Stefano Benni e il calcio come linguaggio popolare: l’epica dei perdenti e del ‘pallone minore’

È morto a 78 anni Stefano Benni, uno degli scrittori più originali e amati della letteratura italiana contemporanea. Non è stato solo romanziere, poeta, drammaturgo: è stato anche un narratore del calcio, ma a modo suo. Non con le cronache delle partite o le biografie dei campioni, bensì con quello sguardo ‘benniano' che sapeva mischiare ironia, poesia e satira.
Tifoso del Bologna, aveva un debole per Marino Pascutti, l’attaccante simbolo dello scudetto del 1964. Ma oltre alla passione da tifoso, Benni trasformò il calcio in un linguaggio universale, capace di dialogare tanto con i lettori comuni quanto con gli intellettuali.

Nei racconti di ‘Bar Sport' (1976), il suo libro d’esordio, il calcio è parte della vita quotidiana degli avventori del bar: c’è chi discute all’infinito su fuorigioco inesistenti, chi ricorda gol mitici mai visti, chi inventa leggende di partite in campi fangosi. È il calcio del quartiere, degli oratori e delle “figurine Panini”, un mondo in cui il pallone è al centro di amicizie, rivalità e sogni infantili.
Benni restituisce a quel calcio minore una dimensione epica e ironica, come quando scrive: "Il campetto era in discesa, la porta più grande era difesa da un portiere più piccolo, e la palla finiva sempre nel fosso. Ma per noi era lo stadio di Wembley".
La satira sul calcio moderno e l'epica dei perdenti di Stefano Benni
Con gli anni, Benni ha spesso criticato il calcio trasformato in business. In una delle sue celebri parodie televisive, le telecronache surreali inventate per La Gazzetta dello Sport negli anni Ottanta, smontava il linguaggio enfatico dei commentatori, pieni di slogan e retorica. Celebre è la frase: "Oggi non si gioca più a pallone, oggi si fa il calcio-spettacolo. E come in tutti gli spettacoli, i biglietti costano sempre di più".
Benni mette in ridicolo presidenti-padroni, arbitri onnipotenti, procuratori e giornalisti, mostrando come lo sport si sia trasformato in un ingranaggio commerciale che spesso dimentica la passione dei tifosi.

In libri come ‘La grammatica di Dio‘ (2007) o nei monologhi teatrali, Benni racconta spesso il fascino dei calciatori dimenticati, dei “bidoni” che non diventano mai campioni, ma restano vivi nei ricordi di chi li ha visti giocare. Un passaggio emblematico è dedicato al portiere: "Il portiere è l’uomo che deve parare l’imparabile, che deve salvare il salvabile. E se non ci riesce, è sempre colpa sua. Ma a volte, quando vola in orizzontale e blocca il tiro impossibile, il portiere diventa un angelo".
Questa capacità di mescolare poesia e ironia fa del suo calcio un racconto di umanità, più che di risultati e classifiche.
Il calcio di Stefano Benni è quello dei bar di provincia, non degli stadi
Per Stefano Benni il calcio non è mai solo sport. Il suo calcio non era quello dei grandi stadi internazionali, ma quello dei bar di provincia, dei campetti spelacchiati, dei racconti epici nati dalla fantasia di tifosi e bambini. Con uno sguardo ironico e malinconico, ha trasformato lo sport più popolare del mondo in una materia letteraria, capace di raccontare la storia di un paese.

"La solitudine del portiere di calcio", poesia di Stefano Benni.
Era mia, mia, mia
l'ho gridato e non hai sentito
su di lui ti sei precipitato
l'hai atterrato.
Solo davanti
a questa porta spalancata
mentre il centravanti mi guarda.
Solo quando c'è il rigore
vi ricordate di me,
del vostro portiere
ditemi perché.
Era fuori, fuori, fuori
il fallo era fuori dall'area
quel cretino d'arbitro è arrivato
ha fischiato.
Solo davanti a voi centomila
che ansiosi mi spiate.
Solo quando c'è il rigore
vi ricordate di me,
del vostro portiere
ditemi perché.
E dai tira, tira, tira
cosa aspetti a finirmi?
vedo il pallone calciato che arriva
come una locomotiva
e sono solo nel cielo
mentre volo incontro al tiro
e voi trattenere il respiro.
Solo quando c'è il rigore
vi ricordate di me, lo so
del vostro portiere
chissà se parerò