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Castellacci a Fanpage.it: “Con questo protocollo è difficile finire il campionato di Serie A”

Gestione della quarantena, rischio infortuni, ritmi serrati e temperature proibitive: sono quattro i nodi mai sciolti, rischiano di creare intoppi alla Serie A che riprenderà ufficialmente dal 20 giugno. Il professor Enrico Castellacci, ex responsabile medico della Nazionale, punta l’attenzione su un particolare: “Due settimane di quarantena sono tante e restano un’incognita per il campionato”.
A cura di Maurizio De Santis
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Il campionato ripartirà il 20 giugno ma c'è ancora il rischio che il ‘grande carrozzone' della Serie A prenda una buca e si fermi di colpo. Otto week-end, 5 finestre infrasettimanali, 3 fasce orarie scandiscono il calendario a mo' di percorso di guerra (Coppa Italia compresa) e accompagnano il cammino lungo una strada tortuosa. C'è tempo dal 13 giugno al 20 agosto (limite ufficiale indicato dalla Federazione per la chiusura dei tornei), un lasso di tempo serrato dove tutto può ancora succedere. Ecco perché la Figc ha ipotizzato un "piano b" (playoff e playout) e un "piano c" (classifica cristallizzata e verdetti d'ufficio) a seconda di come evolve la situazione.

L'insidia maggiore è sempre la stessa: la gestione della quarantena porta con sé la domanda più ricorrente alla quale finora non si è trovata risposta esaustiva. La dà il professore Enrico Castellacci, ex responsabile dello staff medico della Nazionale e oggi presidente dell'Amica (Associazione medici italiani calcio).

La stagione riprende e un calciatore viene trovato positivo al coronavirus, che succede?
"Succede quello che tutti sanno… ovvero che il campionato si ferma di nuovo e tutta questa euforia comprensibile, legittima viene messa da parte dalla realtà dei fatti. Un'eventualità del genere, considerati i tempi a disposizione e un calendario che si annuncia già serrato e complicato, può mandare gambe all'aria ogni cosa. Difficilmente si potranno fare i recuperi e concludere la Serie A. Spero che qualcosa nel protocollo possa essere modificata".

Il testo licenziato dal Comitato tecnico/scientifico è identico sia per gli allenamenti collettivi sia per le partite: un calciatore contagiato va in isolamento domiciliare; il resto della squadra è isolata in ritiro, può lavorare in gruppo ma non lasciare il centro sportivo. E, soprattutto, non giocare le partite.
"È proprio così e questa cosa la trovo una contraddizione. Che senso ha dare l'ok alla ripresa del campionato se, in base alle regole attuali, si va in campo con la solita incognita? Capisco la cautela in materia di salute e sicurezza degli atleti da parte del Comitato ma non trovare una soluzione differente, non prevedere alcuna modifica lascia tutto com'era prima. Se vuoi fare davvero fare un passo in avanti va cambiata anche la prospettiva con la quale si affrontano le questioni".

Spagna e Inghilterra hanno deciso di seguire il modello tedesco (isolamento del singolo e non di tutta la squadra, controlli a tappeto su tutta la rosa), l'Italia ha scelto la strada del rigore assoluto. È possibile trovare una soluzione compromesso?
"Due settimane di quarantena sono tante. Credo che si possa anche ridurre il periodo di isolamento da 14 a 7 giorni sia monitorando la diminuzione della curva epidemiologica sia sottoponendo tutti i componenti del ‘gruppo/squadra' a tamponi e test sierologici per verificarne le condizioni di salute. Così sarebbero maggiori le possibilità che il campionato si concluda".

L'esempio Bologna ha tenuto tutti col fiato sospeso anche per questa ragione. Per fortuna il doppio tampone ha fugato ogni dubbio sui sospetti di positività.
"Qualcuno mi ha definito quando accaduto come una sorta di ‘incubo Bologna' per la ripresa del campionato. Per me non lo è mai stato perché lo sanno tutti che episodi del genere possono inficiare l'intera organizzazione e l'ipotesi che si proceda regolarmente. Ecco perché, ripeto, reputo una contraddizione quanto indicato nel protocollo".

Nota dolente: il rischio infortuni e lo stress fisico a cui verranno sottoposti i giocatori sia per il ritmo degli eventi (ad agosto ci sono addirittura le coppe).
"Non è solo una questione fisica, c'è anche la componente psicologica del singolo calciatore che ha un'importanza fondamentale. Dopo quasi 3 mesi di stop e pseudo allenamenti fatti a casa, servirebbero tempi differenti per la preparazione. Ma questa opportunità non c'è e bisogna ragionare sulle 2, massimo 3 settimane a disposizione per lavorare sulla condizione atletica. La realtà è che solo da giovedì sera i preparatori hanno avuto la certezza dei tempi per programmare tutto".

Altro punto critico e motivo di dissenso: gli orari delle partite, con alcune che capitano in una fascia più ‘calda' e l'umidità del periodo che aumenta le difficoltà i rischi per la salute. Si può giocare così?
"Ai Mondiali ricordo che la Nazionale ha giocato anche con un tasso di umidità altissimo e temperature elevate. Siamo andati in campo perfino alle 13.00 ma quella era un'altra situazione perché i calciatori erano preparati per sopportare quel tipo di sforzo. In questo caso è tutto diverso e onestamente proprio non capisco perché, viste tutte le difficoltà che già ci sono e la situazione contingente, non si possa pensare di fare come in Spagna. Perché lì hanno deciso che non si può iniziare prima delle 19.30. È una questione di trasmissione in tv delle partite? Va bene ma perché non si trova una soluzione più giusta per tutti?".

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