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Dall’Italia alla Nigeria per infibularle: bimbe tolte ai genitori e dichiarate adottabili

Il Caso in Abruzzo dove la famiglia di origini nigeriane risiede da tempo. Per la famiglia la colpa era della nonna.
A cura di Antonio Palma
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Per evitare le leggi italiane erano state portata dall'Italia alla Nigeria, Paese di origine dei genitori, e qui infibulate. Per questo due bambine di 9 e 10 anni, figlie di un una coppia di immigrati nel nostro Paese, al loro ritorno in Italia sono state tolte al padre a alla madre, sistemate in un centro per minori e ora dichiarate adottabili. Come racconta il quotidiano Il Centro, infatti la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza già emessa dalla Corte d'Appello de L'Aquila che aveva allontanato dai genitori le due piccole e il loro fratellino. "L'infibulazione è una pratica crudele e riprovevole" equivalente ad un atto di violenza contro i minori, hanno sentenziato giudici, sottolineando che la pratica "non trova alcuna giustificazione, neppure se attribuita a usanze e a tradizioni proprie della cultura di origine". A fare ricorso contro l'allontanamento delle piccole erano stati i legali della famiglia delle bambine, una coppia residente in un centro della Val Vibrata ma attualmente in carcere per una condanna definitiva per sfruttamento della prostituzione e riduzione in stato di schiavitù.

In particolare la difesa aveva cercato di convincere i giudici che i genitori non avevano alcuna colpa e che si erano limitati a portare con loro le figlie in Nigeria dalla famiglia di origine. Qui sarebbe stata la nonna delle due a sottoporle alla violenta pratica senza che i genitori ne sapessero niente "La nonna paterna ebbe a praticare l’infibulazione senza consultare i genitori, perché questi non vi avevano provveduto nel periodo utile indicato dal costume, né questi avrebbero potuto opporsi a tale tradizione" aveva sottolineato l'avvocato nel ricorso. La Cassazione però è stata di diverso avviso confermando l'adottabilità dei piccoli. I genitori però non sembrano volersi arrendere e stanno valutando la possibilità di ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

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