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Dovizioso: “Bagnaia e Marquez, ci sono passato anch’io. Con Ducati capii perché dovevo dire basta”

Intervista ad Andrea Dovizioso: dal debutto del Park agli anni in Ducati, dai duelli con Marquez ai consigli per Bagnaia.
A cura di Fabio Fagnani
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C’è un Andrea Dovizioso che molti conoscono, quello che ha sfidato piloti come Lorenzo, Pedrosa, Rossi, quello che ha segnato anni indimenticabili in MotoGP, quello che ha vinto il Mondiale 125, quello che ha sfidato Marquez nei suoi anni più feroci, arrivando spesso secondo con una Ducati che ancora non era la corazzata di oggi. Ma c’è anche un altro Dovizioso, più recente, che ha scelto di investire in un sogno chiamato “04 Park”: un’oasi tra le colline faentine dedicata al motocross, alla passione per le due ruote e a un’idea diversa di comunità e sport.

In questa lunga chiacchierata, Dovizioso si racconta senza filtri, tra entusiasmo e disillusione, visione e concretezza. Il suo parco – inaugurato da poche settimane – è solo l’inizio di una nuova sfida: dalla burocrazia agli sponsor, dalla gestione quotidiana alle gare in notturna, c’è tutto il sapore di un progetto nato dal cuore, ma guidato dalla testa che finalmente si realizza perché, come i suoi tifosi sanno, la sua vera passione è sulla terra e non in pista. Poi, inevitabilmente, si torna alle corse. Alle sfide con Marquez, ai rimpianti del 2018, alla separazione con Ducati, ai confronti scomodi e ai giudizi su Pecco Bagnaia, oggi in evidente difficoltà nel gestire l’ingombrante presenza del nuovo compagno di squadra. C’è spazio anche per Valentino Rossi, per riflessioni da paddock e per quelle chiacchiere sincere “da bar”, dove non contano solo i titoli ma anche il contesto, i rivali, e quel sottile confine tra talento e carattere.

Iniziamo da questo progetto: il Park. Era un sogno nel cassetto da tempo. Quanto è stato difficile realizzarlo, anche a livello burocratico, e quanto ti sta dando soddisfazione in queste prime settimane dall’apertura?

Sono molto contento, dopo più di due anni di lavoro siamo riusciti ad aprire tutto: bici, minicross, motocross, ristorante. Tutto è operativo. Ci sono ancora alcune rifiniture da completare per essere al 100%, ma l’obiettivo principale – aprire – è stato raggiunto. Ci abbiamo lavorato tanto negli ultimi due anni ed è una grande soddisfazione. Adesso parte la seconda fase: la gestione. È sempre così, quando hai un approccio preciso e cerchi di fare tutto nel miglior modo possibile, poi arriva il momento di far funzionare tutto. È un sogno un po’ particolare, con tante idee che però poi si scontrano con la realtà. Ora siamo nella fase in cui dobbiamo essere bravi a capire come usare davvero al meglio il parco, oltre alle idee iniziali. È una fase di studio. Abbiamo già fatto la prima gara del regionale di motocross e stiamo organizzando un trofeo estivo. Abbiamo investito molto sull’illuminazione, così possiamo girare e fare gare anche di notte, cosa molto rara nel motocross. Quest’anno lanceremo il trofeo “04 Park By Night” con due gare – il 2 e il 23 agosto – con premi economici, gadget e l’obiettivo di creare una vera festa estiva. Speriamo diventi una tappa fissa ogni estate. Il parco è stato pensato per attirare più gente possibile: appassionati che vogliono allenarsi o correre, ma anche chi vuole vivere una serata estiva sulle colline faentine.

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A livello di sponsor, è stato difficile trovare aziende disposte a credere nel progetto? Il settore moto e auto è stato molto colpito nel post-Covid…

Sì, non è facile, come hai detto bene. Però siamo riusciti a trovare aziende appassionate. Hanno visto la passione e l’impegno che c’era dietro, e questo ha fatto la differenza. Ora che il parco è finito, anche chi era titubante in fase iniziale ha cambiato idea vedendolo realizzato. Abbiamo rivalorizzato 18 ettari, rifacendo tutto. Chi arriva al parco trova una realtà completamente diversa da una classica pista di motocross. Questo ci aiuta tanto a promuovere. Siamo una squadra, siamo tanti e sempre alla ricerca di sponsor, perché economicamente è molto difficile far quadrare i conti in un parco del genere. Ma era un sogno, e avendo avuto la possibilità, mi ci sono buttato. Ora però, per gestirlo al meglio, servono persone e aziende che credano nel progetto. Non è un progetto nato per rientrare dell’investimento – era chiaro fin dall’inizio – ma per creare qualcosa di bello e gestirlo bene. È questo che conta.

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Avete avuto supporto dalle istituzioni? Comune, regione, federazione?

Sì. Avrei preferito avere un parco mio, ma non era possibile. L’unico modo per creare un parco così era partire da uno spazio comunale. Il lato positivo è che essendo un’area già attiva, è stato più semplice. Il comune di Faenza ci ha supportato molto per rivalutare il parco. Poi è successa una cosa inaspettata: mentre stavamo per partire con i lavori, è arrivato il PNRR. La Federazione ha scelto il nostro progetto, che è diventato Centro Federale. Quindi una parte del parco – poco meno della metà – è stata realizzata con fondi PNRR. Questo ha allungato un po’ i tempi, ma è stato un valore aggiunto enorme.

Torniamo un attimo alla tua carriera: se potessi scegliere di diventare professionista in un'altra disciplina, e le condizioni di visibilità ed economiche fossero uguali, avresti scelto il motocross?

Oggi, a 39 anni, con più consapevolezza, dico che la vita del pilota di motocross è durissima. Sono appassionatissimo e continuo a praticarlo, rompendomi ancora le ossa, ma è uno sport distruttivo. Toni Cairoli è un’eccezione, un fenomeno: si è fatto male poche volte e ha corso ad altissimo livello per tanti anni. Ma non è l’esempio medio. Il motocross professionale è molto più duro. Si sta in moto almeno 4 volte a settimana tutto l’anno. Nel motomondiale, invece, non si può girare molto: si usano moto stradali e io, per esempio, non lo facevo. Il motocross è di nicchia, e anche se ne sono innamorato e la terra bagnata mi da una sensazione quasi orgasmica, probabilmente non lo avrei scelto come carriera professionistica.

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Hai detto che il profumo della terra bagnata, la pista preparata, ti dà una sensazione quasi di orgasmo. Neanche vincere al Mugello è paragonabile?

(Ride) Attento, non fraintendermi! Il motomondiale mi ha regalato molti momenti intensi e pieni di emozioni, fortunatamente. La mia carriera è stata lunga e questo vuol dire che ho ottenuto risultati. Sì, tantissima sofferenza, perché anche i più forti perdono più di quanto vincono. Ma ho avuto tanti momenti di soddisfazione. Soprattutto gli ultimi anni, quando riesci a ottenere grandi risultati grazie all’esperienza accumulata. Da giovane, quando vinsi il Mondiale 125, o gare in 250, eri talmente focalizzato sulla gara successiva che non ti godevi a pieno la vittoria. Col tempo impari a farlo.

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Hai qualche rimpianto? Qualche “sassolino nello stivale”? Qualcosa che dici: “poteva andare meglio”?

Certamente, si può sempre fare meglio. Ma ho imparato a non viverlo male. L’unico vero rammarico è il 2018. Eravamo molto competitivi, più dell’anno prima, ma non siamo arrivati all’ultima gara a giocarci il titolo. Il momento chiave fu Barcellona, con il contatto tra Lorenzo e altri piloti. Lì Marquez prese un vantaggio che, da campione quale è, ha gestito fino alla fine.
Era un anno in cui sentivi di poter fare la differenza. Sensazioni rarissime in MotoGP. Quindi un po’ di rimpianto c’è, ma nulla di pesante.

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E il divorzio con Ducati? Ti sei mai pentito?

No, perché le storie finiscono per tanti motivi. Otto anni intensi, belli e difficili. Abbiamo riportato la Ducati ad altissimi livelli. Sarebbe stato bello vincere insieme, ma quando i valori, gli obiettivi o i comportamenti non sono più allineati, devi accettare che è il momento di dire basta. Ognuno ha i propri limiti e io ho superato i miei per molto tempo, perché volevo vincere. Poi, Ducati ha continuato un lavoro favoloso e oggi ha la moto più forte del paddock. Merito loro, ma anche delle fondamenta che abbiamo costruito insieme.

Rapporti con Dall'Igna?

Cordiali, nulla di più.

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Parliamo del nuovo regolamento MotoGP. Secondo te potrebbe cambiare gli equilibri o chi è più strutturato sarà comunque avvantaggiato?

Il nuovo regolamento sicuramente scombussolerà la MotoGP, ma più delle regole sarà il cambiamento delle gomme a fare davvero la differenza. Un cambio regolamentare può aiutare, ma alla fine chi è strutturato meglio rimane avvantaggiato anche in quel momento, perché riesce a capire prima le novità grazie a una struttura di ingegneri e di team più solida. Non credo che cambierà gli equilibri tra le case in modo radicale, ma sì, potrà creare un po’ di confusione iniziale.

Ti faccio un parallelismo. Una delle cose che forse ti ha dato più fastidio negli anni in Ducati è stato quando hanno preso Jorge Lorenzo, che era un po’ la prima donna. Ti sei un po’ rivisto in Bagnaia, adesso che gli hanno affiancato Marquez? Sta soffrendo la sua presenza?

Il problema non è stato che hanno preso Lorenzo. Una casa può scegliere chi vuole, il punto è come lo fa, con quali atteggiamenti, convinzioni, idee. A me andò bene, perché alla fine mi diede solo conferme, anche a chi non credeva in me.
La situazione di Pecco è diversa. Marquez è fortissimo, carismatico, ovunque va crea “movimento” nel box, è normale.
Non voglio entrare troppo nel dettaglio perché ci sono passato anch’io. Dovremmo conoscere i dettagli tecnici delle moto per capire davvero, ma è chiaro che Marc riesce ad adattarsi a tutto, mentre Pecco ha bisogno di una moto che senta “sua”.
Marc ha meno necessità di avere tutto perfetto per andare forte. Questo lo stiamo vedendo.

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Secondo te Bagnaia ha le carte per reagire o è già tutto compromesso?

Il lato positivo è che Pecco ha ancora un anno per lavorare. È in un team ufficiale e può creare la situazione tecnica che gli serve. Lui ha vinto non per istinto ma per consapevolezza, per comprensione tecnica, e questo gli dà margine.
Certo, a livello psicologico è tosta, ma è umano. La pressione c’è. Se riesce a capire di cosa ha bisogno e trova il modo di ottenerlo, ha le possibilità. L’anno scorso aveva già lavorato bene in inverno, hanno scelto loro la moto, ma poi in gara emergono altri aspetti. Ora deve lavorare in vista del prossimo anno.

Tu l’avevi detto a settembre: Marquez si stava preparando con la GP23 per arrivare pronto nel 2024. E così è stato. Forse chi pensava che Marc avrebbe vinto, non si aspettava che Pecco soffrisse così tanto, addirittura dietro ad Alex, a volte anche a Di Giannantonio, a Morbidelli…

Sì, anch’io pensavo che Pecco potesse essere almeno secondo con una certa continuità.
Bisogna capire se è un problema tecnico o mentale. Se è tecnico, si può lavorare. Se è mentale – cosa umana, eh – è più complicato. Quando sei abituato a vincere, il secondo posto non ti basta. Se non hai il feeling per vincere, non riesci a dare il 100%. Magari dai il 95%, e invece che secondo arrivi terzo o quarto. Solo Pecco e la squadra sanno cosa succede davvero. Sono dettagli minuscoli che fanno una differenza enorme.

Io mi aspettavo che, dopo un terzo di stagione, avrebbe adeguato la sua guida alla moto, invece continua a cercare quel feeling davanti…

Vero, ma lo possiamo dire solo da fuori. Dopo Assen, secondo me, si è delineata la stagione. A meno di un cambio psicologico forte, la vedo complicata. Non dico che debba mollare, ma dovrebbe forse iniziare a lavorare già per il prossimo anno.
In MotoGP può succedere di tutto, la stagione è lunga, ma al momento il divario in pista è evidente.

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Ti faccio una domanda più personale. Secondo me Bagnaia, come modo di fare, come educazione e anche nella comunicazione, ti somiglia. Ti aspettavi che potesse vincere? È un campione che ora soffre, o era un buon pilota al momento giusto nel posto giusto?

Se vinci in MotoGP sei per forza un campione. E non solo per un anno. Certo, tutto dipende anche dagli avversari, ma la moto di Pecco l’avevano anche altri. Non è stato un caso. Mi aspettavo che Marc potesse mettere in crisi tutti, ma non così tanto. È un’ulteriore conferma della sua bravura. Oggi Marquez non è più quello di prima: ha ancora difficoltà a trattenersi, ma è più consapevole, si gestisce meglio, e fa la differenza anche così. In passato faceva cose assurde, tirava fuori gare che non doveva nemmeno giocarsi. Adesso forse ha qualcosa in meno, ma con la sua esperienza è più che sufficiente.

Domanda secca. Hai notato che i tuoi secondi posti contro Marquez oggi vengono rivalutati? Come l’hai presa?

Mi fa piacere. Far capire la realtà delle cose è impossibile. Chi sta fuori non potrà mai sapere davvero com’era.
La gente è influenzata dalla comunicazione, dalla TV, dai social. Oggi ci si rende conto che quando arrivavamo secondi non lo facevamo con una Ducati dominante come quella di adesso. Allora era tutto diverso, e le vittorie erano un valore aggiunto.
Quindi sì, mi fa piacere che venga riconosciuto il valore di ciò che abbiamo fatto.

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Facciamo un gioco veloce: chi è più forte, tu o…? Puoi dire “no comment”, eh.

(Cambia tono, sorride) Questa è cattiva…

Dovizioso o Aleix Espargaró?

Dai… non va bene fare questo gioco.

Lo dico io, Dovizioso. Dovizioso o Iannone?

Eh, qui servirebbe un’altra intervista di un’ora… (ride).  Iannone è fortissimo, lo sanno tutti. Ma essere forti è solo una parte del risultato.

Quindi Dovizioso. Dovizioso o Bagnaia?

Impossibile rispondere. Quando Pecco era in Pramac già si vedeva che aveva qualcosa di speciale, anche se buttava via qualche gara. Poi si è messo a posto. Mi ricordo un mio commento post-qualifica, forse ad Aragon, quando dicevo che dovevamo capire come riuscisse a farla girare perché quell’anno cambiò la carcassa della gomma e scombussolò tutto. Fu il mio anno disastroso. Pecco fece la differenza, perché il suo modo di frenare funzionava con la nuova gomma.
E da lì ha iniziato a emergere.

Ultima domanda un po' trash da social. Marquez è vicino al nono e poi al decimo titolo e potrebbe superare Valentino Rossi. Secondo te chi è stato il più grande tra i due?

Domanda cattiva. Ma non ti risponderò. Non ha senso dire chi è più forte. Ognuno ha fatto la differenza a modo suo. La cosa che mi ha sempre impressionato di Vale è che lui ha vinto in epoche diverse e lo ha fatto da Rockstar. Non nel senso che se la tirava, ma perché viveva da Rockstar. Faceva quello che voleva, sempre. Marc ha vinto vivendo di sport, di moto, da atleta. È iper allenato, concentrato, serio. Due approcci completamente diversi, ma entrambi affascinanti.
Marc ha fatto numeri incredibili in un’epoca dove forse è ancora più difficile emergere. Io li ammiro entrambi, in modi diversi.

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Ultima curiosità. Nel 2004, appena tagliato il traguardo che ti ha reso campione del mondo, cosa hai pensato? “Adesso ne vinco altri cinque o sei”?

(Ride) Certo! È normale, da pilota devi raccontartela. Devi crederci sempre in grande. Devi essere ambizioso. Anche se già vedevo Valentino come un extraterrestre, pensavo: "Devo cercare almeno di fare come lui, vincere anche io tanto". Poi vai in 250 e trovi Lorenzo, Stoner, Pedrosa… e capisci che sarà dura. Ma è la mentalità che devi avere: puntare sempre al massimo, anche quando sembra inarrivabile.

Secondo me tu e Melandri, in altri periodi, avreste vinto molto di più…

È un discorso che si fa spesso. Da un lato ha senso, ma non cambia niente. Non posso cambiare il passato. Questa cosa non ti dà un campionato in più. Possiamo dire che è da chiacchiere da bar. E va bene così.

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