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Opinioni

Suite Selassiè è tutto quello che non ci manca del Grande Fratello Vip

Suite Selassiè, è il sedicente talk show delle tre sorelle Clarissa, Jessica e Lulù. In onda su Cusano Italia Tv e su YouTube, alcune clip della trasmissione sono diventate virali sui social per picchi trash e doppi sensi malcelati. Abbiamo visto per intero, dunque, le prime due puntate. Ed è ciò che non bisogna rimpiangere del defunto GF Vip.
A cura di Grazia Sambruna
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Cosa accadrebbe se tre storie Instagram divenissero tridimensionali e si mettessero in testa di condurre? Con ogni probabilità, qualcosa di molto simile a Suite Selassiè, il sedicente talk show condotto dal trio di sorelle (non) principesse Clarissa, Jessica e Lulù su Cusano Italia Tv, canale 264 del digitale terrestre. Ex gieffine vip, le consanguinee fanciulle si pongono come le Occhi di gatto del trash all’interno di un salottino low budget che tutto sembra fuorché una suite. Ingannevole fin dal titolo, molte clip delle prime puntate sono diventate virali sui social per via di gag malriuscite, indovinelli a doppio senso e disperanti attimi di gelo fratricida.

La condivisione di tali estratti ha convinto le nostre protagoniste che il loro programma sia un successo. Un’ora e mezzo a puntata, dopo aver visto il girato nella sua interezza, sentiamo il dovere civile e morale di diramare un sonoro It Alert per smentire tale castroneria. Perché ubicata a Narnia, o meglio, nel Sottosopra di Stranger Things,  rispetto alla realtà fattuale.

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In onda ogni mercoledì sera alle 21.30, Suite Selassié è poi disponibile su YouTube per ogni coraggioso in possesso di wi-fi, in qualsiasi momento gli dovesse venir voglia di rovinarsi una giornata. La prima puntata ha avuto come tema portante la Mostra del Cinema di Venezia e il commento al look di influencer e divi sul red carpet dell’evento. Le tre sorelle, perennemente vestite da evidenziatori fluo, hanno precisato che loro, in qualità di personaggi web, non sono mai state invitate alla kermesse. Ma poco importa: TikToker et similia non c'entrano con la rassegna, dicono in coro. E loro, dunque, preferiscono così. Per quanto siano “in tantissimi”a chiedere il motivo di questa inspiegabile assenza, “visto che oramai ci vanno tutti, cani e porci”. La volpe e l’uva.

La seconda puntata è ruotata, invece, intorno alle Fashion Week di Milano e Parigi. Il livello dello show si evince anche dalla scarsa varietà aggettivale che le nostre fanno scendere in campo: è tutto “iconico” o “non iconico”.

Qualora tanto sforzo semantico non basti, ricorrono a qualche “Oh my God” buttato a caso, per insaporire. C’è un motivo se le storie Instagram durano solo una manciata di secondi e uno dei più immarcescibili filoni TikTok è quello delle reaction: costruire frasi di senso compiuto fatte di più di cinque o sei parole è impresa titanica. Almeno per le Selassiè. Una di loro tira fuori un peluche di Baby Yoda “perché mi piacciono molto le stelle”. “Star Wars?”, le chiede l’altra. “No, no. Proprio le stelle”. Sipario, sigla.

E invece la trasmissione continua, falcidiata da rubriche come ennesimo flagello che si accanisce su uno show già problematico per la manifesta inettitudine delle sue “conduttrici”. Incespicamenti nella lettura del “copione” e ferali tempi morti compresi. Qualche esempio: ognuna delle tre pesca una parola da un vasetto ed è chiamata a cantare una canzone che la contenga. “Amico” le mette a dura prova, visto che non c’è nessun brano virale su TikTok che abbia tale termine nel titolo. Quando non sanno cosa stonare, si mettono in posa per mostrare quanto siano “fregne” e, così rattoppando, passano al gioco successivo.

Si rasenta l’abisso con il quiz che coinvolge gli spettatori da casa. Perennemente a doppio senso, Lulù è l’addetta agli indovinelli e chiede cose porcine tipo: “È lungo quindici centimetri ed entra in bocca. Cos’è?”. Oppure: “Per farlo entrare devi bagnarlo, se no si ammoscia”. Risatine e finti imbarazzi accompagnano tali sofisticati calembours, mentre chi prova reale terrore sono gli ospiti della puntata. Davide Silvestri, attore ed ex gieffino, si collega da remoto e gli viene chiesto di imitare Al Pacino. Nella seconda puntata, decisamente più a proprio agio nel trash il modello Gennaro Auletto, durato il tempo di mangiarsi un cocco all’Isola dei Famosi due anni orsono. Spera che la moda ritorni al gusto per il bello, “così io potrò lavorare di più”, epitaffia sornione.

Suite Salassiè non è un talk, non è uno show, non è nemmeno qualcosa che, inspiegabilmente, funziona sul web. La prima puntata aveva creato un certo hype per via del promo e delle clip con gli indovinelli a doppio senso che avevano incuriosito il web per quanto fossero malfatti. Alla seconda, tale tipo di interesse è già scemato, tutto sa di mesto déjà-vu. Il Grande Fratello (non più Vip) imposto da Pier Silvio Berlusconi sarà anche noioso, ma se una cosa buona l’ha pur fatta, è quella di aver estirpato tale tipo di personaggi fatti al 95 % di trash e al 5 % di aria compressa. Il tutto ammantato da una spasmodica ricerca di visibilità, come se tenessero qualunque motivo per doverne avere, che li porta a fare di tutto pur di racimolare qualche migliaio di impression in più.

È il caso anche della vincitrice dell’ultimo Gf Vip, Nikita Pelizon che ora vende corsi motivazionali online a pacchetti da 400 euro circa per “sconfiggere la depressione”. È psicologa? No. Le Selassiè sono conduttrici? Nemmeno. Però chi telefona per giocare al quiz può vincere una tazza con le loro facce stampate sopra. Di “famosa per essere famosa” c’è solo Kim Kardashian che ha imparato l’arte dalla pioniera del filone, Paris Hilton. Tutte le altre, soprattutto nel nostro bel Paese, sono tristi eco, vorrei ma non posso coi piedi che appunto coi piedi tutto fanno. Non hanno alcun talento, carisma, né qualità per intrattenere. Ma si ritengono spassosissime perché abituate alla bambagia della propria, adorante bolla social. Gonfiate nell’ego a suon di cuoricini virtuali, nella realtà 3D danno vita a un trash che si autocannibalizza, risultando in ancora meno di niente. “Oh my God!”.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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