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Unicredit, Mps e Banca Carige ai minimi storici in borsa

Ennesima seduta pesante per il comparto bancario europeo e pesantissima per quello italiano. Unicredit, Mps e Banca Carige hanno chiuso segnando nuovi minimi storici in borsa. Non è solo il timore dei contraccolpi della Brexit a pesare…
A cura di Luca Spoldi
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Ennesimo bollettino di guerra, in borsa, per il comparto bancario europeo ed italiano in particolare: Mps chiude al minimo storico di 32,9 centesimi di euro per azione perdendo quasi il 14% in una sola giornata, dopo la conferma che la Bce ha chiesto all’istituto di accelerare il programma di cessione di Npl che dovrebbero essere pertanto tagliati di quasi 10 miliardi a 27,7 miliardi entro i prossimi 3 anni contro i 5,5 miliardi preventivati dal piano industriale. Considerando che salvo “scudi” più o meno miracolosi che il governo continua a cercare di farsi autorizzare, per ora senza alcun successo, dalla Commissione Ue il valore di cessione di questi cespiti supera di poco il 20% medio, significherebbe incassare poco più di 2 miliardi, bruciandone 8.

Per un istituto la cui valorizzazione questa sera vale meno di un miliardo di euro (964 milioni per la precisione, ossia l'81% in meno di 12 mesi fa), l’ipotesi di ricorrere ad un aumento di capitale di tali dimensioni è semplicemente impensabile, visto che istituti di stazza analoga come Banco Popolare sono sì riusciti a raccogliere mezzi freschi sul mercato, ma per importi decisamente più ridotti (un miliardo) e a fronte della prospettiva di un “cambio di passo” quale ci si augura possa essere la fusione con Bpm, attentamente sorvegliata dalla Bce. Altri, come Banca popolare di Vicenza o Veneto Banca, hanno scoperto a proprie spese che cercare nuovi azionisti non è meno faticoso che recuperare la fiducia dei soci attuali, dopo che il valore dei titoli era precipitato rispetto alle (fantasiose?) valutazioni ante “poteri imperiali” della Bce.

Nuovi minimi anche per Unicredit, a 1,805 euro stasera dopo aver toccato anche quota 1,781 durante la seduta. Nell’ultimo anno l’istituto che ha da poco nominato il banchiere francese Jean-Pierre Mustier, ex responsabile della divisione corporate e investment banking (a cui venne nominato nel 2011, dopo che la sua carriera in Societe Generale aveva subito uno stop a causa dell’affare Kerviel) ha visto crollare del 70% il suo valore (di cui il 65% circa perso negli ultimi 6 mesi), con una capitalizzazione che stasera non supera gli 11,6 miliardi di euro, meno della metà dell’eterna rivale Intesa Sanpaolo che, pur perdendo a sua volta il 46% abbondante negli ultimi 12 mesi vede ancora una capitalizzazione di oltre 27,3 miliardi.

Del resto anche se il problema della nomina di un nuovo numero uno è stato superato, Unicredit ancora deve veder due cose: anzitutto quale sarà la squadra di top manager che Mustier si saprà costruire attorno (già si parla di un addio dell’attuale Cfo Marina Natale, del vicedirettore generale Paolo Fiorentino e forse di Gianni Franco Papa, attuale responsabile della divisione Corporate Investment Banking per guidare la quale è dato in pole position Olivier Khayat). Poi quale sarà la strategia che Mustier vorrà seguire, se varare un aumento di capitale, finora stimato tra i 5 e i 7 miliardi ma che di questo passo potrebbe dover essere persino superiore, cedere asset non strategici (si è parlato di quote di minoranza in FinecoBank, Bank Pekao e Yapi Kredi) o un mix delle due.

Minimi storici, infine, anche per Banca Carige, a 34,1 euro per azione e con una capitalizzazione ridottasi a neppure 300 milioni (282 milioni di euro stasera), dopo un crollo del 73% negli ultimi 12 mesi. Banca Carige finora ha negato di voler varare ulteriori aumenti di capitale e ha respinto le offerte del fondo Apollo, che si era detto pronto ad acquistare un pacchetto di Npl da 3,5 miliardi di valore nominale in cambio di un versamento da 500 milioni (su un aumento di complessivi 550 milioni di euro) che lo scorso aprile avrebbe dato al fondo americano il controllo dell’istituto. Ora per controllar Banca Carige basterebbero in teoria meno 150 milioni di euro, ossia un terzo o meno della cifra proposta da Apollo, mentre per quanto riguarda gli Npl nel piano industriale 2016-2020 appena approvato ha previsto la cessione di 1,8 miliardi di Npl, di cui 900 milioni entro l’anno e gli altri 900 milioni nella seconda metà del 2017.

Morale della favola: mentre il governo continua da mesi a favoleggiare di “scudi” nei giorni pari e a vantare la “solidità” del sistema bancario italiano nei giorni dispari e mentre il top management e gli azionisti di controllo fanno muro per evitare passaggi di proprietà troppo bruschi (soprattutto per le loro poltrone), anche a costo di far intervenire fondi “di sistema” come Atlante (senza il quale sarebbero già state risolte anche Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca), il valore residuo dei nostri istituti scende sempre di più e in molti rischiano di doversi mangiare non le mani, ma entrambe le braccia fino ai gomiti per non aver accettato offerte che, col senno di poi, così modeste non erano affatto. A rischiare più di tutti, tuttavia, sono i contribuenti, perchè prima o poi qualcuno vorrà far valere la clausola della situazione “eccezionale” in cui versa il sistema per giustificare un intervento pubblico a babbo morto, i cui costi saranno inevitabilmente addossati, sia pure in differita, proprio ai contribuenti italiani, che abbiano o meno mai ottenuto un qualsivoglia prestito dalle banche che contribuiranno a salvare.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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