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Il giorno in cui nacque la legacy di Michael Jordan: “Il momento perfetto per abbandonare”

Il 13 gennaio 1999, allo United Center di Chicago, Michael Jordan, accompagnato da Jerry Reinsdorf e dal Commissioner NBA, David Sern, annuncia per la seconda volta il ritiro dal basket giocato. Nella conferenza stampa di addio lascerà alcune parole scolpite nel marmo che diventeranno legacy preziosa per tutti i campioni NBA che verranno dopo di lui.
A cura di Jvan Sica
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Il 13 gennaio 1999, Michael Jordan certifica quello che tutti ormai sapevano, ma che allo stesso tempo non speravano in nessun modo: l’addio (che però sarà un secondo arrivederci, dopo il primo addio nel 1993 a seguito della morte del padre) al basket giocato. Il luogo dove la conferenza stampa avvenne non poteva che essere lo United Center di Chicago, un posto che grazie a lui è diventato una vera e propria mecca non solo per gli amanti del basket, ma anche per chi voleva ammirare il miglior sportivo al mondo muoversi su un campo.

Anche se Michael Jordan tornerà a giocare dal 2001 al 2003 con i Washington Wizards, quel momento è per tutti la fine della sua incredibile carriera. Sarà così che da quel 13 gennaio 1999 tutti inizieranno a guardare al basket senza Jordan per trovare tutto quello che Jordan stesso gli ha lasciato e saranno i giocatori migliori a prenderlo come modello ormai “storicizzato” da imitare e voler superare.

Le parole che quel giorno Jordan ha usato sono infatti diventate in un attimo legacy per tutti i giocatori NBA da quel momenti in avanti. Una delle prime frasi che pronuncia è:

“Ho cercato di essere il miglior giocatore di basket che potevo essere”.

Ribadire di puntare in ogni attimo di una carriera NBA durata 13 stagioni e mille avventure ad essere sempre il meglio che si può essere, dimostrandolo ogni sera, è un concetto poco chiaro nella NBA prima di Jordan, ma che diventerà pane quotidiano per i vari Kobe Bryant, Lebron James e tanti altri dopo di lui. Non si può pensare di giocare in NBA a marce basse, può succedere solo per pochissime partite, per il resto devi sempre dimostrare di essere un giocatore migliore rispetto alla partita precedente. A questa voglia di migliorarsi si lega anche un esigente e mai cedevole rispetto che si deve dare al pubblico. Per questo in quella conferenza stampa, dirà che avrebbe solo voluto dire “'I’m gone”, ma proprio per rispetto della gente che lo aveva seguito, odiato e amato in tutti quegli anni bisognava dire qualcosa di più.

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Dopo la trasmissione di “The Last Dance” sappiamo molto di più dell’addio di Jordan. Il fatto che il management di Chicago voleva pensare a una nuova squadra, lasciando andare sia Phil Jackson che Scottie Pippen lo destabilizzano definitivamente e gli fanno scegliere per l’addio a fine stagione. E nella conferenza stampa in un certo senso lo fa trapelare. Infatti dirà:

“Mentalmente sono esausto. Non sento di avere una sfida da vincere… Fisicamente mi sento benissimo”.

Altro concetto importante che Jordan fa passare in quella conferenza stampa è l’idea che lascia il basket anche se c’è sempre la volontà di essere il giocatore che è stato fino a quel momento (infatti dice: “The desire is always going to be there”, e quando entrerà nella Hall of Fame ribadirà che non bisogna scandalizzarsi se un cinquantenne tornerà in NBA). Questo è un altro concetto determinante, ovvero quello di avere ben chiaro sempre che se sei il primo della pista, devi scegliere i momenti giusti per farlo vedere. I momenti iconici di Jordan non si contato e a distanza di 22 anni dal secondo ritiro, sono ancora molti di più rispetto a tutti i campioni successivi. Quando è il momento di restare nella storia non ci si può tirare indietro.

Ultimo concetto che viene fuori da quell’intervista e che farà parte per sempre della sua legacy è quello nascosto nelle parole:

“Questo è un momento perfetto per abbandonare il gioco”.

Questa frase che sembra di circostanza, ma nasconde invece il fatto che senza traguardi raggiungibili non ha senso continuare. Quando tutto quello che si voleva raggiungere era stato raggiunto (fare un three-peat e poi ripetere il three-peat, oltre agli ori olimpici, tutti i premi individuali possibili, ecc.), non restava che lasciare il ricordo. Chi verrà dopo dovrà porsi in continuazione traguardi nuovi e, quando non potranno più essere raggiunti, non vivacchiare fra le seconde linee, ma dire addio.

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Seduti al tavolo con Jordan quel giorno c’erano il Chariman dei Bulls Jerry Reinsdorf e il Commissioner NBA, David Stern. Il primo non ha una faccia allegra, si scoprirà poi che lui Jordan avrebbe voluto trattenerlo a tutti i costi. E infatti dichiara che quello “era un giorno che speravo non arrivasse mai”. Stern è più sereno, sa che può ancora contare sull’aura di Jordan. Jordan è stato il basket, è il basket in quel 1999 e molto probabilmente ci saranno strategie che lo faranno restare ancora tale prima di passare lo scettro. E infatti dirà: “Non sono d’accordo con Jerry, questo è un grande giorno. Il più grande giocatore di tutti i tempi si sta ritirando con la stessa grazia che ha infuso nel gioco”. Per Stern è più importante che l’icona Jordan non venga intaccata dalla sconfitta e dalla vecchiaia (non sarà così in un certo senso, in quanto Jordan come detto tornerà).

Terminata la conferenza stampa, passerà davvero poco tempo dopo il quale il sito stesso dell’NBA scriverà: “By acclamation, Michael Jordan is the greatest basketball player of all time”. Sono passati 22 anni e questo assunto non sembra essere ancora scalfito.

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