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Carlo Nesti e l’esultanza per l’Inter su Sky: “A me dissero: scrivi e dimentica per chi fai il tifo”

L’episodio accaduto in tv, con protagonisti due stagisti dell’area social, ha fatto molto discutere. Nell’intervista a Fanpage.it Carlo Nesti, ex telecronista Rai e volto storico di programmi sportivi che hanno segnato un’epoca, sottolinea come oggi sia tutto cambiato: “È stato un incidente, è evidente. Ma oggi il calcio è diventato terreno di scontro”.
A cura di Maurizio De Santis
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Il video dell'esultanza sullo sfondo dello studio di Sky Sport per il gol dell'Inter al 93° col Verona è diventato virale. L'episodio è avvenuto in diretta: il conduttore menziona la rete realizzata dai nerazzurri e alle sue spalle, al di là di un vetro che separa lo studio da un ambiente della redazione, si notano due persone – due stagisti dell'area social – che saltano e si abbracciano. Si lasciano prendere dall'euforia per quella marcatura che ha regalato ai nerazzurri una vittoria pesante, al termine di un match già discusso per il fallo di Bisseck (ammonito e non espulso dall'arbitro, Doveri). Carlo Nesti, ex telecronista Rai e volto storico di programmi sportivi che hanno segnato un'epoca del calcio in tv come 90° minuto, commenta a Fanpage.it l'accaduto: parla dell'esperienza personale e sottolinea come oggi, nell'epoca dell'informazione che viaggia sui social e alla velocità di un clic, nel mondo dei media e dei canali che non sono più solo quelli tradizionali, sia maggiore il rischio di inciampare in situazioni del genere. "Credo sia stato un incidente, è evidente. Può capitare a tutti, è vero, ma diciamo che se non succede è meglio".

Ha visto cosa è successo?

"Sì. Mi ha fatto venire in mente quello che accadeva ai miei tempi, durante i collegamenti di 90° minuto quando c'erano i tifosi alle spalle che esultavano. Anche allora queste cose potevano infastidire, perché davano un'etichetta di partigianeria a un collegamento, ma erano accettate perché il mondo dell'informazione e soprattutto lo spettacolo calcistico non erano drammatizzati come oggi".

Quelli erano tifosi, nel caso specifico sembra si parli di giornalisti. Particolare che fa un certo effetto.

"Da un certo tipo di emittente è chiaro che ci si aspetta l'assoluta imparzialità anche della coreografia, della scenografia diciamo così. Se ciò capita in una emittente regionale o interregionale, purtroppo fa parte della normalità. Anzi esulterebbero anche i giornalisti… questo perché ormai viviamo in un contesto, mi riferisco ai tanti canali nati col digitale terrestre, in cui l'informazione faziosa è la normalità perché è quella che fa audience. Ma quando si parla di Rai, Mediaset, Sky, DAZN è evidente la gente si aspetta imparzialità".

Eppure lo scivolone clamoroso c'è stato anche lì.

"Con ogni probabilità la cosa non passerà sotto gamba, magari ci sarà l'intervento di qualche dirigente perché si saranno sicuramente resi conto che cose del genere creano un problema all'immagine stessa della emittente. Ma sono convinto si sia trattato solo di un incidente".

È il bello o il brutto della diretta che oggi, però, ha un riflesso differente.

"È cambiata notevolmente la sensibilità dello spettatore che si aspetta da determinati canali l'imparzialità. Il pubblico ha esigenze differenti. Però, diciamolo molto chiaramente: da altri canali, e sto parlando di tv commerciali, regionali, interregionali, si aspetta invece proprio la faziosità. Un tempo c'era soltanto la Rai e i gusti erano incanalati in un certo modo. Oggi da certe trasmissioni pretendi una cosa, da altre ne pretendi un'altra. Quello che ho sempre denunciato è la necessità di proporre un'informazione equilibrata, equidistante dalle parti e quindi in qualche modo centrale".

Sabato prossimo c'è il derby Juve-Torino, lei per chi tifa?

"Ecco, ci risiamo… lo farò anche questa settimana che si va verso il derby di Torino. Sono costretto ma lo faccio volentieri tutte le volte a riproporre la spiegazione delle mie origini, perché tante persone non si capacitano del fatto che io dica di non essere tifoso ma simpatizzante del calcio della mia città. Quindi simpatizzante al 50% della Juve e al 50% del Toro. Mi rendo conto che tantissime persone questo non lo accettano e tutte le volte devo chiarire le mie origini: figlio unico, papà bianconero, mamma e zio granata, nel 1962 ho visto tutte e due le squadre allo stadio. E soprattutto è difficile spiegare che sono cresciuto in un'epoca in cui se volevi fare il giornalista dovevi veramente dimenticare il tifo".

Un conto è la libertà di espressione e di pensiero, un conto è abbandonarsi ad atteggiamenti che vanno oltre le opinioni.

"A un giornalista della mia generazione la prima cosa che dicevano era: da questo momento in avanti siediti davanti alla macchina da scrivere e dimentica per quale squadra fai il tifo. Oggi, paradossalmente, in determinati contesti ti dicono il contrario: mettiti davanti al computer e ricordati per quale squadra tieni… questo perché sono nate un sacco di testate dedicate unicamente a una squadra e quindi è normale la faziosità. Faccio questo distinguo perché sono cresciuto in un mondo in cui non esistevano queste testate di cui sto parlando, perché non esisteva internet e si pretendeva la equidistanza dalle parti da tutti".

Restiamo nell'amarcord calcistico in tv: mai nessuno ha saputo, se non dopo la sua morte, per quale squadra tifava Paolo Valenti.

"Erano altri tempi… anche se il tifo è sempre esistito. Anzi, direi che ci siamo avvicinati al calcio per la passione verso lo sport e anche per la passione che ci legava ai colori di una maglia. Ed è normale. Ma garantire opinioni a senso unico, indirizzarle… no. Per me non è un modo serio di esercitare il mestiere perché non appartengo allo schieramento degli opinionisti di parte che non sono giornalisti professionisti ma influencer. Persone che, magari, fanno anche un altro mestiere nella loro vita ma sono molto brave a raccogliere una audience veramente molto molto vasta, tante visualizzazioni. È un mondo che è cambiato completamente".

Carlo Nesti durante uno dei suoi collegamenti in carriera.
Carlo Nesti durante uno dei suoi collegamenti in carriera.

Non le è mai capitato di lasciarsi trascinare dalle emozioni?

"Certo, che mi è capitato. Ero in telecronaca ed esultai per i tre titoli europei Under 21 vinti dall'Italia nel 1992, 1994 e 1996. E non avevo bisogno di avere persone alle spalle… bastavo già io (sorride, ndr). Ma dico che se dovessi tornare indietro rifarei le stesse cose"

Milano chiama, Napoli risponde… In diretta tv la rivalità per lo scudetto è stata spesso scandita dal rimbalzo dei collegamenti tra Necco e Vasino.

"Sì… quella era un'altra cosa. Il siparietto tra Luigi Necco da Napoli e il collega di Gianno Vasino da Milano che si prendevano un po' in giro e ci scherzavano su era qualcosa di simpatico. Oggi una cosa del genere è impossibile".

Perché?

"Secondo me scenderebbero per strada gli ultrà a picchiarsi. Allora il calcio era vissuto in una maniera più goliardica, oggi purtroppo è vissuto in una chiave più bellica. È diventato veramente uno scontro. Noto che prevale molto di più il tifo contro che non quello a favore. Vedo tante persone, anche moderate, che ormai prima di preoccuparsi del risultato della loro squadra si preoccupano del risultato della squadra antagonista… come accade fra Juve e Inter".

Cosa ha provocato questo aspetto degenerativo?

"Si è accentuato tantissimo anche a causa di quella che chiamo la sindrome della moviola e del VAR. Nel senso che in una partita c'è una squadra che per 89 minuti ha giocato meglio dell'altra, la squadra b ha avuto all'ultimo minuto un episodio a sfavore ed ecco che si considera soltanto quello e non si parla più del gioco".

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