Maurizio Damilano: “Felice di non far parte della marcia di oggi. Il caso Schwazer è stato un danno”

14 medaglie in carriera, di cui tre olimpiche (con lo strepitoso oro di Mosca 1980) e due mondiali (Roma 1987 e Tokyo 1991) e un record assoluto (sui 30km) che resiste da oltre 30 anni. Il tutto marciando, centinaia di migliaia di chilometri, senza fermarsi mai, sia in gara che nella vita. Ancora oggi Maurizio Damilano non si ferma, in ogni senso: lo troveremo tra i tedofori di Milano-Cortina a portare in strada la torcia olimpica, mentre a Fanpage ha raccontato il suo viscerale amore per una disciplina fin troppe volte messa da parte. Ingiustamente: "In pochi ancora oggi comprendono che la marcia, in quanto tale, ha in sé un che di popolare, in grado di entrare nella quotidianità delle persone".
Da questa riflessione, i problemi che i vertici federali hanno da sempre creato alla marcia. Sia a livello mondiale con l'attuale World Athletic, sia in Fidal: "Avverto sempre quella sottile mancanza di rispetto…" sottolinea Damilano, riferendosi anche alla recente polemica che ha coinvolto Antonella Palmisano. Per poi, ritornare a parlare di vittorie e epoche che non torneranno più: "Facevamo un altro sport, la marcia di oggi non mi piace per come viene gestita".
Maurizio Damilano, tedoforo ancora una volta per le Olimpiadi. Se lo aspettava?
No nel senso che non l'ho cercata io questa chiamata, ma sono molto soddisfatto di essere stato indicato tra chi porterà la torcia e credo che sia un segno di stima e di riconoscenza da parte del mondo sportivo nei miei confronti.
E di tutto il movimento della marcia, giusto?
Sì, certo: io rappresento quella disciplina dal punto di vista sportivo, ma credo che quando si parla di Olimpiadi il discorso si allarga indipendentemente dagli sport che si praticano.
Quando la vedremo con la torcia olimpica?
Il prossimo 10 gennaio a Cuneo, nella mia Cuneo.
Senta, oggi a 68 anni, Maurizio Damilano cosa fa? Marcia ancora?
Diciamo di sì. Ho continuato a occuparmi sempre di sport, anche se in forme diverse. Da quando ho smesso sono stato in Federazione, sono stato alla IAAF [oggi World Athletic]. Come lavoro specifico negli ultimi 25 anni mi sono sempre occupato di sport dal punto di vista organizzativo e dal punto di vista della proposta sportiva. Mi piace che venga coinvolto il più largo numero di persone possibili, quello che in genere chiamiamo sport diffuso.
A proposito del mondo del marcia oggi, quanto male vedere come è trattata dalla World Athletic?
Per quanto mi riguarda fa molto male perché la marcia è disciplina olimpica praticamente da sempre, sin dagli albori. E poi soprattutto perché vedo una grande miopia nelle scelte che si stanno facendo, una disattenzione generale nei confronti della marcia. E questo fa male ad uno come me perché è veramente l'unica disciplina dell'atletica che si può definire capace di entrare nel profondo del tessuto sociale, al di là del semplice mondo specialistico e agonistico. Questo è un limite della Federazione Mondiale, di non comprendere l'evoluzione, il cambiamento che lo sport ha avuto almeno negli ultimi due decenni dove è diventato sempre più qualcosa che la gente ama praticare e non più solo da vedere come semplice spettatore.
Perché c'è questo problema di fondo? In cosa sta sbagliando Sebastian Coe?
Non dimentichiamo che Coe è un atleta che ha gareggiato a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80 dove effettivamente la marcia era una specialità molto tecnica e molto specifica. Fa parte di una generazione con una mentalità che si portano dietro diversi atleti di quegli anni, incapaci di vederla come una disciplina popolare.
Bisognerebbe svecchiare i vertici?
Secondo me bisognerebbe far capire che la marcia in questo senso e lo sport ingenerale è diventato sempre più anche elemento culturale, elemento sociale. Non è più solo per appassionati, non è più solo un intrattenimento, ma è qualcosa che va trasmesso con passione nella quotidianità delle persone.
Anche in Fidal c'è stato un qui pro quo proprio sulla marcia, come giudica lo sfogo di Antonella Palmisano?
Ho letto che gli organizzatori si sono giustificati dicendo che quel famoso cartellone promozionale degli europei era stato dedicato solo alla pista e che ne sarebbe stato fatto invece uno per la strada, comprendente anche i maratoneti e i marciatori. Non so se sia la verità, se sia una reale giustificazione…
Direi di no visto che poi quello stesso manifesto è stato corretto e non ne è uscito un altro dedicato alle discipline su strada…
C'è stata quell'aggiunta strana, che ha fatto cadere un po' la motivazione della giustificazione… Come la penso? Credo che sia purtroppo una mancanza di rispetto verso la marcia, perché non solo è stata dimenticata su quel cartellone ma è stata dimenticata anche per le medaglie di Tokyo…
Dunque l'arrivo di Mei non ha dato un cambio di mentalità all'interno della Fidal? Lo boccia?
Mei ha sicuramente interpretato nel modo corretto un qualcosa che mancava in precedenza e che era necessario, soprattutto nel dare maggior attenzione agli atleti e visibilità, per farli sentire un po' più importanti e al centro del progetto. Poi, come dice sempre lui, è stato indubbiamente anche fortunato perché sono subentrati quei ragazzi di seconda e terza generazione di famiglia proveniente dall'estero, che è un po' quello che tanti anni fa succedeva in Francia o in Inghilterra. Stiamo raccogliendo i frutti adesso, ma sono indubbiamente ragazzi che nascono dal lavoro che si sta facendo nell'atletica italiana.
Se la dovessero richiamare in Fidal, o in World Athletic, lei risponderebbe presente?
Risponderei che io a dare una mano sono sempre disponibile, non so se se sarei disponibile a prendere degli impegni molto particolari in ambito politico, però. Perché sinceramente mi appassiona di più e mi diverte più entrare nel mondo della promozione dell'atletica e degli sport che poi la gente ama e pratica.
A proposito di promozione, cosa manca oggi alla marcia per avere ancor più risalto ed essere popolare?
Non c'è dubbio che uno dei problemi più seri è renderla più comprensibile alla persone su quello che succede per il giudizio e il controllo tecnico durante le gare. Io quando sono stato nella Federazione Internazionale mi sono battuto perché si intraprendesse una sperimentazione, un sistema di controllo elettronico sulla perdita di contatto nella marcia, ad esempio.
E come è andata?
Si è arrivati fino alla definizione di un prototipo, la strada corretta. Poi tutto si è fermato. Ma credo ancora fortemente che sia una delle grandi soluzioni che la marcia dovrebbe avere per rendersi più comprensibile e anche equa nel giudizio. E poi è chiaro che la marcia ha bisogno di gare, ha bisogno di visibilità, ha bisogno che ci sia una spinta maggiore nei confronti di quello che può apparire semplicemente in video. Sarebbe necessaria tanta promozione, tanta propaganda a livello scolastico: i nuovi Giochi della Gioventù possono essere uno strumento per aiutare anche la marcia, dopotutto io come tanti altri nasciamo proprio da quell'ambito.
A proposito, il movimento di marcia italiano al momento?
E' ancora un buon movimento a livello internazionale: ha due punte indubbiamente di diamante che almeno fino a Los Angeles saranno competitive che sono Palmisano e Stano. Poi tanti bei giovani dietro che stanno crescendo e soprattutto a livello europeo sono in grado di fare buoni risultati.
Quando ripensa alla sua straordinaria carriera cosa le viene in mente?
È stato un percorso straordinario, un cammino all'interno dello sport e del mondo dell'atletica che è pienamente soddisfacente.
Nessun rimpianto?
Assolutamente no.
Un momento in particolare a cui è particolarmente affezionato a distanza di anni?
Tra tutti, se devo scegliere, indubbiamente la vittoria olimpica rimane il grande simbolo sportivo. Ma riflettendo e ripensando a quei momenti vincenti, la vittoria dei Mondiali di Roma: aver la fortuna di vincere nel tuo paese con attorno tutte le persone che ti hanno accompagnato nel tuo percorso, rimane un ricordo molto particolare, emozionante.
Sul fronte dirigenziale, invece, lei era in IAAF durante il caso doping di Schwazer. Che ricordo ha delle polemiche che l'avevano giocoforza anche coinvolto?
Sinceramente è stato un qualcosa vissuto molto marginalmente nel senso che non avevo implicazioni dirette. Ritengo senza dubbio che sia stato sicuramente un grande danno per il nostro movimento della marcia perché per anni si è parlato più di quello, convergendo il discorso e distogliendo l'attenzione su quanto stavano continuando a fare di buono i nostri atleti. La considero una pagina chiusa, una pagina ormai superata.
Schwazer a distanza di anni ha ripreso a marciare…
Sono contento per lui ma io non amo mai i ritorni. Io ho sempre amato chi smette al momento giusto e nelle condizioni giuste. Poi non giudico, non mi permetto: ognuno fa le sue scelte.
Ma il problema doping c'è? Esiste?
Come la vita di tutti i giorni, anche lo sport è fatto di cicli, corsi e ricorsi più o meno virtuosi. Indubbiamente il sistema in generale ha lavorato ad arginare queste queste situazioni. Oggi le Federazioni internazionali e le Federazioni nazionali svolgono una fase di controllo molto, molto stretto: fossi un appassionato starei tranquillo.
Tornando ai ritorni… quando lei decise di smettere non ha mai più pensato di fare un passo indietro?
No, io l'ho scelto con attenzione. L'ho scelto ben 4 anni prima decidendo che sarebbe stato l'ultimo ciclo olimpico anche se a Barcellona non andò come speravo. Arrivai al quarto posto in un anno che che avrei potuto tranquillamente ripetere almeno un podio se non vincere. Fu a quel punto che decisi di non chiudere subito dopo, ma di andare fino a ottobre tentare il record del mondo dei 30 km.
Come mai quella scelta un po' particolare?
Era la distanza per me un po' di sintesi tra la mia 20 km e la 50 km, un qualcosa che sta nella logica di essere un marciatore veloce ma anche resistente. E ho deciso di chiudere la carriera a Cuneo, dove l'avevo iniziata 20 anni prima sulla stessa pista, facendo questo record del mondo che è ancora oggi imbattuto. Certo, una distanza poco frequentata, è vero però anche adesso negli anni in cui c'è stata la 35km al passaggio ai 30 ci si è appena avvicinati…
A proposito, se Damilano avesse potuto usufruire di tutti gli accorgimenti tecnici di oggi, i metodi di allenamento, di alimentazione… se lo è mai chiesto?
Sinceramente no, perché io penso che sia l'evoluzione naturale dello sport: paragonare epoche e momenti diversi è sempre complicato e credo che sia anche un esercizio abbastanza inutile. Sicuramente i risultati di vertice in ogni momento sono sempre risultati che parlano della massima qualità di quel periodo e di quel momento. Noi abbiamo fatto un'atletica di tipo diverso sotto il punto di vista dell'assistenza, dell'attenzione e dell'alimentazione. Ma sono contento di non far parte di questa marcia.
In che senso?
Nel senso che è una marcia che usa nuove calzature che per me sono un disastro per quanto riguarda la tecnica della disciplina, non aiutano, creano confusione. Non sono adatte per il bene di questo sport.