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A Roma come al Tottenham, Mourinho contro tutti: lo special one è sparito

La leadership conflittuale di José Mourinho fu devastante nell’ultimo anno al Tottenham e oggi fa di nuovo capolino con la Roma in difficoltà. Arbitri, colpa della squadra che non fa il suo dovere, rosa complessivamente non all’altezza sono le cause che indica parlando di una “stagione di dolori, nel corpo e nell’anima”. Un tempo trovava soluzioni, ora pone (solo) problemi.
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A cura di Maurizio De Santis
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Arbitri. Colpa della squadra che non fa il suo dovere. Rosa complessivamente non all'altezza. José Mourinho non è cambiato molto rispetto all'ultima esperienza al Tottenham in Premier League. I concetti espressi dopo la sconfitta della Roma a Venezia su un gruppo "squilibrato", "incompleto", che non è "più forte dell'anno scorso" al punto da rimpiangere Bruno Peres e Juan Jesus ("sarebbero tornati utili") richiamano alla memoria il disagio manifestato a Londra. Nel corredo accessorio di insoddisfazione, aspettative deluse e risultati magri incluse tutto, fino allo strappo con i calciatori e un ambiente che non lo sopportava più.

Martellava i giocatori con giudizi molto severi, anche in pubblico, svilendone il valore ed esponendoli alle critiche al di là dei loro demeriti. Due le frasi emblematiche di quel periodo: "se non potevano fare di meglio, è perché non potevano fare di meglio" e ancora "non sono stati in grado di fare ciò che avevo chiesto". In buona sostanza: lui aveva ragione, loro sbagliavano tutto. È quanto sta accadendo anche in giallorosso, sconfessando ancora una volta la sua abilità di gestore delle risorse. Un tempo trovava soluzioni, ora pone problemi.

Nella Capitale la sua avventura era iniziata diversamente poi, complici le difficoltà deflagrate con la scoppola tremenda in Norvegia (6 gol presi dal Bodo) e un rendimento che non ingrana, c'è stata la virata clamorosa verso il solito Mourinho di questi anni: molto usuale, tutt'altro che speciale, dalla leadership conflittuale che non risparmia né i suoi calciatori, né il club, né gli arbitri. E proprio questo tassello è divenuto la pietra angolare della maggiore parte dei suoi ragionamenti dopo le gare: il silenzio che si autoimpone e dichiara fa molto rumore. A quello dei nemici è abituato, lo ha usato all'apice della carriera per rafforzare la sua aura mistica e lo tira in ballo oggi a mo' di scudo dietro il quale ripararsi, lasciando che a finire sotto il fuoco siano altri.

Mourinho è passato dall'elogio della società, alla quale "non fare richieste supplementari" in virtù dello sforzo economico compiuto e mettendosi al suo servizio, a una chiamata in causa del suo operato storcendo il muso rispetto alle lacune che vorrebbe colmate già a gennaio. Da un lato Tiago Pinto che si dice soddisfatto e sostiene la necessità di investire sui giovani, dall'altro il connazionale che in panchina non perde attimo per sottolineare cosa manca, cosa non va, non gli piace, come "puntare al quarto posto non possa essere un obiettivo" per un gruppo che arriva "dal settimo posto dell'anno scorso" e come dimensione tecnica tale è rimasto. Rui Patricio, Zaniolo, Pellegrini, Ibanez, Mkhitaryan, Veretout, Mancini, Kumbulla, Smalling, Diawara, Cristante a Mou non bastano per restare in corsa Champions (al netto degli infortuni).

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Insomma, se la Roma non ha un'identità precisa né un gioco apprezzabile, se soccombe anche al cospetto di allenatori che hanno una proposta tattica alternativa, i problemi sono da ricercare verso un altro tipo di gestione, non certo la sua (scelte di formazione comprese). Lui fa quel che può con quel che ha. È così che giustifica perché la squadra esce male dai confronti diretti: eccezione fatta per lo 0-0 col Napoli all'Olimpico (una gara che aveva motivazioni particolari dopo l'umiliazione in Coppa), è stata battuta dalla Juventus (1-0), dal Milan (1-2 in casa) e dalla Lazio (3-2). Quanto alle direzioni di gara discutibili (malessere diffuso e malcontento comune a molte altre squadre), non tutto può essere spiegato ricorrendo di continuo alla questione arbitrale.

Mourinho lo ha fatto anche dopo Venezia (ko per 3-2) e una prestazione che fa riferimento a episodi decisivi, che si manifestano con una straordinaria (e sospetta) cadenza. "Ci sono cose che sono nascoste e magari con gli anni capisci… Ma qui devo proteggermi e per farlo non mi esprimo". Se Zanetti lo ha imbrigliato, se la Roma è passata da 1-2 a 3-2 è perché ci sono cose oscure che vanno al di là di tutto e fanno il paio con le deficienze in rosa ("abbiamo perso giocatori di esperienza, ad esempio i due terzini in panchina erano Reynolds e Tripi") che in estate ha accettato senza fiatare. Ma dice una parte della verità.

La guerra delle parole contro la logica dei numeri. Nella prima Mourinho è abilissimo, uno stratega perfetto. Mentre per la seconda, almeno per adesso, china il capo. La Roma è seconda nel girone di Conference League, dove non ha avversari di rango, in campionato è franata dal quarto al sesto posto, ha mostrato debolezze inattese che nemmeno la mano dell'allenatore è riuscita a limitare. Sono cinque le sconfitte subite: quanto il Genoa 17° posto, una in più rispetto a Udinese (14°), Verona (10°), Juventus/Bologna (8° e 9°). L'ex Spurs ha anche la media punti più bassa di chi l'ha preceduto in panchina con 1.583 (19 punti in 12 partite). L’ultimo allenatore che lasciò la Roma con un trend più basso del portoghese fu Luis Enrique che nella stagione 2011-2012 chiuse 7° con media di 1.473. E sì, in questo ha ragione Mou quando sentenzia che questa può essere un'annata "di dolori, nel corpo e nell'anima".

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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