Ansia da separazione, la paura di perdere l’altro domina la quotidianità: “È un circuito che si autoalimenta”

La paura di essere abbandonati è un tema antico quanto le relazioni umane, ma è solo quando questa paura diventa costante, totalizzante e interferisce con il funzionamento quotidiano parliamo di ansia da separazione. Non è solo una gelosia eccessiva, ma un mix complesso di vissuti, reazioni corporee e strategie comportamentali che si attivano ogni volta che la possibilità di perdere l’altro sembra avvicinarsi, anche se solo per brevi tempi. Può davvero consumare chi la vive, lasciandolo in uno stato di allerta e ansia permanenti e finisce per deformare anche i legami più solidi, mettendo a rischio amicizie, rapporti familiari e relazioni sentimentali. Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Simonelli, psicoterapeuta e sessuologa alla Fondazione Sapienza di Roma.
Cos’è davvero l’ansia da separazione
L’ansia da separazione è innanzitutto un’esperienza soggettiva molto intensa, la persona sente infatti un bisogno urgente di vicinanza e presenza, e qualunque distrazione dell’altro viene interpretata come minaccia. "Si esprime con il bisogno di stare attaccati all’altro, di non tollerare che la persona amata guardi altrove o abbia altri interessi", spiega Simonelli. Questo bisogno si presenta in forme molto diverse: richieste continue di rassicurazione, pianti, e nei casi più acuti attacchi di panico o sintomi somatici. "Il bisogno non è riconosciuto come tale, la persona lo vive come naturale, come respirare o mangiare e per questo chi soffre raramente si rende conto del carattere patologico della propria reazione e tende a giustificarla come normale desiderio di intimità", aggiunge l'esperta. Sul piano clinico, la caratteristica distintiva non è soltanto la frequenza delle richieste, ma il modo in cui l’ansia interferisce con la libertà personale e la capacità di reggere separazioni graduali e funzionali al proprio benessere e a quello della coppia, come ad esempio il lavoro, le amicizie o il tempo libero.
Come nasce e quali radici infantili la alimentano
Dietro l’ansia da separazione si trova quasi sempre un tessuto di insicurezza costruito nelle prime relazioni affettive. "Spesso le figure di accudimento non sono state solide: genitori presenti ma assenti, contraddittori, inaffidabili", osserva la dottoressa. Quando l'adulto responsabile non dà segnali coerenti, ma invece incertezza emotiva, risposte imprevedibili o mancanza di calore fisico ed emotivo, il bambino non impara che il mondo è un luogo in cui può stare al sicuro. Questo mancato porto sicuro genera una predisposizione, da adulto la persona continua a cercare di replicare quella sicurezza, ma lo fa in modo ansioso e totalizzante. "In termini psicodinamici, la paura non nasce dal nulla: è una risposta adattiva a un ambiente primario che non ha infuso fiducia nella permanenza dell’altro. Nel tempo, questa paura si cristallizza in aspettative rigide («non c’è salvezza», «nessun rifugio») e in comportamenti volti a prevenire l’abbandono", spiega Simonelli. Si tratta quindi di strategie che sul breve possono calmare, ma sul lungo producono isolamento, stress e relazioni disfunzionali.
Come si alimenta e come influenza le relazioni
L’ansia da separazione è un circuito che si autoalimenta: la richiesta continua di rassicurazione può far sentire l’altro soffocato, generando rifiuto o allontanamento, che a sua volta aumenta paura e controllo, creando così un ciclo degenerativo. "Il partner può provare senso di colpa e inadeguatezza perché la richiesta è totalizzante", spiega Simonelli all’inizio può sembrare romanticismo o premura, ma con il tempo diventa asfissiante e incide sul desiderio, sulla spontaneità e sulla fiducia reciproca. Nelle amicizie emergono dinamiche simili, come la pretesa dell’esclusività , "mi devi dire tutto, devi coinvolgermi sempre", trasforma la relazione in un obbligo e produce risentimento. Sul piano pratico, le manovre messe in atto dalla persona ansiosa, ovvero il monitoraggio, richieste di prova, uso della colpevolizzazione, finiscono per distruggere il sentimento affettivo dell’altro: una volta che la relazione diventa essenzialmente gestione dell’ansia altrui, la qualità del legame si rovina e si aprono scenari di separazioni reali, burnout relazionale e, a volte, ritorsioni manipolative. "Il punto cruciale per chi sta vicino a una persona ansiosa è riconoscere che rassicurare è necessario ma non sufficiente, serve indirizzare la persona verso un percorso terapeutico che lavori sulle radici del problema", afferma l'esperta.
Tipologie e manifestazioni: dai bambini agli adulti, tracce diverse dello stesso dolore
L’ansia da separazione non è un’unica entità, nei bambini è in genere più esplicita, pianto, attaccamento fisico, rifiuto della separazione per andare a scuola o con un babysitter, mentre negli adulti tende a mascherarsi dietro strategie più sottili e spesso manipolatorie. "Nei bambini tutto è più diretto, negli adulti il problema viene complicato e mascherato dall’evoluzione che ha subito negli anni", dice la dottoressa. "Tra gli adulti troviamo profili diversi: il bisognoso che chiede conferme continue, il geloso che interpreta ogni evento come tradimento, e il controllante che limita la libertà dell’altro", spiega Simonelli, aggiungendo che insieme a questi profili ci sono casi in cui l’ansia si combina con attaccamenti evitanti o tratti sadici nell’altro partner. Una persona evitante può sfruttare la dipendenza altrui, accentuando il senso di impotenza e mantenendo il controllo. Clinicamente è importante distinguere livello di gravità e funzionamento, alcuni casi rispondono bene a interventi brevi e mirati, altri richiedono terapie più lunghe, come ad esempio la psicoterapia dinamica per ricostruire la storia affettiva.
Negli ultimi anni l’ansia da separazione si è spostata sugli oggetti e sulle dipendenze
Negli ultimi anni i clinici osservano una trasformazione interessante e preoccupante: molte persone che sperimentano insicurezza affettiva hanno spostato la loro dipendenza dagli esseri umani agli oggetti o alle sostanze. "Molte persone hanno spostato l’ansia di separazione dagli esseri umani agli oggetti", nota Simonelli. Quind il telefono, i social, lo sport, il lavoro compulsivo, o nei casi più estremi anche le sostanze diventano rifugi da dominare per colmare la paura dell’abbandono. La dinamica anche in questi casi è analoga, l’oggetto dà un senso illusorio di controllo iniziale, ma con il tempo la dipendenza si struttura e peggiora l’adattamento. Questo spostamento complica i percorsi terapeutici perché mescola disturbi d’ansia e dipendenze comportamentali o da sostanze, richiedendo interventi integrati che affrontino sia la regolazione emotiva che le abitudini compulsive. La sfida per i terapeuti è ricostruire una rete di sicurezza interna, insegnare a tollerare la separazione e a riconoscere i bisogni reali.