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La grande umanità dopo il malore a Ndicka: da De Rossi a Pairetto, il calcio ha vinto la partita più importante

Il difensore della Roma è ancora ricoverato dopo il malessere accusato durante la partita a Udine. Sta bene, l’indagine clinica sulle sue condizioni ha escluso si trattasse di infarto e preso in considerazione un’altra ipotesi.
A cura di Maurizio De Santis
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La foto di Evan Ndicka, che dal letto d'ospedale serra il braccio a mo' di forza, e il messaggio della Roma diffuso in serata sulle condizioni del calciatore ("si sente meglio ma resta sotto osservazione") hanno spazzato via ogni paura sul giocatore che durante la partita con l'Udinese s'à accasciato a terra con la mano sul petto.

Si è temuto il peggio: che quel dolore in petto fosse la spia di un problema al cuore. I controlli diagnostici effettuati hanno escluso si trattasse di un infarto e insinuato il dubbio che il malessere fisico potrebbe essere stato provocato da qualcos'altro.

Cosa? L'indagine clinica chiarirà anche questo aspetto emerso in quelle ore concitate. Il sospetto è che quella fitta sia la conseguenza di una compressione polmonare che sarebbe stata emersa da una Tac e dovuta (forse) a un colpo preso in un contrasto (di qui l'ipotesi dello pneumotorace da trauma). Ecco perché anche per questa ragione si è deciso di prolungare il ricovero in via precauzionale.

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Tutti i protagonisti della vicenda hanno agito all'unisono. Umanità, saggezza e senso di solidarietà hanno prevalso: da Daniele De Rossi che, appena ha visto il giocatore fare quel gesto e sdraiarsi, ha urlato e s'è sbracciato perché fosse subito soccorso fino all'arbitro, Pairetto, che ha gestito quei momenti di tensione con il buon senso che occorre al di là del regolamento e della prassi richiesta dal protocollo, compresi Cioffi (allenatore) e Balzaretti (dirigente) dei friulani da cui è arrivata immediata e massima disponibilità.

Il direttore di gara ha fatto l'unica cosa opportuna: si è immedesimato nello stato d'animo dei calciatori e del tecnico e ha offerto tutta la collaborazione necessaria. "Rispetto le vostre decisioni, ditemi se ve la sentite", ha comunicato a De Rossi, lasciando che sia lui sia Mancini andassero negli spogliatoi per sincerarsi delle condizioni di Ndicka. Il gesto fatto dal difensore mentre era in barella (pollice verso l'alto, come a dire: non preoccupatevi) non era sufficiente a scacciare via i cattivi pensieri.

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"Stessa situazione, stesso minuto", ha ribadito ai friulani che gli chiedevano cosa sarebbe successo da regolamento (il riferimento è al recupero di quella parte mancata di incontro che sarà ripreso dal momento dello stop, ndr). E quando Cioffi ha chiesto al collega "vuoi sospendere?", ha aggiunto: "Se succede l’irreparabile e arriva la notizia mentre giochiamo?". La lucidità nel coordinare quella situazione estrema e la capacità di assumersi la responsabilità di sospendere definitivamente la partita hanno sottolineato la personalità del direttore di gara.

Morosini, Astori e, più di recente, Joe Barone: il calcio s'è trovato spesso a fare i conti con situazioni di questo tipo e, al di là delle divise che s'indossano, c'è qualcosa che va oltre a prescindere dai ruoli e da quale lato del campo ti trovi. Lo scrocio di applausi del pubblico friulano lo ha sottolineato, così come la compartecipazione al pathos di quell'evento facendo silenzio quando, con Ndicka a terra, serviva silenzio assoluto per ascoltare il cuore del giocatore. A Udine il calcio ha vinto la partita più importante.

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