1 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Doping: Russia, ecco come lo Stato truccava le analisi degli atleti

Tutto studiato a tavolino, con ‘laboratori paralleli’, agenti del Kgb a controllare provette e a fornire falsa identità agli atleti scoperti positivi. Il tutto dettagliatamente riportato nel dossier della Wada.
A cura di Alessio Pediglieri
1 CONDIVISIONI
Immagine

Lo scandalo del ‘doping di Stato' in Russia ha scoperchiato un mondo criminoso e di malaffare connivente con le autorità che tutto sapevano, tutto gestivano, tutto coprivano. La denuncia della Wada è talmente dettagliata nelle 323 pagine del rapporto consegnato alla Commissione disciplinare cui ha chiesto la radiazione di 5 atleti e la sospensione della Russia per 2 anni, che spesso la realtà ha superato la fantasia. Si tratta di laboratori segreti, agenti del Kgb che gestivano gli esami, medici, atleti, politici conniventi che orchestravano un mondo sotterraneo e parallelo a quello ‘ufficiale' mostrato a tutti.

Il Kgb come ‘Grande Fratello' – Nulla era lasciato al caso, spiegano nel dossier gli uomini dellas Wada. Gli ispettori della Rusada (l’agenzia antidoping di Stato) venivano seguiti a vista dal momento del prelievo all’atleta a quello della consegna al laboratorio moscovita. Gli uomini del Fsb (l’ex Kgb) tenevano informati i tecnici che si preparavano ad alterarle, in un registro dove segnavano i codici e i nomi degli atleti.

Il pizzo del doping – Non solo: una volta giunti nel laboratorio di Mosca, sul conto corrente di Grigory Rodchenko, l’onnipotente direttore, arrivavano regolari bonifici dagli atleti che volevano coprire le loro positività. Rodchenko aveva potere su tutto e tutti e quando la Wada richiese l'esame di 1.417 campioni di urine, fece distruggere tutte le provette lamentando un disdicevole errore umano.

Lo scienziato – A Mosca c'era anche un laboratorio di Stato ‘parallelo' a quello ufficiale conosciuto dagli ispettori anti doping. Coordinato dallo scienziato Bezhanishvili, specializzato nel neutralizzare i campioni biologici positivi conservando grandi quantità di urina ‘pulita' per eventuali rabbocchi mentre Sergey Portugalov, capo della commissione medica federale russa, procurava e dosava il doping agli atleti.

Controlli senza sorpresa – Se la Wada imponeva controlli a campione senza preavviso, in Russia tutto era orchestrato perché ciç fosse solo in apparenza: gli atleti apparivano dopo molte ore qualificandosi sotto falso nome e sulle schede di reperibilità, le mail e il numeri di telefono appartenevano ai dirigenti. Erano loro a essere avvisati, molto tempo prima dei controlli.

La connivenza della Iaaf – La Federazione russa era in stretto rapporto anche con la Iaaf: se un atleta era trovato positivo, bastava che quest'ultimo ‘bonificasse' il problema con un versamento in denaro che veniva distribuito tra i controllori che impantanavano burocraticamente il tutto, rallentando eventuali sanzioni o sospensioni. Così, intanto, gli atleti continuavano a disputare le loro gare, in attesa di verdetti e chi veniva alla fine comunque sanzionato veniva coperto sotto falso nome. Gareggiando in appuntamenti nazionali e internazionali organizzati sul suolo russo con falsa identità.

1 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views