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Lorenzo Savadori: “Noi tester accettiamo di correre sapendo che andremo più piano. Un po’ brucia”

Intervista a Lorenzo Savadori, tester ufficiale di Aprilia e protagonista in MotoGP che ci racconta la vita da collaudatore: “Il nostro ruolo è mettersi da parte nell’interesse della squadra. Anche sapendo di poter andare più forte di altri piloti”.
A cura di Fabio Fagnani
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Lorenzo Savadori, 32 anni, è una delle figure più preziose e al tempo stesso meno visibili del paddock MotoGP. Tester ufficiale di Aprilia Racing da diversi anni, ha il compito di sviluppare e portare in pista nuove soluzioni tecniche, spesso sacrificando la possibilità di correre per sé stesso in nome del progresso della moto e del team: "Questo è quello che fa un tester, si mette da parte per la squadra". Con lui abbiamo parlato del suo lavoro, delle emozioni vissute in carriera, del futuro degli sportivi e dei temi legati alla sicurezza.

Lorenzo, siamo reduci da Barcellona, non un grande Gran Premio per Aprilia. Che sensazioni ci sono nell’aria?
Ho dovuto fare due Long Lap Penalty che mi portavo sul groppone dalla Germania e ho perso un sacco di tempo. Al di là di quello però poi ho avuto un buon passo e stavo ricucendo il gap con il gruppetto davanti. Poi a tre giri dalla fine ho perso l'anteriore. Mi è già capitato di avere questo tipo di problema, ma adesso analizzeremo le motivazioni di questa caduta. Sicuramente dovremo fare qualcosa. Però, alla fine del weekend il bicchiere è mezzo pieno, siamo sempre stati veloci, abbiamo provato un po' di cose per dare spunti interessanti, ma dobbiamo guardare avanti.

Sei curioso di provare le Pirelli?
Sì, le ho già provate con altre moto e sono molto curioso di vederle e provarle su una MotoGP. Ho molta voglia di correre, chi mi conosce lo sa, ma se fai il tester devi in qualche modo nascondere questa fame.

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Fare il tester significa accettare un compromesso: sapere che ci sono piloti più veloci, ma avere altre qualità, come la sensibilità e la capacità di sviluppo. Ti capita di riflettere sul fatto che non sei riuscito a correre da titolare in MotoGP, o sei sereno con il ruolo che hai oggi?
Non è un segreto che mi sarebbe piaciuto avere almeno un anno da titolare per dimostrare il mio valore. Quando faccio le wildcard, lavoro per migliorare la moto e ogni turno guido con componenti diversi: è normale che questo condizioni la performance. In MotoGP il livello è altissimo e i piloti ufficiali si concentrano solo sulla prestazione, mentre io ho un ruolo diverso. A volte provo soluzioni che non sono subito performanti, ma servono a far crescere il progetto nel tempo. Portarle in pista e farle evolvere è il mio compito, anche se in gara questo comporta dei sacrifici.

Torniamo un attimo alla stagione. Quanto cambia per voi come team avere due piloti ufficiali in pista rispetto alla prima parte della stagione quando Jorge era out?
Cambia tanto. All’inizio Jorge non c’era e toccava a me fare le sue gare, ma anche in quella situazione siamo riusciti a sviluppare la moto. Non è stato semplice, ma ora che ci sono entrambi i titolari, possiamo raccogliere più dati e accelerare i progressi.

Da un punto di vista emotivo, c’è stato un momento in cui hai pensato: “Questa innovazione è anche merito mio”?
Sì, succede. Io seguo lo sviluppo a tempo pieno dal 2020, quindi molte soluzioni che oggi usiamo sono passate anche dalle mie mani. È chiaro che questo resta uno sport di squadra: il nome a fine gara è quello del pilota, ma dietro c’è il lavoro di tanti, dal reparto corse di Noale agli ingegneri in pista. Mi ha fatto piacere, per esempio, ad Assen, quando provai per primo un’evoluzione delle ali laterali: poi le abbiamo montate subito sulla moto di Bezzecchi e lui si è trovato bene. In quei momenti ti senti orgoglioso.

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Il lavoro del tester resta spesso invisibile al grande pubblico. Pensi che oggi venga riconosciuto un po’ di più rispetto al passato?
Sì, oggi la figura del tester è più riconosciuta, grazie anche a esempi come Pirro o Pedrosa. Però resta un lavoro di squadra enorme e spesso silenzioso. Io cerco sempre di ringraziare tutti: il test team, i ragazzi del reparto corse, gli ingegneri. Si fanno in quattro per portare soluzioni nuove e ogni progresso è il frutto di quel lavoro.

Sì, anche perché spesso di pensa che sia uno sport individuale, ma dietro c'è un lavoro di squadra enorme.
Esatto, a partire proprio dai dipendenti che si fanno in quattro. Poi è ovvio che quando finisce la gara c'è solo il nome del pilota e in pista se solo con la moto, ma è tutto tranne che uno sport individuale.

Nella tua carriera ci sono stati momenti in cui hai pensato di mollare, dopo una caduta o una giornata difficile?
No, non mi è mai capitato. Ci sono stati momenti duri, certo, ma l’amore che ho per questo sport è troppo grande per pensare di smettere.

Molti atleti iniziano a programmare il futuro mentre sono ancora in attività. Tu pensi già al “dopo” o preferisci concentrarti solo sull’oggi?
In MotoGP non puoi pensare al dopo, devi concentrarti su quello che fai. Io mi alleno ogni giorno come se corressi tutto il campionato, perché queste moto sono diventate molto fisiche. Quando inizi a pensare al dopo, forse è già il momento di smettere. Diciamo che nel mio team di lavoro ci sono persone che pensano al posto mio a cosa extra così da permettermi di rimanere focalizzato sul lavoro e sul presente.

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Parliamo di sicurezza: la MotoGP ha fatto grandi passi avanti, ma ci sono ancora circuiti criticati per il layout. Ad esempio, il Balaton Park in Ungheria. Secondo te, finché non si corre una gara non si possono scoprire i reali problemi, oppure bisognerebbe lavorare meglio nella selezione delle piste?
Il tema sicurezza è migliorato tantissimo negli ultimi anni. Ogni venerdì sera, nei briefing, ne parliamo tutti insieme ed è un segnale positivo. Certo, non è mai abbastanza, si cerca sempre di fare meglio, ma è difficile prevedere tutto. Sul Balaton, per esempio, non posso dare un giudizio perché non ci ho mai girato. In generale, però, direi che il livello raggiunto è molto alto e che alcune cose complicate da prevedere.

Qual è il miglior pregio che deve avere un tester?
La sensibilità.

E invece il difetto peggiore?
Il più difficile da gestire, almeno per me, è accettare di dover provare soluzioni che ti fanno andare più piano, mentre sai che potresti stare davanti ad altri piloti. Da pilota brucia un po’, ma fa parte del lavoro.

Ultima domanda: cosa deve fare Marco Bezzecchi per riuscire a stare davanti a Marc Márquez?
Bez (Marco Bezzecchi, nda) sta facendo una grande stagione e sicuramente ci proverà in tutti i modi. Noi lo aiuteremo, abbiamo delle idee. E non dimentichiamo Jorge, che pur avendo saltato tante gare è già lì davanti. Continueremo tutti insieme a lavorare per vincere.

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