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Olimpiadi Tokyo 2020

Il segreto di Jacobs, ora vola senza quel peso sul cuore: “Odiavo mio padre, ci parlo con Google”

Il nuovo campione olimpico Marcell Jacobs porta dentro di sé ferite lancinanti che sta ancora ricucendo: “A scuola ero in difficoltà. Disegna la tua famiglia, mi diceva la maestra: io avevo solo mia madre da disegnare e ci soffrivo. Chi è tuo papà, mi chiedevano gli amici da ragazzino: non esiste, rispondevo, so a malapena che porto il suo nome. Lo odiavo, ma l’avevo giudicato senza sapere nulla di lui”.
A cura di Paolo Fiorenza
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L'uomo più veloce del pianeta Terra è italiano: si chiama Marcell Jacobs, ha 26 anni ed è il nuovo campione olimpico dopo aver stupito il mondo col 9"80 di Tokyo. Nato ad El Paso in Texas da padre statunitense e madre veneta, Jacobs fin da piccolo è cresciuto a Desenzano del Garda, dove si è avviato all'atletica leggera. "Sono felicissima ed emozionata – dice mamma Viviana fuori all'hotel che gestisce a Desenzano – tutta la vita di Marcell è stata un sacrificio, noi eravamo giovanissimi, ci siamo dovuti trasferire in America, poi il padre è stato trasferito in Corea quando Marcell aveva un anno, gli ho dovuto fare da padre e madre, ha avuto anche problemi fisici da piccolo. Ora però finalmente può godersi la vita dopo tutti sacrifici, ora ha davvero conquistato il mondo".

Quello che la madre di Jacobs non racconta è la separazione dolorosa col padre, ex militare dell'Us Army alla base di Vicenza, un fantasma con cui il ragazzo aveva rotto tutti i rapporti, finché non è accaduto qualcosa che ha cambiato vita e carriera del velocista: "Mio padre, da bambino, non lo ricordo – ha raccontato al Corriere della Sera prima delle Olimpiadi – Dal momento in cui con mamma siamo rientrati da El Paso, è cominciata la nostra personalissima sfida a due. A scuola ero in difficoltà. Disegna la tua famiglia, mi diceva la maestra: io avevo solo mia madre da disegnare e ci soffrivo. Chi è tuo papà, mi chiedevano gli amici da ragazzino: non esiste, rispondevo, so a malapena che porto il suo nome. Per anni ho alzato un muro. E quando mio padre provava a contattarmi, me ne fregavo".

Poi la svolta, grazie all'aiuto di qualcuno che ha capito cosa impediva a Jacobs di fare l'ultimo salto di qualità: "Ho incontrato una brava mental coach, Nicoletta Romanazzi, che è entrata nel mio team insieme all'allenatore Paolo Camossi. Con lei ho accettato di lavorare in profondità sulle mie paure e sui miei fantasmi. Non è stato facile: c'è una parte intima che non vogliamo mostrare nemmeno a noi stessi. Però imparo in fretta. Il lavoro psicologico è iniziato a settembre dell'anno scorso e in sei mesi ho ottenuto un oro europeo indoor, due record italiani, l'argento mondiale nella 4×100 con il lanciato più veloce, il 9"95 di Savona".

Un lavoro su se stesso che ha avuto un altro momento fondamentale quando il ragazzo di Desenzano ha dovuto fare i conti col suo dolore più grande per cercare di ricucire le ferite: "Con mio padre non è ancora tutto risolto, però almeno con papà ora comunichiamo. Cioè, io copio e incollo: il traduttore di Google mi dà una mano quando non capisco. Lo so, lo so, dovrei rimettermi a tavolino a rispolverare la grammatica inglese: i termini li conosco, è che per paura di sbagliare mi paralizzo e sto zitto. Ora mi sento sbloccato. È incredibile la potenza dell’energia che si muove quando abbatti un muro. Lo odiavo per essere scomparso, ho ribaltato la prospettiva: mi ha dato la vita, muscoli pazzeschi, la velocità. L'ho giudicato senza sapere nulla di lui. Prima se una gara non andava bene davo la colpa agli altri, alla sfortuna, al meteo. Adesso ho capito che i risultati dipendono solo dal lavoro e dall'impegno".

Una cosa Jacobs ci tiene a sottolinearla: "A 18 mesi ero in Italia, i miei figli sono nati qui. Mi sento italiano in ogni cellula del mio corpo, tanto che con l'inglese sono in difficoltà". Un italiano che soffre, lotta per affermarsi ed alla fine vince: in altre parole, il campione olimpico dei 100 metri.

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