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Attilio Tesser: “Ho iniziato nei campi della parrocchia, Zico restava un’ora in più degli altri sul campo”

Dalle panchine di provincia ai trionfi silenziosi: il viaggio di Attilio Tesser, l’uomo che ha fatto della normalità un’arte vincente. A Fanpage.it racconta il suo percorso nel mondo del calcio, dal campo alla panchina.
A cura di Vito Lamorte
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C’è qualcosa di profondamente umano nel modo in cui Attilio Tesser vive il calcio. Niente clamori, niente frasi fatte, solo lavoro, idee e una serenità che nasce dall’esperienza. È il tecnico delle piccole grandi storie, capace di portare quattro città — Novara, Cremona, Pordenone e Modena — dal sogno della Serie C alla realtà della B. Un record costruito con pazienza, passione e un senso quasi artigianale del mestiere. Oggi riparte ancora dalla Triestina per provare un'impresa che avrebbe del clamoroso, ovvero salvare gli alabardati che sono stati penalizzati di 23 punti nel girone A di Serie C.

Veneto di Montebelluna, ex difensore con il passo del fluidificante e la testa dell’allenatore, Tesser ha attraversato generazioni di calcio restando sempre fedele a se stesso. Oggi, dopo l’ennesima impresa e una carriera che sembra non conoscere tramonto, mister Tesser si racconta a Fanpage.it con la sincerità di chi ha visto tutto, ma non ha mai smesso di emozionarsi davanti a un pallone.

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Mister Tesser, come passa le giornate un allenatore quando è senza panchina?
"Guardo tante partite, cerco di restare aggiornato. La passione e la motivazione ci sono sempre, aspetto solo l’occasione giusta per tornare in campo. Mi è già capitato di restare fermo, ma fa parte del nostro mestiere. L’importante è mantenere serenità e prepararsi per quando arriverà la chiamata".

Si torna alla Triestina, ma come andò l'esperienza dello scorso anno? Cosa resta di quell’avventura?
"Quando sono arrivato la squadra aveva 6 punti in classifica su 48. Abbiamo fatto qualcosa di straordinario: nessuno, in quelle condizioni, si era mai salvato. È stata un’impresa calcistica vera e propria".

Da cosa derivano le difficoltà economiche e gestionali che spesso affliggono la Serie C?
"È un campionato complesso. Non ci sono grandi rientri economici, quindi serve passione e basi solide. Le piazze importanti devono investire tanto e, se i risultati non arrivano, rischiano di entrare in sofferenza. Meriterebbe più attenzione e una migliore ripartizione delle risorse".

Lei è l’unico tecnico con quattro promozioni dalla C alla B. A quale è più legato?
"Impossibile sceglierne una. Ognuna è speciale: Novara, Cremonese, Pordenone, Modena… Tutte diverse, tutte emozionanti. In nessun caso ero il favorito: abbiamo vinto grazie al gruppo e all’equilibrio".

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A Novara riuscì nel doppio salto fino alla Serie A. Come gestì l’entusiasmo?
"Con umiltà. Prima dei giocatori vedo uomini. Lì si creò un gruppo compatto, fondato su fiducia e rispetto. Mai esaltarsi, mai deprimersi: quello fu il segreto".

Anche a Pordenone e Modena ha fatto qualcosa di unico.
"Sì, a Pordenone si creò una realtà nuova, con una società seria e motivata. Avevamo giovani come Di Gregorio e Pobega, oggi in Serie A. A Modena, invece, centrando 14 vittorie consecutive, dimostrammo che la fiducia e la continuità fanno la differenza".

Ha vissuto anche momenti difficili, come qualche esonero. Come si reagisce?
"Con dignità. Gli esoneri fanno parte del mestiere. Alcuni bruciano di più, come quello di Cagliari dopo una sola giornata. Ma bisogna accettare e andare avanti: finché hai voglia di campo, non molli".

C’è ancora un sogno che la spinge?
"Sì, allenare. Finché sentirò il piacere di stare in campo, non smetterò. Il giorno in cui non avrò più quel feeling, mi fermerò io".

Facciamo un passo indietro: com’è iniziato tutto?
"A Montebelluna, nel settore giovanile. Una società modello, dove sono usciti tanti calciatori di Serie A. Ho iniziato da bambino nei campetti della parrocchia, poi in prima squadra, e da lì il salto a Treviso e poi a Napoli".

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Che ricordo ha del Napoli?
"Un sogno. Passare da Montebelluna a Napoli fu un salto enorme. Ho giocato con grandi uomini come Savoldi, Bruscolotti e Vinazzani. Esperienza bellissima, formativa".

E poi l’Udinese di Zico. Che effetto faceva giocare con un campione di quel livello?
"Straordinario. Zico era umile e professionale. Ogni venerdì restava un’ora in più a provare le punizioni. Anche da fuoriclasse, non smetteva mai di lavorare. È la prova che la differenza la fanno le motivazioni".

Come giudica oggi la Serie B e la Serie C italiane?
"Campionati difficili e molto equilibrati. In B si lotta fino all’ultima giornata, in C la differenza tra le squadre di vertice e le altre è più marcata. Ma il livello è buono e gli allenatori sono sempre più preparati".

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