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Cosa c’era nelle 900 pagine scritte da Roberto Baggio per salvare il calcio italiano, poi cestinate

Il progetto visionario di Roberto Baggio per rifondare vivai, scouting e formazione tecnica fu approvato ma mai realizzato, portandolo alle dimissioni. Oggi, nella crisi della Nazionale Italiana, quel piano inascoltato di 900 pagine torna come un monito sulle occasioni perse.
A cura di Vito Lamorte
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La crisi della Nazionale Italiana va avanti da diverso tempo e nel 2010, all’indomani della deludente spedizione mondiale in Sudafrica, la FIGC affidò a Roberto Baggio la presidenza del Settore Tecnico. L’obiettivo era dare una scossa a un movimento che, nonostante il trionfo del 2006, mostrava già segnali di declino. Da quella nomina nacque un lavoro monumentale: un piano da 900 pagine per rinnovare in profondità l’intero sistema calcistico, dai vivai alla formazione degli allenatori.

L’eliminazione al primo turno del Mondiale 2010 aveva evidenziato limiti strutturali: scarsa produzione di talenti, metodologie antiquate e poca attenzione all’educazione tecnica dei giovani. Baggio, Pallone d’Oro e icona assoluta del nostro calcio, volle affrontare alla radice i problemi che bloccavano la crescita del movimento, restituendo centralità a qualità, cultura sportiva e capacità di insegnare.

I punti salienti e le idee chiave del ‘piano Baggio': una riforma totale

Il progetto, elaborato con un team di 50 collaboratori, affrontava ogni aspetto della formazione calcistica. Tra le proposte principali:

  • Rivoluzione nella formazione degli allenatori: istruttori selezionati tramite criteri più severi, con percorso di studi, competenze educative e background tecnico certificato.
  • Scouting capillare sul territorio: suddivisione dell’Italia in 100 distretti, ciascuno monitorato da tecnici federali incaricati di visionare migliaia di partite all’anno.
  • Archivio digitale nazionale: piattaforme video, database tecnico e strumenti per seguire l’evoluzione dei giovani calciatori nel tempo.
  • Valutazioni tecniche avanzate: test specifici per misurare rapporto con la palla, coordinazione e intelligenza di gioco, superando l’eccessiva attenzione alla sola prestanza fisica.
  • Centro studi permanente: ricercatori e stagisti universitari al fianco degli allenatori per sviluppare metodologie moderne basate su dati e innovazione.
  • Valori etici come fondamento: formazione morale e responsabilità sociale come elementi centrali del percorso giovanile, non optional.

Il progetto puntava a costruire un sistema più moderno, meritocratico e pedagogico, allineato ai modelli di paesi leader come Spagna, Francia e Germania.

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La presentazione e lo stop improvviso del ‘piano Baggio'

Il dossier fu consegnato e presentato al Consiglio Federale nel dicembre 2011, ma l’accoglienza fu fredda. In un incontro durato poche decine di minuti, nonostante un anno di lavoro, Baggio capì che mancava la volontà di applicare il piano. La FIGC annunciò uno stanziamento di 10 milioni, ma i fondi non arrivarono mai. Le priorità federali vennero poi modificate, e gran parte dell’impianto originario fu accantonato.

Le dimissioni del “Divin Codino” e l’eredità di un’occasione mancata

Nel gennaio 2013, dopo mesi di frustrazione, Baggio lasciò l’incarico. Denunciò la totale impossibilità di portare avanti il progetto, rimasto “bloccato nei cassetti”, e la sua marginalità nelle dinamiche federali. Alle sue dimissioni seguirono dichiarazioni della FIGC che confermarono l’approvazione formale del piano, ma anche le divergenze nel modo di attuarlo.

Oggi, a distanza di oltre dieci anni, il calcio italiano affronta ancora difficoltà strutturali: scarsa produzione di talenti, vivai in affanno e una Nazionale costretta a inseguire. Guardando alle mancate qualificazioni ai Mondiali e all’attuale crisi, il piano di Baggio appare come una grande opportunità non colta. Un progetto che avrebbe potuto anticipare problemi diventati evidenti solo dopo, e forse cambiare la traiettoria del nostro movimento.

Un monito per il presente del calcio italiano

Il ‘dossier Baggio' rimane una testimonianza di lungimiranza, una visione che avrebbe potuto proiettare il calcio italiano nel futuro. Oggi, mentre la Nazionale Italiana lotta per ritrovare identità e continuità, quelle 900 pagine tornano d’attualità come simbolo di ciò che si sarebbe potuto fare. E non si è fatto.

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