Valentino Rossi e la morte di Marco Simoncelli: “Mi sono fatto un esame di coscienza”

Non è vero che il tempo è la migliore medicina per tutto. Non è vero che il tempo guarisce le ferite, semmai leviga e smussa. Un tempo "maledetto" ha voluto che a Sepang, nel 2011, Valentino Rossi fosse coinvolto – suo malgrado, assieme a Colin Edwards – nell'incidente in cui Marco Simoncelli perse la vita. Sono passati 14 anni da allora, la ricostruzione e la dinamica di quella tragedia chiarirono da subito che tutto accadde per una drammatica fatalità perché i piloti che colpirono il "Sic", franato sull'asfalto dopo aver perso il controllo della sua Honda in curva 11, poterono nulla di umano per evitare l'impatto con il corpo del pilota, deceduto per le gravissime lesioni riportate.
L'ex campione di MotoGp porta tutto dentro di sé, ha parlato delle sensazioni di allora e di oggi nel podcast ‘Poretcast' condotto da Giacomo Poretti, comico del trio che si completa con Aldo e Giovanni. Come fai a dimenticare certe cose? Le elabori e le superi, in un modo o nell'altro. Ci fai i conti, in un modo o nell'altro. Ma sai benissimo che non ti abbandoneranno mai. Il tono di voce cambia, inevitabilmente. "Hai mai pensato di smettere?", gli chiede l'interlocutore. Rossi risponde di getto poi prende fiato e un attimo di pausa, come si fa quando hai l'impressione di fare un viaggio di andata e ritorno nel tempo in un battito di ciglia. Sbuffa, solleva lo sguardo verso il cielo, fa una smorfia. La dissolvenza ti riporta indietro, nel passato, e poi di nuovo nel presente lasciandoti addosso tutto il peso delle emozioni. Non è mai facile.

"No… non ho pensato di smettere – ha ammesso Rossi -. Lì per lì è stato veramente uno shock perché ho perso un amico ma soprattutto sono stato parte dell'incidente in cui ha perso la vita. Ed è sempre stata una cosa che mi è spiaciuta un sacco… Ma ci pensate… eravamo in 22 in pista e in quel momento sono stato proprio io a centrarlo".
Le parole non spiegano tutto ma aprono una finestra su quel mondo interiore che si cela dietro la maschera quotidiana. "Mi sono fatto un esame di coscienza e alla fine la realtà è che non ho potuto fare proprio niente per evitare questa fatalità. E da lì ciò che è rimasto è solo il rammarico per aver perso un grande amico con cui dal 2006 ho trascorso tanto tempo insieme... Mi piaceva allenarmi con un pilota forte come Marco, la sua compagnia è sempre stata positiva. Il Sic era simpatico, sanguigno, un romagnolo doc. Poi è diventato un mio rivale e lì le cose diventano sempre un po' complesse".
Da quell'esperienza due anni dopo è nata la scelta di creare l’Academy. "Sì, è venuta fuori l'idea di mettere in piedi qualcosa che potesse aiutare i piloti italiani ad arrivare in MotoGp e a vincere". Quanto sia stimolante per il dottore una cosa del genere è nella frase/battuta che regala al riguardo suscitando l'ilarità della platea e dello stesso Poretti. "È un bell'impegno perché i piloti di base sono tutti delle teste di c***o e gestirli è difficile ma dà un gran gusto".