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Libia, governo revoca esilio a vedova Gheddafi, ma lei rifiuta: “I miei figli massacrati”

Il governo di Tripoli vuole ammorbidire i rapporti con le tribù “gheddafiane”, ma Safia Farkash ha opposto “il gran rifiuto”, rompendo il silenzio e chiedendo giustizia per sé e per il suoi figli.
A cura di Ismahan Hassen
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Safia Farkash. Così su due piedi il suo nome da nubile non dice molto al pubblico, ma se a questo si aggiunge Gheddafi, suo cognome da donna sposata, allora tutto diventa più interessante. Safia Farkash Gheddafi, nata a Beida in Libia nella regione della Cirenaica da madre libica e padre ungherese, è stata la seconda moglie del leader libico Mu'ammar Gheddafi dal 1971 fino alla morte di quest'ultimo nel 2011.

Cinque anni d'esilio

Madre di sette degli otto figli biologici dell’ex leader libico, in seguito alla guerra civile scoppiata nel Paese Safia Farkash il 30 agosto 2011 era scappata prima in Algeria, attraversando i confini a bordo di alcune Mercedes  blindate, e poi, dopo la morte di Gheddafi, in Oman. Proprio nel sultanato omanita, l’ex first lady libica ha risieduto stabilmente fino a poche settimane fa, quando le autorità libiche le hanno consentito di tornare in Libia, dopo cinque anni di esilio.

Autorizzazione di rientro in patria

Ufficialmente, questa decisione sembra rientrare appieno in quella politica di “riconciliazione” promossa e messa in campo dal nuovo governo di unità nazionale formatosi il mese scorso. Contemporaneamente però, questa scelta riflette anche la volontà di mettere in campo una strategia diplomatica e militare da parte del governo di Tripoli, che ancora cerca di riprendere il controllo di Sirte (città natale del colonnello Gheddafi), caduta sotto controllo dello Stato islamico nel febbraio 2015. In altre parole, il governo di Tripoli sta cercando di assicurarsi il sostegno delle tribù pro-Gheddafi che, ad est del paese, continuano a far sentire la loro influenza.

Il "gran rifiuto"…

Nonostante abbia ricevuto il privilegio di poter rientrare in patria a fronte dell’imperversare dell’instabilità socio-politica nel Paese, Safia Farkash ha opposto "il gran rifiuto". Rompendo un silenzio che durava da maggio 2011 quando ai microfoni della CNN, dopo aver perso il figlio in un attacco aereo delle forze occidentali, accusò la NATO di aver deliberatamente preso di mira la sua famiglia:

“I miei figli sono dei civili, e sono stati presi di mira. Che cosa hanno a che fare loro con tutto questo?”

Safia Kardash è così tornata a parlare:

"Io sono la madre di Al Saadi Gheddafi, mio terzo figlio. Tre dei suoi giovani fratelli sono stati uccisi durante la guerra del 2011. Uno di loro, Mutassim, fu brutalmente trucidato dopo la sua cattura da parte delle milizie di Misurata, che erano impegnate per la distruzione della Libia. Dal giorno in cui ho saputo che Al Saadi era nelle mani di quelle milizie, io prego che a lui non tocchi lo stesso destino toccato a suo fratello. Io ho ripetutamente chiesto alle Nazioni Unite, agli esponenti delle nuove autorità libiche e alle associazioni umanitarie sul posto, di fare qualcosa per proteggerlo da maltrattamenti e soprusi, ma alla mia richiesta non ho mai avuto nessuna risposta.

Dopo lunghi mesi di silenzio, dolore e incertezza, ho rivisto mio figlio Al Saadi. Io l’ho rivisto mentre veniva ripetutamente torturato e maltrattato da suoi carcerieri, in tre video provenienti furtivamente dalla prigione di Al Hadba dov'è rinchiuso. Ogni abuso è spregevole, ed è contrario ad ogni diritto umano di un individuo, il diritto di essere trattato umanamente e con dignità. Nessuna madre dovrebbe vedere un suo figlio trattato in questo modo. Nessuna detenzione dovrebbe permettere abusi e maltrattamenti da parte di coloro che dovrebbero essere i rappresentanti della legge e dell’ordine in questa nuova Libia. […]. Dopo quello che è successo a me e ai miei figli, mi sono resa conto che nessuna organizzazione dei diritti umani, nè le Nazioni Unite o il nuovo governo libico ha intenzione di chiamare la milizia responsabile questi crimini a rispondere di questi misfatti. Stando così le cose,  non so quando giungerà il tempo in cui il regno del terrore instaurato in Libia, verrà rimpiazzato dal ruolo della legge e della civiltà."

Le polemiche

Seppur parte integrante del processo di riconciliazione nazionale, la decisione di consentire alla vedova di Gheddafi di ritornare in Libia, così come il suo rifiuto e il tono sprezzante delle sue denunce, non sono state accolte senza polemiche dall'opinione pubblica locale. Nonostante Safia Farkash non sia mai stata accusata di alcun crimine di regime infatti, sono in molti i libici che ancora nutrono forti rancori nei confronti di tutti i membri dell’ex famiglia regnante. Questo perché nei quattro decenni di governo dell’ex leader libico, tutti i membri della sua famiglia hanno goduto di un lussuoso stile di vita, a danno di molte fasce della popolazione. Dall'inizio della rivoluzione libica, nel febbraio 2011, Safia Farkash pur non essendo stata sotto i riflettori, a differenza delle sue omologhe tunisina ed egiziana, è stata però riconosciuta per la sua enorme ricchezza e la notevole influenza. Nel marzo 2011 infatti, secondo quanto trapelato da Wikileaks, la sua ricchezza personale era stimata intorno ai 30 miliardi di dollari.

La richiesta di verità

La reazione dell’ex first lady libica, oltre che rompere l'eccesso di riservatezza da lei tenuto negli ultimi anni non può non essere interpretata anche come un segnale per ribadire la sua ricerca di giustizia per quanto accaduto a lei e ai suoi figli in seguito alla caduta dell'ex dittatore libico, nonché come un nuovo modo per chiedere la verità sulle condizioni in cui lo stesso Mu’ammar Gheddafi sarebbe stato ucciso e sul luogo in cui il suo corpo sarebbe stato sepolto.

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