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Franco Bragagna racconta l’incidente: “Si è formato un buco di 10 anni nella memoria”

Franco Bragagna è diventato una voce popolarissima quest’estate, quando ha raccontato le gesta epiche degli atleti italiani alle Olimpiadi di Tokyo. La vita del 62enne telecronista altoatesino ha avuto una svolta il 5 gennaio 1991, cadde dalle scale una sera in redazione: “Rimbalzai, rimasi semi-svenuto al freddo”.
A cura di Paolo Fiorenza
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Cosa sarebbe stato di Achille e Ulisse se non avessero avuto Omero a raccontarne le gesta e consegnarle all'eternità? I nostri atleti vittoriosi alle Olimpiadi hanno trovato in Franco Bragagna il loro Omero: il telecronista della Rai è stato trascinante nell'epico racconto dei trionfi di Jacobs, Tamberi e tutti gli altri medagliati azzurri a Tokyo. Il 62enne giornalista bolzanino rimarrà nella memoria per quel "Marcello" urlato negli ultimi metri della finale dei 100: "Sul traguardo mi è venuto quello strillo, quasi fossi Anita Ekberg che si rivolgeva a Mastroianni dalla Fontana di Trevi. Mi è scappato un errore tecnico: anziché ‘signori miei' ho detto ‘Signore mio'. Per non correggere, ho proseguito. Uno sbaglio: la religione va evitata".

Bragagna in passato ha avuto parole non esattamente al miele per Fabio Caressa, cantore a sua volte quest'estate dei successi dell'Italia calcistica agli Europei. "Il suo non è giornalismo – aveva detto – Quando guardo una partita, a me la voce di un piazzista non interessa". Adesso l'altoatesino svela che c'è stato un seguito giudiziario: "Nemici? Non vorrei citarli, ma ho superato una querela di Fabio Caressa: pratica archiviata con mia soddisfazione". Il modello è decisamente un altro: "Bruno Pizzul è un gigante. La sua attualità è ancora pazzesca: tempi perfetti sulla partita, enfasi corretta, espressioni rivoluzionarie come ‘folleggia in area'. Aggiungo Aldo Giordani, mito della pallacanestro".

Al Corriere della Sera, Bragagna racconta poi un episodio che ha segnato la sua vita: "Il 5 gennaio 1991 non ero in turno, ma mi ci misero. Verso le 23 me ne andai e scivolai nel giro-scale esterno della redazione. Rimbalzai, rimasi semi-svenuto al freddo. Quando mi svegliai riuscii a trascinarmi giù. Ma nella memoria s’era formato un buco. Dieci anni saltati: papà era morto, io ero convinto che fosse ancora vivo. Non ho ricostruito tutto: nelle sedute psicologiche mi dissero di non farlo. La materia successiva ha costruito su quella precedente".

Il decalogo del buon telecronista per Bragagna ha alcune regole inderogabili: "Ciò che dici va sancito dall’interesse giornalistico; poi come lo dici, è un altro discorso. Devi raccontare con entusiasmo: se non l’hai come dote naturale, sforzati di modificarti. Essere istrionici va di moda? Non lo condivido. E non sopporto né le cadenze regionali, pur amandole extra microfono, né espressioni come ‘i nostri' riferito agli italiani. Infine non puoi vendere per strepitosa una partita piatta: ritmo e tono di voce devono adattarsi, ricordando però che lo sport può infiammarsi all’improvviso". Alle Olimpiadi lo ha applicato sul campo.

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