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Caso Scurati

“Così la Rai mi ha censurata come Antonio Scurati”: il racconto in prima persona di Jennifer Guerra

Un’ospitata in Rai cancellata all’ultimo momento che a posteriori, dopo il caso Scurati, assume tutto un altro significato. Il racconto di come la destra elimina gli argomenti scomodi dal suo palinsesto, dalla voce di chi ne è stata vittima.
A cura di Jennifer Guerra
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Non avevo pensato a una censura. O meglio, il sospetto che il mio intervento fosse ritenuto poco gradito mi era venuto subito, ma non gli avevo dato grande peso, finché non ho letto su tutti i giornali la vicenda del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile cancellato all’ultimo. Il programma era lo stesso, Che sarà di Serena Bortone.

L’8 marzo vengo contattata dalla redazione della trasmissione di Rai 3 per partecipare alla puntata che sarebbe andata in onda il giorno successivo. Il tema erano i diritti delle donne, argomento di cui mi occupo come giornalista e scrittrice, e avrei avuto l’occasione di parlare anche del mio libro per Einaudi Il femminismo non è un brand, uscito solo qualche giorno prima. Nel pomeriggio ricevo prima la chiamata dell’ufficio stampa della casa editrice, poi quella della redazione di Che sarà, con la quale subito si parla delle modalità della mia partecipazione, se in studio o in collegamento. Insomma, un invito già confermato.

Poi, come da prassi quando si partecipa a una trasmissione in tv, l’autrice mi anticipa alcune delle domande che Bortone avrebbe potuto farmi in studio. Siccome pochi giorni prima la Francia aveva inserito l’aborto in Costituzione, mi è stato chiesto di commentare questa decisione. Io rispondo ripetendo ciò che ho già scritto molte volte nei miei articoli e affermato pubblicamente, ovvero che il governo Meloni sta mettendo in pericolo il diritto di aborto, tra l’altro schermandosi attraverso la “piena applicazione della 194”, cosa tra l’altro confermata dal recente emendamento al decreto sui fondi del Pnrr che fa entrare gli antiabortisti nei consultori. La telefonata si conclude cordialmente, con la promessa che di lì a poco mi avrebbero fatto sapere se mi sarei dovuta collegare via Skype o se mi avrebbero mandato uno “zainetto”, per il collegamento da casa.

Peccato che io non abbia avuto più notizie se non alle dieci di sera, quando mi è stato detto che la redazione non aveva trovato spazio per il mio intervento. Sul momento ho pensato che forse questo cambio di passo improvviso e comunicato in maniera così inusuale fosse motivato proprio dal fatto che in trasmissione avrei criticato il governo su un tema caldo in quei giorni. Ma mi era già successo, in precedenza, che altri inviti saltassero per le più diverse ragioni, quindi non ci ho dato molto peso, fino a due giorni fa, quando ho letto di Antonio Scurati e di Nadia Terranova, censurata anche lei a marzo per un monologo sulle cariche della polizia contro gli studenti a Pisa.

Le nostre tre vicende si sommano: tre autori che volevano parlare di tre argomenti sgraditi per il governo, il 25 aprile, la repressione delle proteste di piazza e l’aborto. Scurati e Terranova avevano un testo che anticipava già le loro parole, mentre nel mio caso – un collegamento come ospite – più che a una censura ho pensato a un eccesso di zelo, per evitare di toccare argomenti scomodi che avrebbero messo in difficoltà la redazione e la conduttrice. Qualunque sia la verità, questa storia è indicativa del clima che si respira dentro la Rai, già denunciato dal comunicato dei giornalisti Usigrai, che ha parlato di un “sistema pervasivo di controllo che viola i principi del lavoro giornalistico” e che già due settimane fa aveva denunciato che il governo voleva usare la tv di Stato “per la propaganda elettorale senza alcuna mediazione giornalistica”.

La vicenda di Antonio Scurati, la prossimità con il 25 aprile e soprattutto il gesto coraggioso della conduttrice di Che sarà Serena Bortone hanno finalmente mostrato al pubblico la gravità di quanto sta succedendo alla Rai, ma anche in altre istituzioni che fanno cultura e informazione usando le risorse pubbliche. Il “cambio di narrazione” più volte auspicato da Giorgia Meloni sembra potersi realizzare solo attraverso il silenziamento di voci sgradite (come Roberto Saviano, il cui programma è stato cancellato dopo che era già stato registrato e calendarizzato) e la creazione di un clima in cui giornalisti e professionisti non si sentono più liberi di svolgere il proprio lavoro.

Io, Scurati e Terranova eravamo semplici ospiti. Ma è proprio per chi lavora ogni giorno nelle redazioni dei programmi tv che la libertà di espressione è davvero a rischio. E a farne le spese sono le cittadine e i cittadini che si devono accontentare di un’informazione parziale e controllata, che non permette di formarsi un’opinione perché è capace di consegnare solo la versione delle notizie fornita dal governo. Stavolta, i cittadini hanno risposto, ma è probabile che censure come questa succedano molto più spesso di quanto diventino notizia.

La risposta di Meloni all’indignazione che questa vicenda ha scatenato è indicativa del modo in cui l’esecutivo non solo non ammetta critiche e dissenso, ma anche di come non voglia in alcun modo assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Continuare a dire che ha a cuore la libertà di espressione non basta, se poi si bolla come “propaganda” tutto ciò che non piace al governo.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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