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Parma, l’indignazione di una città costringe il sindaco alle dimissioni

Dopo 3 mesi di proteste da parte dei cittadini il sindaco di Parma Pietro Vignali s’è dimesso. Il Comune e la giunta erano stati colpiti da alcune indagini della magistratura, ma a “fare giustizia” sono stati i residenti.
A cura di Alfonso Biondi
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Pietro Vignali

Tappi di spumante che volano, applausi scroscianti, sorrisi, abbracci. E un grido che unisce tutti: "Parma libera, Parma libera". Al portico del Grano, sotto il Comune di Parma, tutta la città s'è riunita per festeggiare le dimissioni del sindaco Pietro Vignali. "Le mobilitazioni popolari che si sono succedute, dal 24 giugno a oggi, hanno segnato la cesura con il passato" fanno sapere i portavoce del Comitato La Piazza, trionfalmente consapevoli che "l'urto sociale può cambiare le cose, può far cadere anche il più cocciuto e delirante uomo politico". Una vittoria della città e per la città.

La massiccia mobilitazione dei cittadini parmensi ha quindi dato i suoi frutti. Una mobilitazione partita dal basso, alimentata dalla crescente indignazione per il malaffare e le cricche, e per un'amministrazione locale che ormai aveva perso di vista gli interessi di tutti a vantaggio degli interessi di pochi. L'ultimo ed emblematico caso lo scorso 26 settembre, giorno in cui gli uomini della Guardia di Finanza, su disposizione della Procura, avevano arrestato 4 persone, tra cui Paolo Bernini (Pdl), assessore all'Istruzione della giunta Vignali. Per Bernini accuse davvero pesanti: corruzione e tentata corruzione in relazione agli appalti per le mense scolastiche. "Un fatto grave che mi obbliga ad affrontare tutte le mie responsabilità" ha scritto il sindaco nella sua lettera di dimissioni.

Il caso Bernini è stata sicuramente la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma, di fatto, solo una delle tante. Già, perché le macchie sulla condotta dell'ultima amministrazione comunale di Parma, insediatasi nel 2007, non finiscono qui. Il piatto forte, quello più abbondante, è senza dubbio l'inchiesta Green Economy, un'indagine che ha fatto emergere un presunto giro di tangenti versate da alcuni imprenditori per accaparrarsi i golosi appalti del verde pubblico, a prezzi ovviamente gonfiati. Un'indagine che a fine giugno ha portato agli arresti di 11 persone tra imprenditori, funzionari e dirigenti comunali. Per non parlare del grosso buco di bilancio lasciato dalla giunta che adesso, secondo quanto riferito dalle opposizioni, stazionerebbe tra i 500 e i 600 milioni di euro.

Ma il bello di questa storia è che da fine giugno, da quando cioè la pioggia di manette ha minato la credibilità del Comune, i cittadini sono scesi per le strade a urlare che con quella classe politica la città non sarebbe andata da  nessuna parte. Lanci di monetine, striscioni, sit in. Fino al successo. Fino a spillare al sindaco, comunque non coinvolto direttamente dalle inchieste, le parole: "Oggi faccio un passo indietro e mi faccio carico anche di responsabilità non mie, se può aiutare la città a ritrovare la serenità e le condizioni per ripartire". Una decisione che il primo cittadino ha dovuto prendere per forza di cose e che dimostra che davanti a un'intera città non c'è poltrona che tenga.

"Centinaia di lavoratori e studenti, pensionati e disoccupati, uomini e donne, giovani e anziani, non sono più disposti a guardare e ascoltare inermi i potenti davanti allo schermo televisivo" hanno sottolineato con entusiasmo dal Comitato La Piazza. E la domande sorgono spontanee: quello che è successo a Parma potrà accadere anche a livello nazionale? Vedremo mai un intero Paese indignarsi come ha fatto il comune dell'Emilia Romagna? Cosa potrebbe succedere se tutta la nazione decidesse che l'attuale esecutivo e l'intera classe politica devono andare a casa? Belle domande che per ora non possono avere alcuna risposta. Per ora.

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