Moris Carrozzieri: “Io ho sbagliato e pagato, ma chi truccava le partite oggi è ancora nel calcio”

Difensore roccioso, carattere sanguigno, cuore abruzzese. Moris Carrozzieri, ex Sampdoria, Atalanta, Palermo e Lecce, non è mai stato uno che le cose le manda a dire. Dopo una carriera vissuta tra grandi palcoscenici e cadute dolorose, oggi si divide tra calcio e nuove attività imprenditoriali. In questa chiacchierata sincera e senza filtri, racconta il suo percorso, i rimpianti e la sua visione di un calcio che, dice, “non ha più fame né identità”.
Corrozzieri nel 2009 ha vissuto il momento più triste della carriera con una squalifica per doping e grazie all'aiuto dell'allora presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, e dei suoi familiari è riuscito a venirne fuori: "È stato un periodo durissimo, ma mi ha fatto capire chi avevo davvero accanto. Quando cadi, resti solo. Ho pagato ma mi sono rialzato da solo, con la mia famiglia vicino".
A Fanpage.it Moris Carrozzieri ripercorre la sua carriera tra rimpianti e nuove sfide, dagli esordi ai sogni infranti per la squalifica: l’ex difensore di Palermo e Atalanta parla a cuore aperto del calcio di ieri e di oggi.
Cosa fa oggi Moris Carrozzieri?
"Sì, diciamo che il calcio non l’ho mai mollato del tutto. Seguo alcuni ragazzi e poi ho anche delle attività mie: locali, ristoranti…".
Facciamo un piccolo passo indietro e torniamo dove tutto è iniziato, ovvero a Giulianova. Che ricordi ha di quegli inizi?
"Come tanti, scuola calcio da bambino. Avevo cinque anni, poi ho fatto tutta la trafila. Da lì mi ha visto l’Atalanta, e da quel momento è cominciato tutto".
Ha girato tante piazze importanti: Samp, Atalanta, Palermo. C’è un periodo che le è rimasto nel cuore?
"Tutti, in realtà. A Genova la Samp mi ha lanciato in Serie A, a Bergamo mi sono consacrato, e a Palermo ho vissuto un’annata straordinaria. Poi, purtroppo, c’è stato quell’incidente di percorso…".

Si riferisce alla squalifica. Cosa le ha lasciato quella vicenda?
"È stato un periodo durissimo, ma mi ha fatto capire chi avevo davvero accanto. Quando fai comodo, hai la fila dietro. Quando cadi, resti solo. Ho pagato, ho sbagliato io, ma mi sono rialzato da solo, con la mia famiglia vicino".
Ha fatto il salto dalla Serie C alla Serie A in pochi mesi. Che impatto è stato?
"Una cosa pazzesca. Da 5.000 persone a 80.000, da Teramo a San Siro contro l’Inter, che era la mia squadra del cuore. Ti ritrovi davanti Figo, Cannavaro, Cruz, Martins… roba che sogni da bambino".
È vero che è stato vicinissimo alla Juventus?
"Sì, avevo firmato il 12 aprile 2006, prima che scoppiasse Calciopoli. Poi, con Giraudo e Moggi fuori, non se ne fece più nulla. Passò tutto a Secco e Cobolli Gigli, e io andai all’Atalanta".
Stessa cosa era accaduta anche con il Milan due anni prima, vero?
"Con il Milan avevo fatto una tournée in Cina, era tutto pronto. Dovevo restare un anno alla Samp, ma poi ci fu un problema con Novellino e con i procuratori: mi costrinsero a firmare con la Gea, e da lì il rapporto si incrinò. E così sfumò anche il Milan".

Ha qualche rimpianto?
"Sì, quello sì. Perché ero a un passo da due grandi squadre. Ma nel calcio ci sta. Ti fanno fuori anche per motivi che non c’entrano col campo".
Che idea si è fatto dei giocatori di oggi?
"È cambiato tutto. Oggi vedi ragazzini che scendono dal pullman in Serie D con cuffie e beauty come se avessero vinto il Mondiale. Ai miei tempi tornavi a casa pieno di fango, non con le scarpe da 300 euro. Manca la fame, manca la strada. Ora è tutto comodo, tutto pronto".
E a livello economico, com’è cambiato il calcio?
"Paradossalmente oggi si guadagna di più, ma con meno merito. In Serie B ci sono stipendi da 70-80 mila euro per giocatori medi. Ai miei tempi in C prendevi già cifre buone, ma te le sudavi. Ora il livello si è abbassato tanto".
Si arrabbia ancora quando vede certe partite?
"Eh sì. Guardo e penso: ‘Mi alleno due mesi e gioco meglio di questi'. Ma il problema è più profondo: non c’è più cultura calcistica. I settori giovanili li gestiscono persone che non hanno mai toccato un pallone. Così non cresci nessuno".

Si ricorda cosa hai fatto con il suo primo ingaggio?
"Sì (ride, ndr). Avevo fatto un patto con mio padre: ‘Quando guadagnerò, mi compro una macchina'. Dopo l’esordio mi accompagnò a prenderla. Io volevo una Porsche, lui mi fece prendere una Mercedes usata. Aveva ragione lui: bisogna dare peso alle cose".
Tornando al passato: c’è qualcosa che non rifaresti?
"Solo quell’errore. L’ho sempre detto, ho sbagliato e ho pagato. Però mi rode vedere che chi truccava o scommetteva sulle partite, chi tradiva i tifosi, oggi è ancora nel calcio. Io ho danneggiato solo me stesso, eppure sono stato punito per ‘immagine'".
E oggi, chi è Moris Carrozzieri?
"Uno che ha sbagliato, ma che non si è mai arreso. Ho imparato tanto, e voglio restare nel calcio per dare ai ragazzi quello che io non ho avuto: qualcuno che dica la verità, senza filtri".