Rolando Bianchi: “Andai al Manchester City quando non era quello di oggi, poi sbagliai una scelta”

Rolando Bianchi, dal campo alla panchina. Capace di lasciare il segno con la sua grinta e la sua leadership, oggi l'ex attaccante ha intrapreso un percorso da allenatore che prima lo ha portato a lavorare con i giovani e poi tra i professionisti.
Tutti ricordano i suoi gol con la maglia della Reggina e del Torino, la sua parentesi al Manchester City e gli inizi con la maglia dell'Atalanta: l’istinto sotto porta e il carisma lo hanno reso un attaccante capace di trascinare le sue squadre e le tifoserie. Oggi, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, Bianchi ha intrapreso la strada della panchina dopo essersi costruito un bagaglio importante anche come dirigente (ha fatto corsi da direttore generale, direttore tecnico, allenatore Uefa B, A e Pro): da vice allenatore mette a disposizione dei giovani la sua esperienza, con la stessa passione che lo ha reso protagonista sui campi di Serie A e non solo.
A Fanpage.it Rolando Bianchi ha parlato della sua transizione dal campo alla panchina, del suo approccio al lavoro e ha fatto alcune riflessioni sul calcio giovanile moderno oltre ad analizzare le sue esperienze più significative da giocatore.

Cosa fa oggi Rolando Bianchi?
"Sono attualmente ‘fermo' ma faccio parte dello staff di Paolo Cannavaro come vice. Ho rassegnato le dimissioni dalla Pro Vercelli a causa di divergenze di vedute e ora siamo in attesa del progetto giusto".
Dopo il ritiro ha fatto corsi da direttore generale, tecnico, Uefa B, A, Pro: come mai questa scelta?
"Ho perseguito una formazione completa per comprendere tutte le dinamiche del calcio. Credo che un allenatore debba conoscere ogni ruolo e funzione per sapere cosa chiedere ai collaboratori e cosa potrebbe infastidirli".
Bianchi ha lavorato ha stretto contatto con i ragazzi nelle giovanili dell’Atalanta: qual è il messaggio principale che cerca di trasmettere?
"Nel settore giovanile, a mio parere, l'obiettivo primario è la crescita del ragazzo e la fornitura di basi solide, non il risultato immediato. Il risultato dovrebbe essere la fase finale della crescita".
Dal suo punto di vista, quali sono le principali difficoltà che incontrano i giovani calciatori di oggi rispetto alla sua generazione?
"I ragazzi di oggi mancano delle ore di "gioco libero”, come il gioco in strada che le generazioni precedenti avevano, cruciali per lo sviluppo coordinativo e tecnico. Il mondo è cambiato e ci sono più distrazioni rispetto a qualche anno fa".
Si fa davvero tutta questa ‘tattica’ a livello giovanile come si dice, oppure è una leggenda metropolitana?
"A mio modo di vedere la tecnica è la base imprescindibile. La tattica dovrebbe essere introdotta gradualmente, prima a livello individuale e poi collettivo, e non a un'età troppo precoce. Senza una buona base tecnica, la tattica è inefficace. Poi ci sarebbe da affrontare il tema sui formatori…"
Prego.
"Io credo che sia necessaria una selezione più rigorosa degli allenatori, poiché il ruolo è complesso e richiede capacità di gestione a 360 gradi. Io stesso non mi sento ancora pronto per il ruolo di primo allenatore e per questo faccio il vice e porto le mie conoscenze nel gruppo di lavoro".
Questo è un tema molto interessante perché lo ha toccato anche nella sua tesi UEFA Pro, ovvero la specializzazione per ruolo: ce la può illustrare?
"La mia tesi parta dall'idea di allenatori specializzati per reparto, come può essere un ex attaccante per gli attaccanti, un ex difensore per i difensori, e via dicendo. Perché questo? Per offrire una formazione più profonda e basata sull'esperienza diretta. Non è nulla di nuovo, perché lo si vede già negli sport americani, ma credo che possa essere utile in un gruppo di lavoro come uno staff tecnico di una squadra di calcio".
Rolando Bianchi ha giocato in tante squadre e ha vissuto tanti momenti, belli e complessi, nella sua carriera: che insegnamento ha tratto dal suo percorso?
"Ho sempre preferito confronti diretti e sinceri, anche se difficili, credendo che la verità porti a una crescita maggiore. Non mi sono mai piaciuti quelli che dicono una cosa davanti e poi dietro fanno il contrario. Questo mi ha portato ad avere anche confronti molto aspri ma io sono fatto così e questo insegnamento lo porto sempre con me".
Al Torino hai vissuto stagioni indimenticabili: cosa rappresenta ancora oggi quella maglia per lei?
"Ho un legame molto forte e profondo con il Torino, in quanto lo spirito di "non mollare mai" della squadra rispecchia il mio carattere. Nutro un grande rispetto per la storia del club e sono felice di quello che ho fatto per la maglia granata".
Anche il periodo alla Reggina ha segnato in maniera importante la sua carriera, con tanti gol e un entusiasmo contagioso: cosa ha rappresentato per lei quella parentesi e quanto l'ha aiutata a spiccare il salto verso club più grandi?
"A Reggio fu un'esperienza formativa cruciale, culminata con la cavalcata magnifica e magica della salvezza in Serie A nonostante una penalizzazione di -15 punti, grazie a un gruppo straordinario e al supporto dei tifosi. Ero molto giovane quando arrivai e subii un brutto infortunio subito ma la fortuna nel mio percorso è quella di aver incontrato un presidente come Lillo Foti e uno staff di altissimo livello che mi rimisero in piedi in pochissimo tempo. Ricordo quando Lillo Foti mi volle a tutti i costi, eravamo chiusi in una stanza e mi diede un pugno sulla spalla dicendomi ‘Devi venire da me’. Gli ho ricordato questo episodio la settimana scorsa quando l'ho visto a Reggio Calabria, quando sono andato per una partita di beneficenza. Mi ha convinto la sua determinazione".
Diciamo che quella del -15 fu una vera e propria impresa…
"Eravamo un gruppo straordinario di giocatori giovani e esperti, un mix giusto di gente che ha fatto la storia della Reggina e forse del nostro calcio. Quell’impresa viene sempre ricordata e il connubio che c’era tra squadra e città era indescrivibile. Vedere 300.000 persone nel centro di Reggio a festeggiare una salvezza è stato qualcosa di unico".

Ha avuto esperienze anche all’estero, come quella al Manchester City: cosa le ha insegnato il calcio inglese e quali differenze ha trovato rispetto all’Italia?
"È stata un esperienza bellissima e formativa. Non era il Manchester City di oggi ma la Premier League ha sempre avuto il suo fascino e poi mi sentivo di dover ridare anche qualcosa alla Reggina col mio trasferimento, una sorta di riconoscenza”.
Guardando indietro, crede che avrebbe potuto rimanere di più in Inghilterra o fu giusta la scelta di tornare in Italia?
"Ho lasciato il club a gennaio per giocarmi un posto in Nazionale, una scelta che, col senno di poi, forse ha rallentato la mia crescita. Probabilmente avrei chiuso la stagione in doppia cifra vista che a gennaio avevo già fatto sei gol ma all’epoca la Premier non è quella di oggi e se non giocavi in Italia finivi un po’ fuori dai radar".
La sua avventura in Inghilterra non è stata giudicata positiva da tabloid e il suo nome è stato inserito al 38°posto nella classifica dei 50 peggiori attaccanti che abbiano mai giocato in Premier League: perché le hanno inflitto questo giudizio così severo?
"Credo sia normale ma posso dire che io sono venuto via a gennaio, è normale che hanno fatto una scelta su quell'aspetto, però quando ho giocato ero sempre tra i migliori in campo. A casa ho tre ‘Man of the match’, quindi ho sempre fatto il mio. Poi è normale che da un giocatore che paghi quelle determinate cifre ti aspetti che a gennaio arrivi a fare un certo numero di gol, ma era un City in crescita e non è minimamente paragonabile ad oggi".

Non tutti lo ricordano ma Bianchi, oltre all’Inghilterra, ha fatto un’ altra esperienza all’estero al Maiorca, in Spagna: come nacque quell’opportunità e quale ricordo porta con lei di quel periodo?
"Un'opportunità di vita favolosa in Spagna, che è un paese che adoro, ed fu facilitata da Lionel Scaloni. Ho apprezzato lo stile di vita e i compagni, con cui mi sento ancora oggi".
Ecco, mi ha bruciato la domanda: si aspettava che Scaloni che diventasse un allenatore di questo livello?
"Non mi ha sorpreso perché è sempre stato uno molto bravo a gestire i rapporti nello spogliatoio, questa sua qualità era già evidente quando giocava e credo che questo l’aiuti a tenere in mano uno spogliatoio come quello dell’Argentina".
Bianchi è stato un ‘bomber di provincia’, se togliamo alcune esperienze in club di alta fascia: esistono ancora?
"Per me non esistono più calciatori del genere. Il calcio moderno vede meno attaccanti tradizionali e un continuo ricambio di giocatori, che impedisce la formazione di figure simbolo radicate nelle squadre medio-piccole. È sempre più raro vedere qualcuno rimanere per molto tempo nello stesso club come capitava qualche anno fa”.
Quanto calcio guarda Rolando Bianchi ogni weekend e che Serie A ha visto in queste prime giornate?
"Io cerco di guardare più partite possibili perché, a mio modo di vedere, la conoscenza dei calciatori e del loro percorso è fondamentale. Mi è capitato anche di avere a che fare con allenatori che non conoscevano alcuni giocatori. Per me è una cosa che non esiste. Sulla Serie A attuale ti dico che mi piace molto la continuità che sta avendo il Bologna di Italiano, che mi piace molto perché è un tecnico che si è formato dal basso e ha fatto tutta la sua gavetta prima di arrivare a oggi. Vedo la Fiorentina un po’ in difficoltà pur avendo una buona rosa. Diciamo che è una Serie che sta crescendo ma è normale che non sia come qualche anno fa".
Bianchi fa l'opinionista delle gare di Serie A per ‘StarzPlay Sports': come si trova in questo ruolo?
"Dopo l’esperienza di DAZN di qualche anno fa è capitata questa opportunità e faccio parte di un gruppo di lavoro molto bello e affiatato. Ho fatto dei collegamenti da Dubai ed è un’attività che mi piace perché mi consente di analizzare le dinamiche delle partite sia in presa diretta che successivamente".
Ultima curiosità. Qualche tempo fa mi sono ritrovato davanti ad un post sui social che comunicava la sua entrata nella Nazionale del Mediterraneo: ci racconta di cosa si tratta?
"Si tratta di eventi patrocinati dal Vaticano per promuovere la pace nel mondo. Oggi si parla molto di questo tema perché ci sono guerre a noi molto prossime ma nel mondo ci sono numerosi conflitti che spesso vengono messi poco in risalto. Ad esempio, io ho un amico missionario in Congo e spesso mi parla della situazione che vivono lì. Un ‘mondo in pace’ permetterebbe a tutti di vivere in maniera diversa e la speranza è sempre quella che prima o poi si possa raggiungere".