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La terra a chi non lavora: in Umbria un progetto contro la disoccupazione

La proposta punta ad attivare risorse umane consentendo a tutti i lavoratori, ma particolarmente a disabili, artigiani, contadini disoccupati ed ad altre categorie svantaggiate escluse dai circuiti economici. di lavorare.
A cura di Davide Falcioni
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"La terra a chi la lavora" era uno degli slogan con il quale ha mosso i primi passi il movimento contadino nel nostro paese: le lotte dei mezzadri contro i "padroni", che hanno portato conquiste sociali importantissime, sono tornate in auge in Umbria dove è nato il progetto Umbria Terra Sociale. L'obiettivo primario, molto sinteticamente, è quello di combattere la disoccupazione mettendo a disposizione di chi ha perduto il lavoro – o non l'ha mai trovato – la terra del demanio (cioè di proprietà pubblica). Il progetto è articolato in tre direzioni: agricoltura; formazione e cultura; sociale, e prevede il fatto che si crei una nuova ipotesi di sviluppo utilizzando la terra come produttore di welfare dal basso. In contemporanea al Comune di Perugia è stato presentato un progetto – avanzata da parte del consigliere comunale Emiliano Pampanelli di Rifondazione Comunista – che punta a "liberare" le terre del demanio a favore dei disoccupati. Ma in cantiere per la fine dell'anno c'è l'ampliamento del progetto a tutta la regione. Intanto a Lodi ha preso il via una fase sperimentale che punta a verificare gli effetti concreti sull'economia e l'occupazione.

“Un progetto a costo zero – spiegano i promotori – grazie al quale l’Amministrazione può migliorare la gestione del territorio e, nello stesso tempo, tramite la produzione e l’eventuale vendita di prodotti da parte di coloro che vi sarebbero impiegati, riuscirebbe a facilitare l’accesso a prodotti di prima necessità e innescare realtà produttive locali. Ci troviamo in una fase acuta della crisi in cui cresce la disoccupazione e i salari hanno perso molto del loro potere d’acquisto non riuscendo a garantire, in molti casi, livelli di vita dignitosi. Il progetto ‘Terre comuni' può rappresentare un valido strumento per stimolare la nascita di nuove realtà produttive in un settore in difficoltà ma che, a nostro avviso, sarà uno dei volani principali della ripresa". L'approvazione del progetto da parte del Comune di Perugia può rappresentare un valido sostegno lavorativo per tutti quei soggetti che oggi sono esclusi dal mercato del lavoro e soprattutto può stimolare nuovi modelli di consumo sostenibili che salvaguardino il territorio, accorcino la filiera abbattendo i prezzi e migliorando la qualità dei consumi".

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Ma entriamo maggiormente nei dettagli e vediamo quali requisiti fondamentali rispetta il progetto. Secondo i promotori – tra i quali Francesco Piobbichi – il primo è il "rispetto dell'uomo": "I prodotti che si acquistano non devono essere coinvolti nelle logiche di puro mercato. Al contrario devono attivare le risorse umane consentendo a tutti i lavoratori, ma particolarmente a disabili, artigiani, contadini disoccupati ed ad altre categorie svantaggiate, che sono escluse dai circuiti economici di un mercato del lavoro iper-competitivo e capitalizzato, di lavorare e partecipare ad uno sviluppo sociale sostenibile". Di fondamentale importanza anche la sostenibilità, valorizzando le risorse presenti in modo da non esaurirle per il futuro: "Per quanto riguarda i prodotti alimentari, ad esempio, si tratta di scegliere prodotti biologici e/o biodinamici, ottenuti nel profondo rispetto della natura e delle sue leggi. Significa anche scegliere prodotti locali per ridurre l’inquinamento, il consumo di energia ed il traffico per il trasporto della merce".

"Solidarietà" è un'altra delle parole chiave. L'obiettivo, infatti, è quello di favorire la creazione di un sistema produttivo capillare che potrebbe affrontare il confronto anche con la grande distribuzione, preoccupandosi però dell’equa distribuzione e fruizione delle risorse naturali e delle capacità lavorative.

Insomma, quello di Terra Sociale è un progetto molto ambizioso, sfacciatamente contrario alle logiche di privatizzazione spacciate negli ultimi anni come la panacea di tutti i mali. Un modo per "uscire dalla crisi" finora mai preso in considerazione, ma che potrebbe avere risultati sorprendenti.

 

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