock di crediti deteriorati salito a 8,7 miliardi (su 91,3 miliardi di impieghi totali); Banco Popolare pur aumentando i profitti (156 milioni di euro nei primi sei mesi dell’anno rispetto ai 29 milioni registrati nello stesso periodo del 2012) ha già fato sapere di voler riorganizzare la rete (oltre 100 sportelli verranno riconvertite in “filiali imprese”, mentre saranno chiusi gli attuali “centri imprese”, circa 60 filiali e circa 10 aree affari) e secondo alcuni, come gli analisti di Intermonte, dopo il recente downgrade del rating creditizio da parte di Standard & Poor’s potrebbe dover rafforzare nuovamente il capitale, ad esempio tramite la conversione di 500 milioni di euro di bond in azioni. Più in generale il problema della necessità di nuovi mezzi freschi, una governance più trasparente e una maggiore diversificazione delle fonti di reddito con l’adeguamento dei modelli di business è sentito da gran parte del sistema bancario italiano.

Il governatore della Banca d’Italia, parlando ieri a un convegno del ministero degli Esteri il Ignazio Visco, ha sottolineato come in base ai risultati delle comparazioni internazionali le banche italiane sembrerebbero “avere un più elevato Npl ratio ed un più basso coverage ratio” (ossia una maggiore percentuale di crediti problematici rispetto ai prestiti totali a fronte di riserve percentualmente inferiori a copertura degli stessi crediti problematici), aggiungendo che tuttavia “è chiaro che il raffronto è viziato da disparità nelle pratiche di contabilità e supervisione, di cui si deve tener conto per ottenere una valutazione corretta”dato che “se le banche italiane usassero le stesse definizioni di alcune banche internazionali, il loro stock di crediti problematici si ridurrebbe di un terzo, riducendo significativamente il loro Npl ratio ed aumentando il loro coverage ratio”.

Tutto vero, ma di quanto capitale hanno bisogno (e chi ne ha maggiormente bisogno) gli istituti italiani? Il conto è presto fatto. Oltre al sopra ricordato Mps (e forse a Banco Popolare), servono almeno 800 milioni di euro a Banca Carige che a fine mese deve rinnovare il Cda (sull’esito dell’ispezione di Banca d’Italia ha aperto un fascicolo la Procura di Genova) e mostrare di saper adottare una governance più trasparente; 500 milioni servono a Bpm, che però sembra orientata a prendere ancora tempo (anziché in ottobre l’aumento dovrebbe ora partire tra fine 2013 e inizio 2014), mentre il presidente Andrea Bonomi continua a cercare di rinnovare una governance finora troppo squilibrata a favore dei soci-dipendenti presenti e passati; 300 milioni servono entro fine anno tanto a Banca delle Marche (posta dalla Banca d’Italia in “gestione provvisoria” a fine agosto e che dovrebbe poi aver necessità di altri 100 milioni di ricapitalizzazione tra il 2014 e il 2015), per la quale sembra essere in via di costituzione una cordata di imprenditori marchigiani (tra cui Diego Della Valle e Francesco Merloni), che però non pare intenzionata a investire non più di 100-150 milioni, quanto a Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo (Tercas, già commissariata da maggio), dove potrebbe intervenire con 170-200 milioni di euro il Credito Valtellinese, finora socio all’8% ma interessato a dar vita a un nuovo polo bancario (“Cassa dell’Adriatico” come viene per ora chiamato), fondendo Tercas e la controllata Caripe – Cassa di risparmio di Pesaro, con la propria controllata CariFano.

L’elenco non finisce qui: la Banca popolare di Spoleto, commissariato a febbraio assieme alla controllante Spoleto Crediti e Servizi (socia al 51%) e che tra i propri soci vede Mps (25,93% del capitale), aveva provato ad avviare un aumento di capitale da 30 milioni (più altri 70 milioni di bond convertibili), operazione bloccata dal commissariamento deciso dalla Banca d’Italia e rimasta in sospeso in attesa di ulteriori verifiche in merito all’adeguatezza e alla possibilità di trovare soci disposti a parteciparvi. Vi sono infine da risolvere i problemi delle commissariate CariFe, Istituto di credito sportivo e alcune piccole banche di credito cooperativo (la Bcc di Monastier e del Sile, quella di S.Francesco, quella del Veneziano, la Bcc Euganea, quella di Ospedaletto e quella di Alberobello e Sammichele di Bari).

Tiriamo le somme: in tutto potrebbero servire a una quindicina scarsa di istituti non meno di 5 miliardi di euro. Tanti soldi, che sarà difficile trovare in un periodo in cui molti istituti stanno semmai cercando di asciugare i bilanci dismettendo attività e filiali non più “strategiche”. In alternativa, come sempre, vi è la possibilità che approfitti dei “prezzi da saldo” qualche istituto estero: nel caso del Monte dei Paschi, ad esempio, si parla da tempo di Bnp Paribas (che in Italia già controlla Bnl e che potrebbe fondere i due istituti per dar vita al terzo polo bancario italiano), Credit Agricole (in passato a lungo tra gli azionisti di riferimento di Intesa Sanpaolo e che nel Belpaese controlla CariParma e FriulAdria) o Deutsche Bank, forte in Italia di una rete di oltre 300 sportelli di cui 55 aperti negli ultimi tre anni. Il tutto, è chiaro, “politica permettendo”, perché il settore creditizio è tuttora legato a doppio filo, tramite le Fondazioni, al mondo politico, con tutti i rischi e i limiti che questo comporta.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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