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Il dramma della Nazionale femminile afghana: “Sono disperate, i vicini sanno che sono calciatrici”

La presa del potere da parte dei talebani è un cielo nero sopra le teste ed i sogni delle donne afghane. Particolarmente drammatico è il destino che attende chi in passato ha cercato tramite lo sport di allargare diritti e orizzonti femminili in Afghanistan. Il racconto dell’ex capitano della Nazionale femminile di calcio è straziante: “Mi chiamano e mandano messaggi vocali in cui piangono, piangono soltanto…”.
A cura di Paolo Fiorenza
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L'Afghanistan è da qualche giorno l'Emirato Islamico dell'Afghanistan, dopo la conquista del Paese da parte dei talebani, e nulla sarà più come prima per gli abitanti di Kabul e delle altre città cadute sotto l'avanzata inarrestabile dei fondamentalisti. La paura maggiore, alla luce di quanto accaduto in passato e di quanto succede in altri Paesi confessionali ispirati alla Sharia, è che il prezzo maggiore lo paghino le donne, come già raccontano le voci accorate che arrivano dall'Afghanistan: "Molte fingono di avere un fidanzato, bruciano i documenti che attestano ogni tipo di istruzione e creano una vita a misura di Sharia per sopravvivere".

La posizione delle donne nello sport poi è ancora più a rischio e la testimonianza sulla Nazionale femminile di calcio che arriva da Khalida Popal, ex capitano della squadra e tuttora punto di riferimento per l'intero movimento, è da brividi. A lei arrivano le telefonate e i messaggi vocali con cui le giocatrici raccontano disperate come adesso temano per le proprie vite. Voci rotte dal pianto, cui la Popal – dalla Danimarca, dove si è trasferita da qualche anno – può solo rispondere consigliando di fuggire dalle loro case e cercare di cancellare la loro storia, in particolare l'attivismo contro i talebani.

"Ho incoraggiato a rimuovere i profili dai social, a rimuovere le foto, a scappare e a nascondersi – ha detto la Popal all'Associated Press – Questo mi spezza il cuore, perché in tutti questi anni abbiamo lavorato per aumentare la visibilità delle donne e ora sto dicendo alle mie donne in Afghanistan di stare zitte e scomparire. Le loro vite sono in pericolo". La 34enne era fuggita con la sua famiglia nel 1996 dopo che i talebani avevano preso Kabul, poi è tornata in Afghanistan due decenni fa, lasciando il campo profughi in Pakistan. Con la protezione della comunità internazionale, la Popal era ottimista sul fatto che i diritti delle donne sarebbero stati difesi ed accresciuti: "La mia generazione aveva la speranza di costruire il Paese, mettendo le basi per la prossima generazione di donne e uomini. Così ho iniziato con altre giovani donne ad usare il calcio come strumento per dare potere a donne e ragazze".

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Nel 2007 c'erano abbastanza giocatrici perché la Popal facesse parte della prima Nazionale femminile dell'Afghanistan: "Ci siamo sentite così orgogliose di indossare la maglia – ricorda ora – È stata la sensazione più bella di sempre". Ma già allora si vedevano i segnali di quello che sarebbe potuto accadere in caso di nuovo ribaltone politico nel Paese: "Ho ricevuto così tante minacce di morte perché la TV nazionale aveva citato mie dichiarazioni in cui chiamavo i talebani il nostro nemico". Khalida ha smesso di giocare nel 2011 per concentrarsi sul coordinamento della squadra come direttrice dell'Afghanistan Football Association. Ma le minacce sono continuate e alla fine è stata costretta a fuggire dall'Afghanistan per cercare asilo in Danimarca nel 2016: "La mia vita era in grave pericolo".

Adesso quello stesso pericolo, ma terribilmente più vicino, tocca le attuali giocatrici della Nazionale: "Le donne afghane hanno creduto nelle promesse della missione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Perché avete fatto quelle promesse? Questo è quello che dicono le mie ragazze che piangono e mandano messaggi vocali. Perché non dire che ve ne sareste andati così? Almeno avremmo potuto proteggerci. Non avremmo creato nemici. Stanno piangendo. Stanno solo piangendo… sono disperate. Hanno così tante domande. Quello che sta succedendo loro non è giusto. Si stanno nascondendo. La maggior parte di loro ha lasciato le proprie case per andare dai parenti e nascondersi perché i vicini sanno che sono giocatrici. Hanno paura, con i talebani è tutto finito. Stanno andando in giro a creare terrore. Le ragazze continuano a scattare video e foto dalla finestra, mostrando che sono proprio fuori dalle loro case e questo è molto triste".

A questo punto è difficile anche solo immaginare che l'Afghanistan, classificato al 152simo posto su 167 Nazionali della classifica FIFA femminile, possa giocare di nuovo. "Le donne hanno perso la speranza", è la triste conclusione di Khalida Popal, straziata e impotente a migliaia di chilometri di distanza da Kabul.

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