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Orlandini: “Segnai il primo Golden Goal della storia dell’U21 ma all’inizio non ero stato convocato”

Pierluigi Orlandini racconta a Fanpage.it la storia inedita che c’è dietro al Golden Goal nella finale dell’Europeo Under 21 del 1994. Ma non solo: dagli esordi con l’Atalanta fino alle esperienze nei grandi club e al nuovo ruolo di formatore al Villa Valle.
A cura di Vito Lamorte
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Quando Pierluigi Orlandini calcia da fuori area in quella sera di aprile a Montpellier, il tempo sembra fermarsi. Il pallone che s’infila nell'angolo alto non è solo il primo Golden Goal della storia degli Europei Under 21, è un confine: tutto ciò che viene prima resta dall’altra parte, tutto ciò che arriva dopo prende una direzione diversa. Quell’istante, diventato icona per una generazione, non è, però, l’unico frammento che definisce la sua carriera. Dietro c’è un ragazzo cresciuto tra oratori e campi di provincia, un talento spigoloso e autentico che ha attraversato Atalanta, Inter, Parma, Verona, Venezia, Milan e tante stagioni di calcio vero, di fatica, di gioie e di ripartenze.

Oggi Orlandini è un formatore, uno di quelli che il campo lo abita sempre con la stessa cura, ed è responsabile tecnico dell’agonistica del Villa Valle, club che milita in Serie D: a Fanpage.it ripercorre il suo viaggio, dal gol che l’ha consegnato alla storia alle emozioni, ai rimpianti, alle gioie e alle rinascite che hanno attraversato la sua carriera.

Cosa fa oggi Pierluigi Orlandini?
"Sono responsabile tecnico dell’agonistica del Villa Valle. A marzo mi ha contattato il responsabile del settore giovanile, Luciano Pisoni. Mi ha illustrato il progetto, che conoscevo già in parte, e in un quarto d’ora abbiamo trovato l’accordo. Conoscevo la società e le persone, mi ha convinto subito".

Il Golden Goal di Orlandini nella finale dell’Europeo U21 contro il Portogallo nel 1994.
Il Golden Goal di Orlandini nella finale dell’Europeo U21 contro il Portogallo nel 1994.

Il suo ruolo è di coordinatore tecnico delle giovanili, giusto?
"Sì. Supporto i quattro allenatori dell’area agonistica, ma non in modo passivo: quando serve entro in campo, faccio lavori specifici con gruppi ridotti, tecnica e tattica individuale. A queste età è fondamentale"

Aveva già un ruolo simile al Monza. Che tipo di esperienza è stata?
"Molto formativa. Ero tesserato Monza e lavoravo nell’area affiliate: seguivo una decina di società tra Lombardia e Puglia. Un lavoro diverso, più “a distanza”, ma che mi ha dato tanto. Ho ascoltato chi aveva più esperienza e ho imparato un ruolo nuovo. Dopo cinque anni è diventata una parte importante della mia crescita".

Che cosa le ha dato a livello personale?
"Esperienza, metodo, aggiornamento continuo. Mi piace studiare, vedere allenamenti, partite, seguire corsi. Non puoi vivere di ricordi: devi essere competente, al passo, altrimenti perdi credibilità".

Pierluigi Orlandini in azione con la maglia dell’Atalanta.
Pierluigi Orlandini in azione con la maglia dell’Atalanta.

Torniamo alle origini: San Pellegrino Terme, l’oratorio. Che ricordi ha?
"Bellissimi. Si giocava in strada, all’oratorio, senza regole, in modo spontaneo. Era un calcio libero, creativo. Non esistevano le scuole calcio: ti formavi giocando".

E il passaggio all’Atalanta?
"È nato da un grande raduno: 364 ragazzi, una partita da 20 minuti, e hanno scelto me. Poi gli allenamenti, un torneo, e l’anno dopo ero negli Esordienti. Ho fatto tutto il settore giovanile fino all’esordio in Serie A a 18 anni, nello stadio della squadra che tifo: un’emozione enorme. Ho avuto anche momenti difficili, un anno giocavo pochissimo, ero stato praticamente scartato. Poi arrivò un nuovo responsabile, un nuovo allenatore: coincidenze che hanno cambiato il mio destino".

A Lecce vive la sua prima ‘vera' stagione da professionista. Che ricordo ha?
"Bellissimo. Eravamo un gruppo giovane, senza pressioni, e abbiamo conquistato la Serie A. Una stagione perfetta".

Orlandini durante una partita con l’Inter.
Orlandini durante una partita con l’Inter.

Poi nel 1995 Orlandini passa all’Inter per una cifra importante per l'epica. Quanta pressione sentì?
"Sinceramente poca. Ero estroverso, un po’ incosciente. Il primo anno fu straordinario: tante presenze e gol. Mi volle Ottavio Bianchi. Il secondo anno fu diverso: arrivarono Zanetti e Roberto Carlos, cambiò l’allenatore dopo due mesi, mi trovai in un’altra situazione. Probabilmente non sono stato bravo a riconquistarmi spazio".

Al Parma ha vinto Coppa Italia e Coppa UEFA: che squadra era?
"Forse la squadra più forte in cui abbia mai giocato. Crespo, Chiesa, Verón, Dino Baggio, Thuram, Cannavaro… e quasi tutti nazionali. Un livello incredibile".

Orlandini durante l’esperienza al Milan.
Orlandini durante l’esperienza al Milan.

E il Milan, seppur per pochi mesi, che esperienza è stata?
"La società meglio organizzata che abbia mai visto. Non era il Milan degli anni d’oro, ma capivi perché aveva vinto tutto. Professionalità, programmazione, struttura. Sei mesi che mi hanno insegnato tanto".

A proposito di Milan e Monza: ha incontrato Silvio Berlusconi?
"A Milano sì, spesso allo stadio. A Monza meno, ma la sua mano si vedeva ovunque: organizzazione, entusiasmo, cambiamento".

Orlandini ha scritto il suo nome nella storia del calcio italiano segnando il Golden Goal che regalò l’Europeo Under 21 all’Italia nel 1994: cosa ricorda di quella notte a Montpellier?
"È un ricordo indelebile. Il primo golden goal della storia degli Europei. Tutti lo associano al mio nome, e va bene così: ha cambiato la mia carriera. Ma prima di quel gol avevo già esordito in A, già fatto un campionato di B da titolare, già lasciato tracce. Quel gol è stato la svolta, certo, ma non nasce dal nulla".

Il grande Cesare Maldini ebbe coraggio a inserirti nei minuti finali, togliendo Pippo Inzaghi…
"Sì, ma la mia storia in quell’Europeo è un po' strana. Non l'ho mai raccontato e lo faccio con te la prima volta. Io non ero nei convocati iniziali. Chiamai Maldini per chiedere delucidazioni e lui mi espose tutto in maniera chiara. Poi mi dissero che si era infortunato Cois e si aperto uno spiraglio: rimasi tutto il pomeriggio vicino al telefono ad aspettare la telefonata da Coverciano, che arrivò e poi andai a Firenze con una macchina che mi mise a disposizione l'Atalanta. Ero deluso, ma ho trasformato la rabbia in energia. Quel gol ha ripagato tutto".

In quel Portogallo c'erano Rui Costa, Figo, Joao Pinto…
"Era molto forte, probabilmente erano più forti di noi. Ma la spuntammo noi. Va bene così".

A un certo punto Orlandini, da bergamasco al 100%, finì a Brescia. Non andò benissimo…
"No. Io andai per giocare, Mazzone mi voleva, ma con l’arrivo di Baggio cambiò tutto e si modificò l'idea tattica iniziale. Io non sono un tifoso, per me quello è lavoro. Ma la piazza non la prese bene. Quando tornai all’Atalanta fu ancora più complicato: eri sempre ‘quello che è stato a Brescia'. Due anni difficili, che mi tolsero entusiasmo".

Orlandini nelle foto pre–season al Verona.
Orlandini nelle foto pre–season al Verona.

È stato quello il periodo in cui decise di smettere?
"Sì. Quando perdi entusiasmo è giusto fermarsi. Non ha senso trascinarsi: è una questione di dignità, soprattutto in uno sport fisico".

E oggi?
"Oggi sto bene al Villa Valle. C’è empatia, rispetto dei ruoli, collaborazione. Il mio ruolo è delicato: devi proporre, correggere, guidare, senza invadere lo spazio dell’allenatore. Servono apertura mentale e una catena forte, senza anelli deboli. Sto vivendo una fase bella, stimolante, e ne sono felice".

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