Federico Macheda: “Il primo giorno al Manchester è stato surreale. Poi Ferguson mi ha portato Giggs”

Una parabola incredibile ha portato Federico Macheda dalla Lazio alla Grecia, passando per il sogno del Manchester United: “Volevo andare via il primo giorno, Ferguson mi ha telefonato quando ero senza squadra”.
A cura di Ada Cotugno
95 CONDIVISIONI
Immagine

Negli occhi di tutti è ancora impresso quel gol all'Aston Villa: il passaggio di Giggs, lo stop, la veronica e il pallone che finisce in rete pochi minuti dopo l'esordio assoluto al Manchester United. Era il 2009 e Federico Macheda era il nuovo wonder boy del calcio europeo, la giovanissima stella partita da Roma e pronta a conquistare tutti tra i giganti dei Red Devils. Ma la vita gli ha messo davanti un percorso a ostacoli pieno di insidie, difficoltà ma anche tante gioie.

Oggi Macheda gioca all'Asteras Tripolis, nel campionato greco dove è diventato uno dei giocatori più amati, e guarda con orgoglio a tutti i traguardi che è riuscito a raggiungere. Ai microfoni di Fanpage.it ha raccontato tutta la sua storia parlando in particolare del rapporto con Sir Alex Ferguson e di quella telefonata inaspettata che lo ha aiutato a non mollare nel momento più complicato.

Eri giovanissimo quando dalla Lazio sei passato al Manchester United. Come è avvenuto questo grande salto?

"È stato strano come percorso, perché ovviamente quando sei giovane e giochi con la tua squadra del cuore tutto ti aspetti tranne di andare in un altro Paese, soprattutto in una squadra così importante come il Manchester United. È capitato tutto così in fretta. All'inizio neanche ci avevo fatto la bocca perché per me era impensabile lasciare Roma, i miei amici, la famiglia. Sapevo che sarebbe stata una scelta molto difficile, però poi ho visto un interesse da parte loro talmente grande che quando si è messo in mezzo Ferguson non ho potuto resistere, quindi ho dovuto accettare la loro corte da così giovane".

Immagine

Da adolescente quindi ti ritrovi faccia a faccia con Sir Alex Ferguson. Come è stato il vostro primo incontro?

"Il mio primo giorno a Manchester è stato molto complicato, perché sono partito da Roma da solo, mi hanno messo con una famiglia che lavorava per lo United e che teneva due o tre ragazzi dentro questa casa. Mi sono trovato lì non parlando la lingua, ho chiamato subito la persona che mi aveva portato a Manchester e gli ho detto che sarei voluto tornare a Roma il giorno dopo, perché ho vissuto la prima giornata veramente male. Sono arrivato a Manchester e pioveva a dirotto, era luglio, quindi è stato un po' difficile. Quando ho iniziato il primo giorno allo United Ferguson sapeva di tutto questo, del mio malumore, quindi si è messo subito in mezzo, ha cercato di farmi sentire parte del club, facendomi parlare con i giocatori della prima squadra. C'erano giocatori del calibro di Giggs che facevano colazione insieme a me il primo giorno, quindi è stata subito una roba surreale, mi sono rilassato vedendo quelle cose, mi sono detto di tenere duro, perché questo è un ambiente dove non capita di esserci tutti i giorni".

Finisci nel giro dello United dei grandi campioni, quello che nel 2008 ha vinto la Champions League. Ci racconti qualche aneddoto di quella squadra?

"Allenandosi nello stesso centro poi diventa un'abitudine, diventi uno di loro, anche se magari il primo anno giocavo con la seconda squadra, però già avevo qualche tipo di rapporto con loro, ti facevano sempre sentire a tuo agio, era tipo come una famiglia. Li vedevi tutti i giorni, poi loro facevano l'allenamento, noi facevamo il nostro. Poi ho avuto la fortuna di condividere lo spogliatoio con loro. Aneddoti? Ce ne sono tanti, sono stato 5-6 anni lì, però diciamo che stare in mezzo a loro era un sogno che si avverava, perché magari l'anno prima li vedevo in televisione o ci giocavo alla PlayStation, quindi ritrovandomi vicino ad allenarmi, a giocare con loro e a competere nelle competizioni più importanti del mondo è stata una roba importantissima".

Immagine

C’è qualcuno con cui hai legato particolarmente?

"In prima squadra ho avuto la fortuna di legare con varie persone, c'erano giocatori che parlavano italiano, altri spagnolo, quindi quel gruppo lì erano un po' più simili a noi italiani, mi piaceva sentirmi parte di loro. Ti parlo di Nani, Evra, de Gea, lo stesso Cristiano Ronaldo nel primo anno e anche gli inglesi, perché poi ero un tipo che cercava di andare d'accordo con tutti, quindi anche gli inglesi mi avevano preso a ben volere, come Ferdinand, Giggs. Per la qualità dei campioni che c'era erano persone fantastiche a livello umano, per questo poi in campo i risultati su vedevano".

Ti sei allenato per anni con CR7, che era già un campione ma che da lì a poco sarebbe entrato nell’Olimpo del calcio. Qual era il tuo rapporto con lui? Che tipo di persona è?

"Io l'ho conosciuto per un anno e mezzo e con me è sempre stato un ragazzo alla mano, anche lui era molto giovane però era già a livelli altissimi. Quando sono arrivato io era l'anno in cui stava per vincere il Pallone d'Oro e la Champions League, quindi era già un giocatore affermato. Come ragazzo al di fuori può sembrare uno che se la tira, perché avendo molte attenzioni addosso non è facile essere lui, però come ragazzo è sempre stato uno pronto a dare consigli, uno che ti spingeva anche quando stavi in palestra con lui. Ti faceva allenare insieme a lui, è stato un ragazzo alla mano e una figura molto importante per il mio percorso, vederlo da vicino è stata una cosa pazzesca per me".

Anche se è un po’ più giovane di te, per un periodo hai frequentato l’Academy con Scott McTominay. Vi conoscevate all’epoca?

"Scott lo conosco benissimo, me lo ricordo perché lui era piccolino, rispetto agli altri era veramente piccolo, era bassino e aveva questa faccia simpatica, quindi si distingueva. Sono molto felice per lui che giochi in Italia adesso, è diventato un giocatore grandissimo e spero che continui così, perché al calcio italiano i giocatori del genere fanno solamente bene. Allo United sanno benissimo il valore di Scott secondo me, purtroppo non so che scelte abbiano fatto, se il club volesse mandarlo via o se sia stata una sua decisione, però negli ultimi anni difficili Scott è stato sempre uno dei più continui allo United. A me è parsa una scelta molto strana quella del club di lasciarlo andare, però in Italia sta trovando la sua dimensione ed è quello che si merita. Quando hai un giocatore del genere lo devi mettere sempre al centro del progetto, perché stiamo parlando di un ottimo ragazzo e soprattutto un grande giocatore".

Il gol storico all’Aston Villa è il manifesto della tua esperienza allo United. I tifosi lo ricordano ancora oggi, per te è stato più una benedizione o una maledizione?

"Io vengo da un quartiere di Roma molto molto difficile, quindi il fatto di essere andato a Manchester e aver fatto quello che ho fatto lì per me è stata una benedizione, perché io sono andato lì con un obiettivo, quello di affrontare questa esperienza e di provare a fare almeno una partita in quello stadio con quella maglia. A quei tempi era veramente difficile riuscirci, era veramente difficile potersi allenare addirittura in prima squadra, perché c'era una qualità, un livello altissimo rispetto ad ora, per me è stata una benedizione perché so io quello che ho fatto, so che ha fatto la mia famiglia e aver fatto quello che ho fatto io a quell'età è una cosa che può essere, secondo me, soltanto una benedizione".

Le aspettative si sono alzate e tu sei diventato il gioiellino della squadra. Quando hai capito di essere diventato il nuovo idolo dei tifosi?

"Il giorno dopo il gol, è stata una roba talmente grande che non ce l'aspettavamo né io né la mia famiglia. Quando uscivi per fare una passeggiata ti accorgevi che da un giorno all'altro era cambiata la storia completamente, la grandezza del club nel mondo ha fatto sì che il giorno dopo c'era questo caos nei miei confronti che non si aspettava nessuno, nemmeno io. È stato forte, però io sono un ragazzo che ama stare in mezzo alla gente, che voleva vivere la vita da ragazzo, quindi se volevo fare una passeggiata, uscire a mangiare o andare da qualche parte lo facevo. Certo dovevo stare un po' più attento, però dopo un po' ci fai l'abitudine. Le prime volte magari ti senti un po' troppi occhi addosso perché non essendo abituato è un po' strano, però poi ci fai l'abitudine e va avanti così".

Eri giovanissimo, giocavi in una delle squadre più forti in Europa, ma non sei mai stato chiamato in Nazionale maggiore. Ti sei dato una spiegazione?

"Non ho mai giocato con continuità in quella squadra, c'erano giocatori del calibro di Berbatov, Michael Owen, Tevez, c'era una competizione talmente alta che giocare con continuità era molto difficile. Poi la politica della Nazionale prima era diversa da quella di adesso. Ora magari pensano a chiamare i giovani che stanno facendo bene per farli crescere e fargli assaporare lo stage della Nazionale maggiore e dargli esperienza, renderli pronti per i campionati importanti. Prima c'era un po' questa politica diversa, come ho detto, però la spiegazione che ti do è che non avevo giocato con tanta continuità, la Nazionale aveva attaccanti fortissimi e magari se avessi fatto un campionato o sei mesi di continuità a buoni livelli sarebbe arrivata la chiamata anche per me".

Quanto hai sofferto il peso della pressione e delle aspettative?

"Nelle mie prime due partite con il Manchester sono entrato e ho fatto gol, abbiamo vinto due partite in un momento difficile, in una stagione così importante per noi che ci ha portato poi a vincere la Premier League. Il tifoso sogna quando vede che entri e segni, magari si aspetta che tutte le partite vadano così, ma il calcio è un sport molto difficile e come ti ho detto prima quando non hai continuità poi è complicato, perché un giocatore deve sempre avere la continuità giusta per poter fare quelle cose, se tu giochi una partita al mese è più complicato".

Immagine

Poi hai scelto di passare alla Samp, un’esperienza sicuramente poco felice…

"La Sampdoria è stata una scelta mia, in quel periodo avevo offerte alla Premier League. Sono sempre stato affascinato dalla Sampdoria fin da quando ero piccolo, per la maglietta, per il loro tifo, per quel che trasmettono, quindi appena ho avuto l'offerta da loro non ho sentito più di nessuno, mi ero impuntato andando contro tutti, anche contro lo stesso Ferguson che avrebbe voluto che restassi in Inghilterra per seguirmi più da vicino. Però mi ero impuntato di giocatore in Serie A, mi avevano proposto sei mesi di prestito ed era un progetto che mi piaceva. Poi è stata un'annata disastrosa per vari motivi, io ero un ragazzo giovane, come ho detto prima non avevo l'esperienza, non avevo mai fatto un campionato intero con continuità, ero andato lì per cercare di fare esperienza. È stata un'annata storta che però fa parte del gioco, la scelta di andare alla Sampdoria magari mi ha un po' danneggiato a livello calcistico proprio per essere andato contro tutti, però è stata una scelta che ho voluto fare fortemente perché era quello che mi sentivo. Le esperienze si fanno per questo perché alla fine se fosse andata bene avremmo parlato di altro".

Cosa si prova in un momento simile? Sei passato dall’ovazione di Old Trafford alla retrocessione in Serie B in un attimo

"È stato un mix di emozioni perché io essendo giovane, avevo appena compiuto 19 anni, tutto avrei pensato tranne di andare in Italia e retrocedere perché la Samp alla fine era una squadra importante, avevano appena fatto il preliminare dei Champions, l'ambiente era giusto. Ho visto l'altra parte della medaglia perché a Manchester sei abituato a vincere, è una cosa che non conoscevo. Sicuramente mi ha fatto male perché ovviamente quando vieni da un club come lo United la gente si aspetta che tu faccia grandi cose, però ero ragazzino e se ci penso adesso che ho 33 anni è difficile da spiegare. Quando giochi a calcio ti senti sempre pronto, grande per tutto, ma certe volte ci sono cose che non puoi controllare, è stato doloroso perché vedevo accanimento nei miei confronti, non riuscivo a capire i motivi, è stato brutto".

Da lì è partito il tuo giro intorno al mondo che ti ha portato fra Grecia, Turchia e Cipro. Come hai vissuto le ultime esperienze?

"In Grecia sono stato molto bene, ho trovato il mio ambiente ideale, ho trovato un club (il Panathinaikos, ndr) che finalmente mi dava la fiducia per esprimere le mie qualità e sono molto contento dei quattro anni che ho fatto lì. C'è un po' di rammarico perché l'ultimo anno, in cui il club aveva provato ad alzare il livello, io avevo un problema alla caviglia e avevo bisogno di un'operazione, quindi l'ultimo anno ho fatto fatica ma la mia esperienza in quel club mi ha fatto soltanto bene e sono felice. Ancora oggi c'è molta gente che mi vuole bene lì. Poi sono andato in Turchia all'Ankaragucu e invece ho trovato l'opposto perché sono andato in un campionato in ascesa, dove le strutture sono fantastiche, c'è tifo, è un campionato vero. Nel calcio turco adesso vanno giocatori molto importanti e quindi volevo competere anche io, perché poi quando stai bene in un posto le motivazioni scendono e vuoi cambiare. Mi sono trovato male perché ho trovato un ambiente instabile e ho fatto un po' fatica a livello mentale. Quando cambi troppi allenatori perdi un po' di stabilità e dopo due anni ho deciso di tornare in Grecia dove conosco bene il campionato, so bene quello che posso fare".

Da giocatore hai attraversato tante difficoltà. Hai mai pensato di lasciare tutto?

"È una bella domanda questa. Guarda io ne ho passate tante, ho avuto qualche fallimento, ho avuto tanti infortuni. Questa è una cosa che voglio precisare perché quando sei ad alti livelli, pronto per fare il salto, e arrivano infortuni brutti con operazioni ti rallentano, è una cosa normalissima. Pensare di lasciare tutto no, però c'è stato un momento dove ho fatto veramente fatica ad andare avanti. Mi sono ritrovato dai 17 fino ai 24 anni a giocare in tutte le competizioni più importanti d'Europa e nei campionati più importanti tra Serie A, Bundesliga, Premier League, Champions League, Europa League. Mi sono ritrovato a 24-25 anni senza squadra, quindi lì ho veramente fatto fatica, non riuscivo a capire. Sono rimasto tanto tempo a pensare a quello che avevo fatto di buono e quello che avevo fatto di non buono. Quando ti fermi con te stesso, ti guardi allo specchio e pensi, riesci a trovare delle risposte. Io ho trovato le mie e ho deciso di non mollare perché sapevo bene il giocatore che ero e le mie qualità umane e calcistiche. Tante volte ho avuto la forza di rialzarmi per bene. Questa è una cosa di cui vado super fiero".

Hai più sentito Sir Alex Ferguson da quando sei andato via da Manchester?

"Sì, l'ho sentito cinque o sei anni fa. Poi ultimamente sono stato a Manchester per vedere una partita e l'ho rincontrato, ci sono stato due anni fa, ho portato mio figlio allo stadio e ho avuto modo di rincontrarlo. L'ultima volta che l'ho sentito telefonicamente era proprio quando ero rimasto senza squadra. Ho detto tante volte che lui per me è stato una figura troppo importante, mi aveva preso sotto la sua ala, sapeva bene la mia storia e la storia della mia famiglia. Quindi ha sempre avuto un occhio di riguardo nei miei confronti. La chiamata che mi ha fatto quando ero senza squadra è stata una cosa talmente bella, è stato uno dei motivi principali che mi ha permesso di non mollare".

Guardando indietro, prenderesti ancora quell’aereo per Manchester?

"Lo riprenderei cento volte perché è stata un'esperienza che mi ha cambiato la vita. A livello umano soprattutto, ma anche a livello calcistico perché quando una squadra del genere ti chiama è veramente difficile dire di no. Giocare in quello stadio con quella maglietta insieme a quei giocatori che hanno fatto cose incredibili nel calcio era un'occasione talmente grande e bella da non perdere. Quindi io lo rifarei altre cento volte e sono molto contento di come è andata la mia esperienza. Poteva andare meglio certamente, però era veramente difficile entrare far parte di quella squadra. Quando sarò vecchio lo racconterò a mio figlio, già sa qualcosa anche se non capisce ancora benissimo".

In Italia tutti conoscono il tuo nome, il tuo gol e la tua storia, anche i più giovani. Come ti fa sentire?

"Mi fa piacere e questo significa che ho fatto una cosa talmente grande. La mia storia è una storia molto complessa, quindi questa cosa che i giovani la conoscono mi fa piacere perché anche a loro può aiutare ad attraversare momenti del genere, a superarli".

Cosa diresti a un giovane calciatore che sta attraversando un momento di difficoltà?

"Adesso c'è tanto giudizio intorno, quindi mi sento di dire che avere equilibrio è una cosa molto importante in questo lavoro, non sentirsi troppo grande quando si fanno delle cose importanti e non sentirsi troppo scarso quando le cose non vanno bene. La cosa importante è continuare a lavorare e non smettere mai di credere in te stesso perché quando lo fai poi non riuscirai a cambiare passo. Ho vissuto una situazione simile, soprattutto dopo il mio primo prestito da giovane alla Samp, e questa è una scelta che non rifarei a livello mentale, però sono cose che non puoi controllare. Quando smetti di credere in te stesso cambia tutto, perdi quella credibilità, quella fame, quella voglia di dimostrare al mondo chi sei. Quindi il consiglio che do ai giovani di oggi è quello di non mollare mai e di non smettere mai di credere in loro stessi".

95 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views