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La nuova vita di José Mourinho dopo la Roma: “Ho odiato quel che mi costringevano a fare”

È così che lo Special One si immagina in futuro: essere solo un allenatore e non più calarsi in ruoli come accaduto nell’esperienza nella Capitale. “Quando sei molto di più di un tecnico non puoi essere bravo come potresti essere. Il club ti mette in una posizione dove non voglio essere”.
A cura di Maurizio De Santis
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Josè Mourinho è tornato a parlare. Da quando è andato via dalla Roma, esonerato per fare posto a Daniele De Rossi, molto è cambiato nella Capitale: i giallorossi hanno cambiato pelle, gioco, identità, tutto. Adesso sono una delle più belle realtà della Serie A e possono sognare anche in Coppa: la semifinale di Europa League contro il Bayer Leverkusen è la seconda consecutiva dopo quella dell'anno scorso. Ironia della sorte, di fronte c'erano proprio i tedeschi che ora accarezzano possibilità di vendetta dopo l'eliminazione patita contro la squadra allora allenata dal tecnico portoghese.

Lo Special One parte proprio da questo particolare per spiegare qual è stata la portata del suo lavoro e, più ancora, quella dei risultati arrivati sotto la sua egida, di come immagini se stesso al lavoro nella dimensione che più ritiene congeniale per sé. "Sono l’unico allenatore europeo ad aver disputato due finali negli ultimi due anni – ha ammesso nell'intervista al Telegraph -. Questo fa parte del mio presente e non può essere certo una colpa se ho vinto la Champions molti anni fa. Se oggi chiedi a un allenatore ‘vorresti giocare due finali europee in due anni consecutivi?', ti dirà di sì".

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La Conference League non è certo uno dei trofei più ambiti a livello continentale, eppure è stato il primo che la Roma ha conquistato con l'arrivo di Mou. "Era un club senza una storia di vittorie", ha aggiunto chiarendo come non sia affatto contrario all'idea di lavorare per società che "non sono fatte per vincere" ma si ritiene vittima del pregiudizio secondo cui debba allenare (o sia in grado di allenare) solo club programmati per conquistare trofei. E aggiunge che il suo sogno è solo "essere allenatore, concentrato sullo sviluppo dei calciatori e sulla preparazione delle partite".

A Roma questo non accadeva e ha "odiato" fortemente dover essere sempre in prima fila, attirando tutta l'attenzione mediatica su di sé, facendo da parafulmine e prendendo responsabilità che – sottolinea – nemmeno avrebbe voluto. "Quando sei molto di più di un allenatore non puoi essere bravo come potresti essere. Il club ti mette in una posizione dove non voglio essere. Dopo la finale di Europa League che abbiamo perso (quella col Siviglia, ndr), nelle circostanze in cui abbiamo perso (il riferimento è all'arbitraggio di allora che gli costò una squalifica per le proteste, ndr), ho odiato andare in conferenza stampa per parlare di tutto quanto accaduto. La gente dice che sono bravo a comunicare. Ma in realtà quando parli spesso rischi di dire cose sbagliate".

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L'ultima riflessione di Mourinho è dedicata all'essere Mourinho: tutti si aspettano che abbia la bacchetta magica per raggiungere risultati che, almeno sulla carta, non sono alla portata. "Per me conta che il club abbia degli obiettivi e che io possa dire di essere pronto a lottare per questi. Quando andai alla Roma nessuno sognava la finale di Europa League e ce l’abbiamo fatta. Non è possibile che vada in un club quasi retrocesso e l’obiettivo sia vincere la Champions League".

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