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“Non corro più, basta”: Jacobs voleva mollare tutto pochi minuti prima della finale olimpica

La vita di Marcell Jacobs è cambiata completamente domenica 1 agosto, quando il velocista azzurro ha tagliato per primo la linea del traguardo dei 100 metri olimpici. Ma il 26enne di Desenzano quella finale avrebbe potuto non correrla: è lui stesso a raccontare cosa accadde a Tokyo nei minuti prima della gara.
A cura di Paolo Fiorenza
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Marcell Jacobs sabato era a Monza per le prove del GP di Formula 1: l'uomo più veloce del pianeta vicino alle vetture simbolo di velocità massima. Un bagno di folla che ha fatto seguito alla presenza del velocista di Desenzano al Festival del Cinema di Venezia. Dopo il leggendario doppio oro alle Olimpiadi e l'annuncio di aver terminato la stagione, Jacobs si sta godendo la meritata popolarità, che ne ha fatto un volto appetito da grandi sponsor.

A Tokyo la vita del 26enne nato ad El Paso ha svoltato nel preciso momento in cui domenica 1 agosto ha vinto – in una delle sorprese più clamorose della storia dello sport – la finale dei 100 metri. Una finale alla quale tuttavia avrebbe potuto non partecipare, dopo aver fatto segnare il miglior tempo nelle semifinali con 9"'84, come racconta al Corriere della Sera: "Taglio il traguardo della semifinale, Tamberi dalla pedana del salto mi viene incontro: ‘Ma che tempo hai fatto? Record europeo!', ‘Non mi interessa, lasciami stare! Sono in finale o no?'. Sono in finale e manca un’ora e quaranta. Torno al campo di riscaldamento, salendo quattro rampe di scale. Appena vedo Paolo Camossi, il mio allenatore, gli faccio: ‘Io sono morto, non corro più. Mi sento le gambe di pietra. Ho dato tutto, l’obiettivo è raggiunto, basta così'. Mi sdraio sulla pista, completamente cotto, con i crampi".

A quel punto interviene un ‘miracoloso' aiuto a migliaia di chilometri di distanza, la mental coach di Jacobs: "Chiamo Nicoletta a Roma: ‘Io non ne ho più. Vedi tu se da lì puoi fare qualcosa'. Cominciamo gli esercizi di respirazione. Al telefono, per venti minuti. Butto via le tossine, recupero la presenza in me stesso. Poi mi rialzo e penso: ‘Dai, ci siamo'. Faccio due allunghi e Paolo mi arriva addosso: ‘Non dico nulla, ma se parti così, stasera rischiamo il colpaccio…'. Che cavolo ti salta in testa, Paolo?".

Eppure è già scattato qualcosa nella testa e nei muscoli del velocista azzurro, che si presenta ai blocchi della finale olimpica in uno stato di levità dal suolo: "I centometristi prima della gara si scrutano in cagnesco, tipo i boxeur, io invece do il cinque a tutti. Mi guardano come se fossi un coglione… I giudici controllano le scarpe, mi mettono il numero e io sono la persona più tranquilla del mondo, neanche dovessi uscire per andare a fare la spesa. Non ho nulla da perdere. Pressione zero. Arriviamo ai blocchi e ripeto a tutti: Good luck! Good luck!'. E loro: ‘Thank you', ma qualcuno si tocca".

Jacobs non lo sa, ma la sua vita sta per cambiare per sempre. O forse lo sa già, tale è il suo stato mentale: "Appena sento l’urlo ‘Ai vostri posti!', una voce dentro mi sussurra: ‘Io questa la vinco'. L’inglese al mio fianco parte in anticipo, ma sono talmente concentrato sullo sparo che potrebbe scoppiare anche una bomba e io non mi muoverei. Mi scappa persino un risolino. Adesso la corsia accanto alla mia è vuota, ma tanto devo guardare solo davanti, mica di lato… Sì, buonanotte. Appena mi rialzo dopo la partenza, cerco gli avversari con la coda dell’occhio, ma ne vedo soltanto uno, Kerley, l’americano… Cazzo succede, e gli altri? Agli ottanta riesco ancora ad accelerare, sempre sciolto, senza strafare. So che, se sono in testa agli ottanta, nessuno al mondo attualmente può superarmi negli ultimi venti metri". Adesso lo sappiamo anche noi, caro Marcell. Sei nella storia dello sport italiano e mondiale.

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