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Yuri Romanò: “Sono venuto in Russia perché era la proposta migliore. Qui è un altro mondo”

Yuri Romanò racconta a Fanpage.it la sua carriera tra sacrifici, successi e nuove sfide: dall’esordio a Bollate alla nuova avventura con il Fakel russo, passando per i trionfi con la Nazionale italiana e il Mondiale vinto con l’Italvolley poche settimane fa nelle Filippine.
A cura di Vito Lamorte
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C’è ancora un riflesso dorato negli occhi di Yuri Romanò. È quello del Mondiale vinto appena un mese fa nelle Filippine, dove l’Italia ha ribaltato ogni pronostico e riscritto la geografia del volley mondiale. Un gruppo di ragazzi, uniti come pochi, che hanno fatto innamorare di nuovo il paese. E lui, l’opposto lombardo con la calma dei forti, si gode l’eco di un’impresa che profuma già di leggenda. Determinazione, talento e fame di migliorarsi. Sono questi gli ingredienti che hanno portato il classe 1997, da Bollate fino ai vertici della pallavolo mondiale. Dopo aver vinto tutto con la maglia azzurra — Europeo, Mondiale e Nations League — l’opposto lombardo ha deciso di mettersi di nuovo in gioco, stavolta in Russia, con il Fakel Novy Urengoy. A Fanpage.it Yuri Romanò ha raccontato la sua crescita, le sfide più dure e i sogni ancora da inseguire.

Yuri Romanò, quali sono le sensazioni che il trionfo mondiale porta con sè?
"È una sensazione strana. Rispetto al primo titolo me lo sono goduto un po’ meno, anche per questioni logistiche: due giorni per preparare le valigie e ripartire subito per la Russia. Qui non vivi il post-Mondiale come in Italia, con la gente che ti ferma ovunque. Però me lo sono goduto durante il torneo, e quella è la cosa più importante".

Qual è il segreto di questo gruppo che ha fatto ricredere tutti?
"Siamo molto uniti e ci conosciamo bene. Quest’anno, rispetto al passato, abbiamo avuto momenti difficili prima del Mondiale. Ne abbiamo parlato tra noi, giocatori, e ci siamo ‘settati' su cosa cambiare. È stato quello il vero salto di qualità".

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Ha vinto praticamente tutto con la Nazionale. C’è un trofeo che senti più tuo?
"Forse proprio questo Mondiale. Non tanto per il risultato, ma per come è arrivato. Abbiamo cambiato marcia e dominato quasi dall’inizio alla fine. È una sensazione che ti rimane dentro".

Essere nominato miglior opposto del Mondiale che effetto le ha fatto?
"Una bella soddisfazione. Non avevo mai ricevuto premi individuali, nemmeno da giovane. Vincerne uno in un Mondiale è speciale. So che significa ‘migliore del torneo', non del mondo, ma mi fa piacere essere vicino a opposti che ammiro".

Il percorso di Romanò è iniziato dal basso, dalla B2 di Bollate. Quando ha capito che la pallavolo poteva diventare il suo lavoro?
"Alla prima convocazione in nazionale giovanile. Giocavo ancora in B, ma mi allenavo con ragazzi già in Serie A. Mi sono detto: ‘Se sono qui, forse posso farcela anche io'".

Il suo percorso è stato graduale, serie dopo serie. Quanto è difficile farsi strada in un mondo così competitivo?
"Molto, ma a me è servito. Ho giocato in tutte le categorie: D, C, B2, B1, A2, fino alla Superlega. Ogni salto è stato uno stimolo. Sono sempre riuscito ad adattarmi velocemente al livello superiore, ed è stato il percorso giusto per me".

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La scelta della Russia com'è arrivata?
"Non era la prima opzione. Con mia moglie e la bimba avremmo voluto restare in Italia, ma non c’erano più progetti interessanti. Così abbiamo deciso di fare un’esperienza all’estero, anche di vita. Alla fine la proposta russa è stata la migliore".

Com’è stato l’impatto con il nuovo ambiente?
"Positivo ma impegnativo. C'è un palleggiatore americano in squadra e questo mi aiuta, perché è l’unico con cui posso parlare sempre in inglese. I russi lo parlano poco, quindi a volte in spogliatoio non capiamo nulla (ride, ndr). Sto cercando di imparare qualche parola. La pallavolo qui è più fisica e i palloni sono diversi, più pesanti. E poi le distanze: voli continui, trasferte lunghissime. È un altro mondo".

Da piccolo è vero che giocava a calcio?
"Sì, ho giocato fino ai 15-16 anni. Poi ho iniziato a crescere molto in altezza e diventavo meno adatto al calcio. Mia madre, che era un’ex pallavolista, mi ha spinto a provare la pallavolo".

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Segue anche altri sport oltre la pallavolo?
"Sì, assolutamente! Posso dirti che la domenica se posso scegliere tra una partita di pallavolo e una di calcio, guardo il calcio. Mi piace molto e lo seguo con grande assiduità, sempre compatibilmente con i miei impegni".

Se non avessi fatto il pallavolista, che vita avrebbe avuto Yuri Romanò?
"Domanda difficile. Non lo so nemmeno oggi (ride, ndr). Forse avrei studiato qualcosa di scientifico o di economia, ma senza una direzione precisa".

Quali sono gli interessi extra sportivi di Romanò?
"Ultimamente ho riscoperto la lettura. Passando tanto tempo in trasferta, mi sono accorto che avevo troppi schermi intorno. Il libro ti riporta un po’ alla calma. Mi piacciono i thriller, mi tengono incollato fino alla fine".

Guardando avanti: sogni, obiettivi?
"Con la Nazionale, sicuramente una medaglia olimpica. Siamo arrivati quarti, sarebbe bellissimo fare uno step in più. A livello di club, il sogno è tornare in Italia e vincere lo Scudetto. Da italiano, sarebbe la realizzazione di un sogno".

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