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Rimborsi elettorali: ma di che cifre parliamo? (DOSSIER)

In un momento di estrema crisi economica e finanziaria, l’opinione pubblica si interroga sulla quota di finanziamento pubblico che i partiti continuano a ricevere sotto forma di rimborsi elettorali. E a guardare le cifre si capisce il perché…
A cura di Enrico Nocera
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Montecitorio

Prima di tutto i numeri. Un'amara medicina cui bisogna sottoporsi quando in ballo ci sono milioni e milioni di euro, custoditi gelosamente nei tesoretti dei partiti politici. Quello che una volta si chiamava finanziamento pubblico, ora trasformato con abile mossa lessicale in “rimborso elettorale”, è fruttato ai nostri partiti politici qualcosa come 2,7 miliardi di euro dal 1994 ad oggi, che salgono a 6 se si considera il periodo precedente risalendo fino al 1974, anno in cui fu introdotta la prima legge sul finanziamento pubblico. A tutto ciò bisogna aggiungere circa 80 milioni destinati ai gruppi parlamentari. Insomma, la tanto dibattuta questione del finanziamento pubblico, tornata in auge dopo gli scandali che hanno fatto diventare famosi nomi come Lusi e Belsito, non conosce crisi. Secondo i calcoli effettuati dalla Corte dei Conti, i rimborsi elettorali sono cresciuti, dal 1999 al 2008, del 1.110 percento.

Tabella 1

COME SI CALCOLANO I RIMBORSI? – Il meccanismo del rimborso presenta, al di là di ogni discussione ideologica sull'opportunità o meno di finanziare con soldi pubblici i partiti, dei punti che potremmo definire “dolenti”: nel 2006 viene introdotta una norma (che sarà poi cancellata nel 2011) che impone di corrispondere il rimborso per intero anche nel caso di legislature interrotte (eventualità, peraltro, assai frequente nel nostro Paese). I partiti che non hanno portato a termine il loro incarico di governo, vedranno entrare nelle loro casse i soldi calcolati su tutti e cinque gli anni di legislatura, a prescindere dalla loro effettiva permanenza nell'Esecutivo. Altro elemento non troppo affine al buon senso è il meccanismo di accesso a questi fondi. I partiti che ne possono beneficiare sono quelli che hanno ottenuto la quota dell'1 percento di voti alla Camera (al Senato si calcola su base regionale), molto meno della soglia di sbarramento necessaria per portare i propri eletti al Parlamento. Altro aspetto da sottolineare è che il rimborso viene calcolato non sui voti effettivamente ricevuti, ma in base agli iscritti sulle liste elettorali. In tutto si parla di 4,5 euro di rimborso per elettore, laddove nel 1994 erano solo 1.600 lire. In tutto, oltre 500 milioni di euro che, dopo le politiche del 2008, sono finiti dritti dritti nelle casse dei partiti.

I RIMBORSI PARTITO PER PARTITO – Ed eccoci giunti al punto forse più dolente, contraddittorio e paradossale. Ogni cittadino italiano, quando ha diritto a un rimborso di qualsiasi genere, deve presentare ricevute e fatture che attestino le spese effettivamente sostenute. Lo stesso funziona per i partiti? Ci mancherebbe! Come scrive il giornalista Paolo Bracalini nel libro “Partiti S.p.A.”: “Dei 2.253.612.233 euro di rimborsi elettorali, i partiti hanno in realtà speso, per le campagne elettorali dal 1994 al 2008, circa un quarto. Le ultime politiche del 2008 sono costate ai partiti 110 milioni di euro di campagne elettorali, ma allo Stato sono costate cinque volte di più in rimborsi”. Un paese dei balocchi dove i rimborsi arrivano a essere anche cinque volte superiori rispetto alle spese sostenute.

Tabella 2

Scavando ancor più nello specifico, ecco i numeri dei principali partiti italiani, riferiti alle politiche 2008, secondo la Corte dei Conti:

Popolo della Libertà: il partito di Berlusconi ha speso 68.475.142 euro in campagna elettorale, ricevendo il rimborso astronomico di 206.518.945 euro. In tutto, un utile di 138.043.803 euro.

Partito Democratico: 18.418.043 euro spesi, a fronte di 180.231.506 euro rimborsati. Tradotto: 161.813.463 euro che entrano nelle casse del partito di Bersani.

Lega Nord: Anche per il Carroccio le cifre volano: 3.476.04 euro di spese a fronte di 41.384.553 euro di rimborsi, per un utile pari a 37.907.849 euro.

Italia dei Valori: 4.451.296 euro di spese e 21.659.227 rientrati, per un utile pari a 17.207.931 euro.

UdC: Il partito di Centro ha speso 20.864.206 euro in campagna elettorale, vedendo rientrare nelle proprie casse 25.895.850 euro. In tutto, 5.031.644 euro.

La Destra: Storace e soci hanno speso 2.442.360 euro in campagna elettorale, ricevendo 6.202.918 euro di rimborso. L'utile è quindi pari a 3.760.558 euro.

Movimento per l'autonomia: appena 880.697 euro spesi in campagna elettorale, a fronte di 4.776.916 euro di rimborso, per un utile pari a 3.896.319 euro.

Sinistra Arcobaleno: ed eccoci al primo dei due partiti che è andato addirittura in perdita. La coalizione di Vendola ha speso ben 10.924.762 euro in campagna elettorale, ricevendo 9.291.249 euro di rimborso. Il disavanzo è pari a 1.633.152 euro.

Partito Socialista: anche i socialisti non se la sono passata bene: 4.403.291 euro spesi a fronte di soli 2.491.755 euro di rimborso, per un disavanzo di 1.911.535 euro.

Un pozzo senza fondo cui i partiti, ormai, attingono senza remore, in base a quattro fondi elettorali: Camera, Senato, Europee e Regionali. Solo per i primi due fondi (quelli, cioè, relativi alle politiche), dal 2001 a oggi sono stati spesi un miliardo e 84 milioni: 195 milioni nel 2001, 436 nel 2006, 453 nel 2008 (di cui la maggior parte, come abbiamo visto, finiti nelle casse di Pdl e Pd). E anche i partiti cosiddetti “minori” non se la passano male. Quale esempio? Il partito dei pensionati italiani ha ricevuto 885mila euro di rimborso; i Verdi-Verdi, tragicomica copia dei Verdi, 300mila euro; infine, l'Alleanza di Centro di Pionati è giunta a 550mila euro. Niente male per una prassi che, in base ai voti del referendum abrogativo del 1993, avrebbe dovuto essere (appunto) abolita. E invece è successo l'opposto. Le cifre sono addirittura aumentate: dai 70,4 milioni del 1994 ai 503 del 2008.

VERSO UNA NUOVA LEGGE? – Questo il quadro, di per se già desolante, in cui si sono inserite le vicende di Lusi e Belsito, quelle che hanno “svelato” il problema e fatto gridare allo scandalo e alla riforma della legge sui rimborsi. Sul tavolo ci sono diverse proposte, tra cui una norma che obblighi i partiti a farsi controllare da una società di revisione dei conti e al controllo periodico dei bilanci da parte della Corte dei Conti. Si parla, poi, di un'apposita Commissione per la trasparenza che vigili sui bilanci, presieduta dal presidente della Corte dei Conti e composta dal presidente del Consiglio di Stato e dal primo presidente di Cassazione . Le buone intenzioni partono, in questo caso, dai leader di Pd e UdC, Bersani e Casini, che propongono anche un inasprimento delle sanzioni in caso di negligenza e un meccanismo più severo e controllato che permetta di accedere ai rimborsi. Secondo altri, come Di Pietro, i finanziamenti andrebbero aboliti del tutto. Proposta che, secondo molti, decade nell'ampio spettro dell'antipolitica, in quanto favorirebbe solo chi ha “grandi finanziatori e grandi mezzi propri”, come sottolinea Pierferdinando Casini. Il dibattito, quindi, resta aperto, in attesa della riforma di una legge che, già vent'anni prima di Lusi e Belsito, foraggiava lautamente i nostri partiti.

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