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La procrastinazione della buonanotte, quando ritardare il sonno per avere più tempo per noi ci ruba le energie

Restare svegli per sentirci finalmente padroni del nostro tempo sembra liberatorio, ma ci priva del riposo e alimenta un ciclo di stanchezza difficile da spezzare.
A cura di Elisa Capitani
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Ti appoggi sul cuscino con la sensazione di aver già perso la battaglia con la stanchezza, eppure resti sveglia. Scorri ancora un po' i social, inizi una nuova serie, leggi un altro capitolo: quel tempo rubato alla notte sembra l’unico spazio rimasto per te, il tuo piccolo angolo nel mondo. Negli ultimi anni psicologi e giornalisti hanno dato un nome a questo comportamento, bedtime procrastination o, nella versione più sociale e narrativa, revenge bedtime procrastination (Procrastinazione della buonanotte), e ne hanno evidenziato aspetti psicologici, sociali e di salute. Non si tratta semplicemente di non riuscire ad addormentarsi, ma di una piccola rivolta quotidiana in cui il presente serale diventa compensazione di giornate troppo piene o troppo vincolate.

Cos’è la procrastinazione della buonanotte

La procrastinazione del sonno è l’atto intenzionale di rimandare il dormire non per un motivo esterno (lavoro, impegni, viaggi) ma perché si sceglie di usare quelle ore in più per attività ricreative o di ricarica emotiva. Il concetto è stato approfondito dalla letteratura sulla procrastinazione come forma specifica di autosabotaggio legata alla regolazione del sé.  Non si tratta solo di perdere la cognizione del tempo, ma di decidere, consapevolmente o quasi, che quel tempo in più di veglia valga il sacrificio del sonno. Studi iniziali hanno introdotto il fenomeno come una questione di self-regulation, collegandolo a tratti di impulsività, uso intenso di dispositivi digitali nelle ore serali e difficoltà a interrompere attività piacevoli. Negli anni è emersa anche la distinzione tra la definizione clinica di bedtime procrastination e la versione popolare revenge (vendetta), quest’ultima con una forte componente sociale, ovvero la sensazione di riprendersi un controllo che la giornata lavorativa o familiare ha sottratto.

Piccole rivendicazioni serali

Dietro la scelta di restare svegli spesso c’è qualcosa di più profondo della semplice voglia di intrattenimento. C’è il bisogno di uno spazio personale, un tempo che è percepito come l’unico realmente solo mio. Chi pratica questa forma di procrastinazione parla addirittura di serate che funzionano come delle vere e proprie micro-vacanze: poche ore di autonomia, di attività che ci piacciono, di cura di sé che durante il giorno non sono possibili. Questo fenomeno ha ovviamente radici culturali e sociali. Gli orari di lavoro prolungati, gli impegni familiari e la cultura digitale del sempre connessi riducono il tempo libero percepito, e la notte diventa il luogo simbolico dove recuperare l’autonomia. Sul piano psicologico, la scelta è gratificante nell’immediato, perché ovviamente dà sollievo e senso di controllo sul nostro tempo e più in generale sulla nostra vita, ma crea una contraddizione, perché il sollievo notturno rovina poi la qualità del giorno successivo, generando un circolo vizioso di stanchezza, irritabilità e ulteriore necessità di ritagliarsi tempo personale. Intervenire solo su una migliore igiene del sonno senza toccare la questione del tempo libero e della distribuzione delle attività quotidiane spesso non basta, perché non si andrebbe all'origine del problema.

Le conseguenze della procrastinazione e i possibili rimedi

Le ricadute della procrastinazione del sonno sono concrete e accumulate: la riduzione delle ore di sonno, il peggioramento della qualità del riposo, l'affaticamento durante il giorno e infine, l'aumento del rischio di sintomi depressivi e ansiosi. Il fenomeno è ricollegabile non solo a cattive abitudini digitali ma anche a processi di ruminazione, scarsa regolazione emotiva e talvolta a condizioni come l’ADHD o la depressione, che amplificano la difficoltà a interrompere attività serali. Tuttavia, le soluzioni efficaci tengono insieme due piste: da un lato migliorare le routine serali, segnare un’ora di power-down, ridurre l’esposizione a schermi e ritualizzare piccoli gesti di cura prima del letto, e dall’altro ripensare la distribuzione del tempo nella giornata. Favorire micro-pause, negoziare margini di autonomia nelle ore diurne e lavorare su confini più chiari tra lavoro e vita privata riduce la sensazione che la notte sia l’unico momento in cui esistere per sé. Infine, se la mancanza di sonno diventa cronica o è accompagnata da segni di sofferenza psicologica, conviene rivolgersi a un professionista, perché non si tratta di debolezza ma di uno schema comportamentale che si può comprendere e modificare.

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