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Ibrahimovic alla Juventus, inizio e fine di una storia burrascosa

L’avventura italiana di Zlatan Ibrahimovic è iniziata nel 2004 con l’approdo alla Juventus. Una storia iniziata bene, per un calciatore cresciuto e non poco grazie all’ambiente bianconero e agli insegnamenti dell’allora tecnico Fabio Capello e ai consigli di Luciano Moggi, ma finita in malo modo dopo solo due stagioni a causa della retrocessione in Serie B per i fatti di Calciopoli.
A cura di Marco Beltrami
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La fortunata esperienza italiana di Zlatan Ibrahimovic è iniziata alla Juventus nell'estate 2004. Lo svedese all'epoca 22enne, lasciò l'Ajax per approdare nel Belpaese in quello che era a tutti gli effetti un salto di qualità importante per la sua carriera. Doti tecniche fuori dal comune per quel promettente ragazzo su cui la Vecchia Signora avrebbe puntato poi per due stagioni, prima dei fatti di Calciopoli e la separazione con Ibra che decise di non scendere in B con i bianconeri e ripartire invece dagli acerrimi rivali dell'Inter.

Quando Zlatan Ibrahimovic arrivò alla Juventus nell'estate 2004

La Juventus reduce dalla definitiva conclusione del ciclo Lippi, nella stagione 2004/2005 decise di ripartire a sorpresa in panchina da Fabio Capello. Oltre ai suoi ex pupilli Zebina ed Emerson, reduci dall'esperienza in giallorosso, Don Fabio volle fortemente alla sua corte anche Zlatan Ibrahimovic, astro nascente del calcio internazionale proveniente da stagioni importanti all'Ajax. L'allora uomo-mercato della Vecchia Signora, Luciano Moggi riuscì a strapparlo ai Lancieri per 16 milioni, con Ibra che si trasferì a Torino come Fabio Cannavaro, dopo il superamento dei playoff Champions.

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Ibra non sapeva calciare, il retroscena di Fabio Capello

Ibrahimovic, considerato già un potenziale top player dotato di una tecnica fuori dal comune nonostante la stazza, non aveva proprio la fama di bomber. Una situazione confermata proprio da Capello in un'intervista di qualche anno fa: "Io ero alla Roma e lo vidi in un'amichevole a Berlino, nell'intervallo rimasi a guardare la sua tecnica nel riscaldamento, faceva già i numeri dei ragazzini di oggi. Quando andai alla Juventus feci in modo di prenderlo. Aveva molte qualità, ma gli piaceva fare i numeri, la cosa bella fu la determinazione che mise per migliorare e calciare. Zlatan tirava molto male, ma io lo impostai perché in lui vidi l'orgoglio e la voglia di diventare il numero uno".

L'impatto di Ibrahimovic alla Juventus

Dal canto suo Zlatan Ibrahimovic, si ritrovò proiettato in una realtà di un altro livello. In un'intervista a Sportweek, lo svedese ha ricordato l'impatto con l'ambiente bianconero e con campioni del calibro di Del Piero o Thuram: "Quando sono arrivato alla Juventus, era il 2004, c’era una mentalità totalmente differente da quella di Malmoe o Amsterdam, dove avevo giocato con l’Ajax. Ti rispettavano, però eri uno dei tanti, non eri ‘wow, ci pensi te'. Mi ricordo ancora un duello tra Del Piero e Thuram. Del Piero era una stella: controlla la palla e arriva da dietro Thuram, bam! Lo butta giù. Ho pensato: se tocca così Del Piero, a me m’ammazza. Io non ero nessuno. Tutti gli allenamenti erano così, duri, duri, duri".

Insomma Ibra, passò da una squadra in cui era senza dubbio il calciatore più importante, ad una in cui avrebbe dovuto guadagnarsi sul campo stima e "attenzioni". Emblematico a tal proposito l'incontro con Fabio Capello: "Stava leggendo la Gazzetta, per me la Gazzetta era wow, in Svezia il giornale rosa è il calcio. Al primo giorno di allenamento, entro negli spogliatoi e dico ‘buongiorno mister'. Mi avevano detto che si faceva così. Lui continua a leggere, cambia pagina, prende il caffè. Passano 15-20 minuti non sento niente. Lui chiude la Gazzetta e va fuori. Se mi tratta così significa che devo dimostrare di essere qua. Ecco, lui mi ha fatto sentire che non ero nessuno. Poi mi ha detto: ‘Non chiedi il rispetto, lo prendi'. E io l’ho preso".

Il rapporto con Luciano Moggi

Alla Juventus, Zlatan Ibrahimovic ha coltivato la sua mentalità vincente. Ancor prima di crescere sul campo, il centravanti è maturato nello spogliatoio. Memorabile in particolare il botta e risposta con l'allora direttore sportivo Luciano Moggi: "Una settimana dopo, ci allenavamo alla Sisport, vicino al vecchio Comunale. C’erano due campi, ma le docce otturate. Quando entri in casa Juve è tutto super, lì invece facciamo la doccia io, Trezeguet e altri due e si allaga tutto. Penso, che schifo! Fuori c’era Moggi e gli dico: ‘Non è normale, siamo la Juve'. Mi risponde: ‘Ricordati che non sei qua per stare bene, sei qua per vincere‘. Questo l’ho portato con me: tutto è vincere".

Quella di Ibrahimovic alla Juventus sembrava destinata ad essere una lunga storia d’amore e invece tutto finì dopo appena due stagioni. Lo svedese che collezionò in bianconero 26 gol e 14 assist in 92 presenze. Vincendo due campionati di Serie A, entrambi poi revocati per lo scandalo Calciopoli. La retrocessione d'ufficio della formazione bianconera in Serie B, compromise definitivamente il rapporto tra Ibra e la Vecchia Signora, dopo che già in precedenza c'erano stati dei dissapori con Luciano Moggi. Dopo un'espulsione, rimediata in occasione di un match di Champions contro il Bayern, il dirigente lo rimproverò incassando la risposta piccata dell'attaccante: "Non voglio restare a Torino. Non c’è niente che tu possa fare per farmi rimanere".

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Perché Ibrahimovic disse addio alla Juventus

E infatti ecco che nell'estate 2006 per poco meno di 25 milioni Ibrahimovic lasciò la Juventus per approdare alla corte dei rivali dell'Inter. Ai microfoni di Sky diversi anni dopo, l'attuale bomber del Milan, è tornato su quella scelta legata anche alla volontà di non scendere di categoria: "Con Calciopoli alla Juve cambiò tutto. Quando è scoppiato il problema, con la decisione di mandare la Juve in B c'erano le vacanze, dopo noi eravamo in Germania per il Mondiale, e c'erano tantissimi casini. Hanno mandato via tutti, Moggi e Giraudo, poi c'era Secco che da Team Manager è diventato Direttore Sportivo. Anche giocare in Serie B ho pensato non fosse il massimo: ci sarebbero voluti anni prima di tornare ad essere la squadra che era, e paragonandole quella era per me la Juve, non quella che ci sarebbe stata. Ma la mia, superiore a tutti, troppo forte per gruppo, nomi e allenatore. Mi chiesero di restare, di rinnovare il contratto, ma tanti giocatori erano andati via e io pensavo: se resto alla Juve prima di tornare al top ci vorrà tempo, e io in quel momento mi sentivo che potevo raggiungere un livello più alto di rendimento, arrivare al massimo, ma solo giocando al massimo. Pensavo che andando in Serie B, avrei perso un anno, poi il primo sarà difficile, il secondo ancora di passaggio e tra tre anni sarò dove sono adesso".

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